Estratto dal capitolo 9. Dall’alto in basso di Napoli a piena voce, annuario della redazione di Napoli Monitor pubblicato nell’ottobre 2012 da Bruno Mondadori.
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L’equitazione è da sempre lo sport preferito dai ricchi. E anche a Napoli, come nel resto del mondo, i centri equestri sono frequentati dalle famiglie benestanti che preferiscono per i loro figli questo ad altri sport più diffusi e praticati. L’equitazione è però uno sport atipico in cui il mezzo, cioè il cavallo, conta di gran lunga più del cavaliere. Più le competizioni si fanno difficili più c’è bisogno di un cavallo con una buona genealogia, ben allenato e in grado di saltare ostacoli sempre più alti. La bravura del cavaliere conta, ma un bravo cavaliere senza un buon cavallo non andrebbe da nessuna parte. Per avere un buon cavallo bisogna spendere tanti soldi. E un giovane di talento che aspira a diventare un cavaliere professionista, ha bisogno di una grande disponibilità economica. Ma anche quando si è diventati professionisti le cose non cambiano di molto. Infatti, sono solo in pochi ad avere cavalli in affidamento da proprietari, che per passione o per vanità investono dei soldi, con l’obiettivo di vedere il proprio cavallo competere e magari vincere gare nazionali o internazionali. I soldi spesi, però, raramente vengono compensati dai premi messi in palio nelle competizioni agonistiche. Nella maggior parte dei casi non rientreranno mai. Sempre più spesso, per andare avanti e non abbandonare questo mondo, i cavalieri professionisti decidono di aprire centri equestri e scuole di equitazione, oppure di diventare loro stessi commercianti di cavalli. In questo modo creano un circolo vizioso. Da un lato alimentano negli allievi e nelle loro famiglie false illusioni, con l’obiettivo di vendere cavalli da loro allevati o fare da mediatori nelle compravendite. D’altra parte, vendendo i loro cavalli rinunciano all’unico mezzo che li renderebbe competitivi.
Nonostante tutto ciò accada alla luce del sole non mancano le famiglie abbienti che investono ingenti capitali per vedere primeggiare i propri figli. Acquistano cavalli, ne pagano la pensione, assumono stallieri privati, comprano autovetture speciali per il trasporto, finanziano i costi per partecipare alle competizioni. Il desiderio di primeggiare può essere cosi cieco da portare alla bancarotta. Non sono poche le imprese familiari che a Napoli sono fallite a causa di questo perverso obiettivo. C’è chi dice che quando si entra a far parte del mondo equestre si perde di vista la realtà: la vita sembra coincidere con un limitato microcosmo fatto di scuderie, stallieri e percorsi a ostacoli. Da un giorno all’altro tutta la vita ruota intorno a un cavallo.
A Napoli chi si può permettere di spendere tanti soldi per i cavalli sono pochi imprenditori, qualche ricco commerciante, qualche professionista di successo. Ma anche, e sopratutto, le famiglie criminali. I padri – spesso latitanti o in prigione – hanno accumulato enormi guadagni con le attività illecite. I figli sono stati cresciuti al riparo dalle attività illegali, hanno semmai frequentato buone scuole e aspirano a emanciparsi dall’ambiente da cui provengono. Nei maneggi e nei campi di gara di Napoli e provincia convivono due mondi. Ma anche se condividono le stesse passioni e gli stessi luoghi il più delle volte restano distanti, separati da una linea invisibile. Entrano in contatto al momento dell’azione, ma finita la gara o l’allenamento ognuno rientra nel suo ambiente. Almeno, così raccontano.
