La recente tornata elettorale ha consegnato la città di Roma a Virginia Raggi e al Movimento Cinque Stelle. Il trionfo del movimento è fuori discussione, in termini di quantità di voti ottenuti, diffusione territoriale, distacco nei confronti delle altre forze politiche. Non si tratta di un risultato sorprendente: la vittoria era nell’aria da mesi. L’analisi dei flussi elettorali – pur decisiva per capire le forme e i modi con cui la Raggi ha stravinto – di fronte a un dominio così schiacciante rischia di diventare un esercizio un po’ sterile: i Cinque Stelle hanno dilagato in tutta la città, prendendo voti da tutti. Dalle destre, dalle sinistre, dagli apolitici, dagli indecisi, dagli arrabbiati.
Quello ai Cinque Stelle è stato da più parti definito un voto di protesta, una categoria ormai abbastanza inutile per capire il senso di un simile plebiscito. Più utile probabilmente può risultare l’analisi del legame tra questo successo e le tante proteste che negli ultimi anni hanno avuto origine nel contesto romano. Proteste nate da soggetti diversi, accomunate quasi tutte dalla tendenza a esaurirsi rapidamente in un ciclo che nasce con l’indignazione, cresce in forme pubbliche che solo a volte diventano politiche e si esaurisce nella delega elettorale, intercettata in modo quasi esclusivo dai Cinque Stelle.
Ma cosa vuol dire oggi “protesta” in una città come Roma? Esiste un nesso tra la forma delle proteste più recenti e la difficoltà dei movimenti sociali nel comprendere le trasformazioni del territorio e dei suoi abitanti? Esiste un nesso tra la vittoria della Raggi e il modo con cui queste proteste così diverse si sono propagate (da quelle orientate a un allargamento dei diritti sociali a quelle esplicitamente razziste)? Certo, il nesso esiste e vale la pena cominciare a sviscerarlo, partendo da un dato di fatto inoppugnabile: la spallata a quell’intreccio tra affari, clientele, soprusi che è stato definito “sistema Pd” non è arrivata per opera di coloro che da anni ne denunciavano la pericolosità e la pervasività, non è arrivata dall’associazionismo di base o dai movimenti di lotta ma da una forza politica nuova e addirittura poco interessata, nella notte del successo elettorale, a festeggiare la propria vittoria. Soffermiamoci allora su alcune tra le proteste emergenti limitandoci agli ultimi tre anni (giunta Marino) e cercando di chiarire in che modo i limiti dei movimenti sociali hanno aperto la strada al dilagare dei Cinque Stelle.
La prima forma è la protesta contro il “degrado”, contro l’incuria nella manutenzione dei beni pubblici. Una protesta che non di rado sfocia in uno sfogo di cui fanno le spese non i responsabili di tale incuria ma i più deboli, per esempio i senzatetto che vivono per strada, in rapido aumento negli anni della crisi economica. Questo tipo di protesta si esprime generalmente sul web e a volte anche fisicamente, nelle strade. Gli attivisti dei movimenti sociali – con poche eccezioni – hanno cercato di opporre a questa forma di protesta una lettura del degrado incentrata non sulle sue conseguenze finali ma sulle rispettive cause originarie. Hanno quasi ovunque fallito: sono stati scambiati per soloni saccenti, con la puzza sotto al naso; si sono sentiti ripetere che va bene parlare di Draghi, della Merkel, dell’austerity, dei tagli lineari ma noi vogliamo prima di tutto il marciapiede pulito e le strade illuminate. Il movimento Cinque Stelle ha saputo raccogliere e capitalizzare la protesta, oscillando tra linguaggio autoritario, soluzioni poco praticabili e ricette a volte incomprensibili. Si è presentato però come una forza affidabile e ha ottenuto fiducia, che ora dovrà saper indirizzare.