Marco Maietta, cavaliere e istruttore
Agnano è il posto dove tutta Napoli inizia a montare i cavalli. All’ippodromo ci stanno tutte le attività. Io ho cominciato venticinque anni fa. Ho fatto prima trotto, però ero imbranatissimo, passai al galoppo, idem, niente da fare, allora passai di fronte, al CIA di Agnano, feci un paio di mesi là e poi andai a Torre Caracciolo che era più vicino a casa mia. Tenevo quindici anni. Sono rimasto lì quattro, cinque anni. Saltando ho trovato la mia ubicazione. All’epoca cominciai con Garofalo, che era uno che girava per concorsi, che alla fine era quello che mi piaceva fare. Il mio primo cavallo è stato Phantom, cavallo che mi regalò mia madre, uno scarto di pista. Però in questo sono stato sfortunato perché ho speso un banco di soldi. La mia famiglia ha tenuto cinque, sei cavalli a pensione per due anni. Erano solo per me, però erano inutili, a me ne bastava uno, li tenevo giusto per divertimento: uno me l’aveva dato mio padre perché avanzava dalla scuderia sua, due me li feci comprare, poi andai da Garofalo e presi altri due cavalli da lui; erano tutte spese che potevo fare in seguito. Mia mamma non aveva capito bene come funzionava l’ambiente, e quindi per due anni abbiamo fatto i polli della situazione. Abbiamo avuto sole bestiali, tipo un cavallo che andammo a comprare a Roma, venticinque milioni di lire, che poi risultò un cavallo regalato perché aveva un problema all’anca; questo di Roma me l’aveva venduto rifatto, con passaporti nuovi…
Nel frattempo mi presi il primo grado, ero cresciuto, avevo deciso che questa poteva essere la mia attività. Si è sciolto questo sodalizio che avevo con Garofalo, mi sono preso questo posto, dove lavoro da diciassette anni, ce n’ho trentasei, a ventuno anni l’ho preso… Era un centro ippico, c’era solo questa scuderia qua. E c’era il campo, non c’era quest’altro campo, non c’era quello sopra, non c’erano queste scuderie qua. Era un centro privato del proprietario, che teneva i cavalli suoi e basta. Abbiamo cominciato in società, io e un altro ragazzo, poi lui ha avuto dei problemi e ha lasciato. Io ho continuato, sono partito con nove cavalli e sono arrivato a tenerne quarantacinque. Miei di proprietà, dopo quel periodo inutile, ne ho avuti massimo due, mai di più. Mia madre aveva staccato i viveri, perché aveva capito che la situazione non era troppo limpida. Io volevo continuare a montare a cavallo, soldi non ne avevo perché andavo a scuola, e quindi l’unica maniera era inventarmi un lavoro, così è nata la scuderia.
La maggior parte delle persone che stanno qua dentro sono persone particolari. Io dico sempre che nell’equitazione buona parte della gente viene a sfogare le sue repressioni, quindi devi essere come un serbatoio sempre mezzo vuoto, che puoi assorbire le difficoltà caratteriali della gente; però alla fine lo faccio con passione, mi peserebbe molto di più fare la giornata in ufficio piuttosto che ventiquattro ore di scuderia a lavorare.
Io dico sempre che l’equitazione è un serbatoio del top della società, sia nel bene che nel male. È difficile che trovi, oggi soprattutto, il figlio del salumiere che può venire a fare l’equitazione sportiva.Oggi non se lo può permettere più. Ed è anche difficile, nella città in cui viviamo, diciamoci la verità, che viene il figlio del contrabbandiere spicciolo, perché manco se lo può permettere, ma magari ti arriva il pezzo grosso dell’uno e dell’altro ambiente; non arriva la via di mezzo, si fa una selezione naturale, che sotto un punto di vista è pure meglio, perché prima c’erano troppi soldi in mano a troppa gente, quindi in scuderia ti arrivava pure la persona veramente poco dignitosa, però con i soldi, che te la dovevi tenere, sopportare. Oggi non arrivano più, oggi arriva, ti ripeto, o il figlio del grande chirurgo, o il figlio del grande notaio, o magari il figlio del grande boss, o il figlio del grande politico.
Si incrociano bene. Perché magari la figlia del grande chirurgo è una persona per bene, ma purtroppo oggi anche il figlio del grande malavitoso non è più quello che ci immaginiamo noi, che cammina con la lupara per dentro i boschi, ma magari sta in Svizzera a contrattare con un impiegato di una banca svizzera. Anzi, spesso e volentieri non te ne accorgi manco. Lo sai perché conosci il cognome, ma se venisse il milanese di turno non se ne accorgerebbe proprio. E se tu sai con chi hai a che fare, sai anche fino a che punto puoi arrivare per non urtare la suscettibilità. Però più di questo no, ti devo dire la verità. E sai perché? Perché questo tipo di persone, magari il figlio del grande boss, quando arriva in un ambiente tipo questo, è lui che sta con due piedi in una scarpa, non si riesce a sbottonare come farebbe in un contesto suo. Anche a livello economico, per l’amor di Dio: mai un problema, mai un ritardo di pagamento, sempre tutti super precisi, questo sì.
La maggior parte della gente che sta nell’equitazione stava anche al mare. È la competizione razzista: cioè tu arrivi al mare, ti compri il Canados 45, quando esci dal cantiere dici: “Sono il numero 1”; arrivi al mare, passa il Canados 60 e tu sei più piccolino; passa quell’altro col Canados 80 e tu sei ancora più piccolino. E la stessa cosa con i cavalli: compri il cavallo che esce dalla scuderia e pensi che hai il fenomeno del mondo, vai in gara e magari trovi quello che ti va più avanti. E poi c’è sempre il problema del portafoglio: chi ha il portafoglio più grosso quello va più avanti. Questo è l’unico aspetto brutto di questo sport: che non sempre va avanti la vera qualità. Io conosco persone veramente dotate a cavallo che però rimangono in determinati giri perché non hanno la possibilità di investire; e conosco invece persone che non hanno neanche un briciolo della qualità che hanno altri, che però stanno facendo le coppe del mondo… In Italia oggi questo sport lo fa l’amatore, e quello che ha talento prepara il cavallo per l’amatore che si deve andare a divertire. Cioè, il grande campione italiano è quello che alla fine prepara il cavallo. Per questo nelle classifiche dei campionati del mondo noi italiani non ci stiamo proprio.
Ci sono due ragazze qua dentro che secondo me sono brave. Quindici e sedici anni, hanno le caratteristiche per fare bene: una buona dose di talento, la capacità di sacrificio dei genitori, perché una di queste non è neanche di Napoli, si fa duecento chilometri tre volte a settimana per venire a montare; e poi il portafoglio del padre. Queste sono le tre cose fondamentali. È quasi impossibile trovarle tutte allo stesso livello, però se ci sta un po’ di talento, un po’ di soldi e un po’ di disponibilità riesci a lavorare più o meno bene.
Chi fa l’equitazione si pensa sempre che stando a cavallo può stare più in alto di tutti. Anche il ragazzino, te ne accorgi subito, assume un atteggiamento diverso quando sale a cavallo: di superiorità, un po’ altezzoso. Il ragazzetto che c’ha il cavallo di proprietà, che fa le gare, guarda dall’alto in basso il ragazzino che magari fa il campo scuola, te ne accorgi immediatamente. L’equitazione di oggi è totalmente cambiata da quando ero ragazzo. Sì è esasperato tutto. Eravamo tutti abbastanza uniti, forse io ero il più ambizioso, il più concentrato su di me, però la media era molto solidale: la pizza, l’uscita, l’equitazione vista come divertimento. Oggi non esiste proprio, ci sta soltanto l’equitazione come… alcuni secondo me come rivalsa sociale; in tanti anzi, non alcuni. Noi tenevamo mezza giornata di festa a scuola e allora stavamo tutta la giornata su al circolo: la mattina prendevamo il cavallo, lo portavamo a mangiare l’erba, ci facevamo un giro, il pomeriggio la lezione, la sera la pizza. Oggi vengono, montano, fanno l’esercizio e se ne scappano. Perché magari la ragazzina dopo c’ha danza, e più tardi c’ha la lezione privata, la sera c’ha la cena alla Mela… I maschi non ne parliamo proprio: vengono, montano, se ci sta qualche pedina importante da muovere si trattengono quei dieci minuti, altrimenti lasciano il cavallo in mano al grumo, l’uomo di scuderia, e se ne vanno. All’epoca nostra i cavalli li pulivamo, gli stavamo vicino, questi non ne hanno proprio idea. Arrivano e la prima cosa che chiedono: “Il grumo dov’è?”. Cavallo pronto, montano, scendono, ridanno il cavallo in mano al grumo e se ne scappano. Prima imparano il nome del loro grumo, anzi nemmeno più il nome, direttamente il numero di cellulare. Chi arriva con la macchinina, chi viene con l’autista, chi magari accompagnato dalla mamma che c’ha da fare…
Io all’inizio mi incazzavo perché mia mamma mi aveva dato una mano che magari non mi serviva, poi quando mi servivano i soldi non era più disponibile. Oggi che tengo i figli pure io penso che ringraziando a Dio mia mamma è stata lucida e ferma, altrimenti se mi avesse dato spalla magari mi sarei mangiato tutto pure io. Avrei fatto la fine che hanno fatto gli altri. E conosciamo tante famiglie che c’hanno perso le attività, c’hanno perso le case. Davanti a me sono passati sette, otto cadaveri: gente che si è trovata con attività capovolte per cercare di arrivare a fare qualcosa con i cavalli. Persone che hanno perso attività commerciali in piazza per accontentare questa voglia del figlio di arrivare a chissà che cosa. Però magari non aveva questo gran talento e quindi alla fine hanno speso solo una marea di soldi inutili. (salvatore porcaro / luca rossomando)
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