La seconda forma è la protesta per i servizi poco efficienti o addirittura del tutto assenti. Su questo terreno i movimenti sociali avrebbero avuto negli ultimi tre anni molto spazio per costruire vertenze, alleanze e percorsi di lotta. Invece, al di là di singole iniziative sparse e senza alcun coordinamento, il terreno dei servizi è stato di fatto abbandonato. Eppure è un ambito in cui i movimenti hanno tradizionalmente saputo veicolare obiettivi di qualità, partecipazione e allargamento dei diritti sociali, a partire dalle lotte per gli asili nido avvenute fin dagli anni Sessanta e Settanta. Ecco, gli asili nido: un servizio pubblico ottenuto a suon di battaglie trasversali e composite, che è in corso di smantellamento. A fronte di un progressivo taglio degli spazi comunali, dell’aumento del numero di bambini per educatrice, della precarizzazione sempre più spinta delle condizioni di lavoro, dell’abbassamento degli standard sulle mense e di numerose altre iniziative che hanno messo a dura prova il settore, il campo della protesta è stato occupato solo dalle combattive lavoratrici del comparto. Anzi, quando c’è stato un allargamento ai genitori, agli utenti, al territorio, tale allargamento ha avuto un successo in termini organizzativi e politici solo quando sono intervenuti movimenti di area cattolica, preoccupati che l’aumento delle tariffe voluto da Marino penalizzasse le famiglie numerose. Un servizio essenziale, potenzialmente capace di riaggregare lavoro e territorio, è stato difeso in forma organizzata come un diritto sociale solo da piccoli e sparuti gruppi di genitori, combattivi ma disseminati nella città e in difficoltà anche a comunicare con i sindacati delle educatrici. L’aumento delle tariffe è stato scongiurato inizialmente dalla mobilitazione capeggiata da un ex assessore di Alemanno, De Palo, insieme a vari pezzi dell’associazionismo cattolico. In seguito le tariffe sono state comunque ritoccate pesantemente. I Cinque Stelle sui servizi pubblici come gli asili nido non hanno speso più di qualche parola e qualche slogan. Il disperato tentativo di Giachetti di annunciare, attraverso i buoni uffici della ministra Madia, la stabilizzazione delle educatrici precarie, a pochi giorni dal ballottaggio, non ha avuto alcun effetto concreto. Anzi, ha rappresentato l’ennesima conferma della modalità neodemocristiana con cui si muove la classe dirigente riunita intorno a Renzi. La conseguenza di questa mancata battaglia è la presenza dilagante dei privati e la mano libera lasciata all’amministrazione di gestire il comparto tagliando risorse e dividendo lavoratrici e utenti. La conseguenza di più lungo periodo, di cui si giova un movimento a carattere fortemente virtuale come quello dei Cinque Stelle, è la possibile scomparsa nell’immaginario della città della stessa possibilità di lottare per rivendicare un servizio migliore. Se non trovi posto al nido comunale ti cerchi un asilo privato, una baby sitter, un co-working o una delle mille diavolerie inventate per lucrare su un bisogno educativo e sociale fondamentale. Anzi, in molti per rassegnazione neanche la presentano più la domanda al nido comunale. Anche questa rassegnazione e questa sfiducia hanno favorito il percorso della Raggi.
Il terzo ambito di protesta su cui è bene soffermarci è quello per l’inefficienza dei trasporti, uno dei settori in cui appare più drammatica la situazione romana. Siamo in una situazione per certi versi simile a quella degli asili nido, in cui anzi lo scontro tra lavoratori e utenti è ormai un dato di fatto. Gli scioperi dei lavoratori, tradizionalmente molto combattivi, vengono accolti con disprezzo da parte degli utenti. Lo scandalo della dirigenza Atac nel corso degli anni ha raggiunto picchi insuperabili (business sulla stampa di biglietti falsi; assunzioni clientelari di migliaia di lavoratori, inclusi moltissimi dirigenti; appalti e subappalti truccatissimi: l’elenco potrebbe continuare a lungo) ma se si escludono le azioni dei lavoratori, contro i dirigenti nessuno è riuscito a organizzare una iniziativa pubblica, capace di denunciare i responsabili e pretendere una gestione alternativa. I Cinque Stelle qui riempiono un vuoto pazzesco e possono permettersi di limitarsi ad auspicare onestà e pulizia senza entrare nel merito delle scelte strategiche perché manca del tutto un dibattito pubblico capace di andare oltre i tecnici e gli addetti al settore.
Ancora, l’emergenza abitativa. Su questo fronte i movimenti hanno ottenuto molto, mettendo in campo capacità organizzativa, esperienze consolidate, nuovi soggetti sociali con cui costruire percorsi rivendicativi. In campagna elettorale di casa si è parlato poco, ma il nuovo sindaco dovrà necessariamente fare i conti con le decine di migliaia di persone che animano i movimenti di lotta per la casa e proprio per questo il terreno delle politiche abitative sarà uno di quelli su cui si capiranno le sue reali intenzioni.
Il quinto ambito è quello delle lotte contro la cementificazione. Il partito del mattone è stato fortissimo anche negli ultimi anni e ha trovato solo alcune vertenze capaci di far incrinare gli equilibri a suo favore. Anche in questo ambito i movimenti hanno pagato la frammentazione sul territorio e la difficoltà a realizzare sintesi efficaci sul piano politico e della rivendicazione. I Cinque Stelle vanno al governo ripetendo lo slogan “zero consumo di suolo” che già aveva sbandierato Marino, puntualmente smentito dai fatti. Se verranno incalzati in modo puntuale dovranno rapidamente scoprire le carte.
Il sesto ambito è quello della protesta contro l’immigrazione. Purtroppo è un dato evidente a tutti: nella città di Roma il razzismo, mescolato all’insofferenza per le condizioni della vita urbana, ha funzionato da catalizzatore per le proteste e da motivo di aggregazione. Ne hanno tratto giovamento le organizzazioni di destra ed estrema destra, che tuttavia non hanno avuto una performance elettorale troppo favorevole, visto che la Meloni aspirava ad arrivare al ballottaggio e Casapound a entrare in Campidoglio con almeno un consigliere (risultati, entrambi, non raggiunti). Il richiamo all’antirazzismo continua a essere un elemento centrale nell’attivismo dei movimenti sociali sul territorio ma rischia di rappresentare uno strumento necessario ma non sufficiente per stroncare le pulsioni xenofobe e il loro consenso. Il coinvolgimento di molte immigrate e immigrati nelle lotte sociali (partendo dalla casa ma non solo) rappresenta in questo senso un passo in avanti decisivo. Le gravi concessioni dei Cinque Stelle al discorso razzista (presenti nelle dichiarazioni dei leader ma anche nelle scelte sul territorio) hanno mostrato anche durante la campagna elettorale tutta la loro forza e hanno garantito (per esempio nell’insistenza sulla “italianità” dei diritti) uno sfondamento nell’elettorato di destra molto profondo.
Gli attivisti romani che invocano un improbabile modello Colau o de Magistris farebbero bene a fermarsi un momento e riflettere. Pensano che si possa ancora una volta saltare il passaggio essenziale, pensano che si possa serenamente eludere il terreno del radicamento, della lettura del territorio e delle sue contraddizioni, esaltando modelli per molti versi discutibili e difficilmente replicabili in contesti diversi da quelli in cui hanno preso forma? Non è il caso di guardare lontano, è il caso di guardarsi attorno e capire come e perché il sistema-Pd è stato battuto da qualcun altro. Ora il confronto sarà con un sindaco che ha riscosso un consenso altissimo e che si può permettere di alternare discorsi contro la cementificazione tipici da centro sociale a discorsi contro i rom tipici da sezione missina, a discorsi sull’onestà tipici da oratorio. Rianimare le potenzialità del conflitto sociale sarà ancora più difficile. Ma sarà ancora più indispensabile. (michele colucci)
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