Crollo: “forte scossa data o ricevuta, movimento di persona o di cosa che si scuote; caduta improvvisa e violenta di una struttura, rovina; figurato, caduta definitiva, fallimento, rovina finanziaria, disastro economico o politico, collasso fisico e simbolico”.
Il devastante terremoto dell’8 settembre scorso che ha cambiato il profilo della catena montuosa dell’Atlante in Marocco ha portato alla distruzione di circa duemilacinquecento immobili e al danneggiamento strutturale di altri sessantamila. La stampa e la diplomazia internazionali si sono interessate agli avvenimenti subito dopo il sisma, indagando sulle azioni messe in atto per la ricostruzione dei paesi crollati.
Demolizione: “l’operazione e anche l’effetto del demolire; abbattimento, distruzione, nel senso proprio e più raramente nel figurato”.
A distanza di poco meno di un mese, il 4 ottobre, il regno alawita del Marocco tornava di nuovo al centro dell’attenzione per una notizia di tutt’altro tenore: il paese sarà sede dei mondiali di calcio del 2030 insieme alla Spagna e al Portogallo! Inoltre, nel 2025 in Marocco si giocherà la Coppa d’Africa, un altro mega evento che il paese finora aveva ospitato una sola volta, nel 1988. Grandi eventi e competizioni mondiali portano investimenti, infrastrutture, turismo, sostantivi riuniti da un’unica parola d’ordine: demolire e ricostruire! Così negli ultimi due mesi alcuni villaggi e centri abitati della costa atlantica marocchina hanno subito un’ondata di abbattimenti mai vista prima.
Il 21 dicembre ben duecento abitazioni sono state demolite a Tifnit, un villaggio di pescatori a sud di Agadir, con il pretesto che si trattasse di case degradate e costruite illegalmente su suolo pubblico, benché fossero in piedi da più di quarant’anni. Il 12 gennaio l’isolotto del mausoleo di Sidi Abderrahmane, di fronte a una delle spiagge di Casablanca, ha subito la demolizione di tutto l’abitato, costituito da case informali in muratura e alcune strutture più precarie.
La storia di questo piccolo nucleo di abitazioni meriterebbe una trattazione a parte, conosciuto per essere un luogo di pratiche che rientrano in quel tipo di credenze proprie dell’islam popolare, a metà strada tra la devozione cultuale e la superstizione. Il Comune ha intenzione di trasformare l’isolotto in una meta di turismo più convenzionale, forse proprio per contrastare questo tipo di pratiche che si discosterebbero dall’islam ortodosso. Il 16 gennaio quattrocento abitazioni autocostruite sono state demolite sulla spiaggia di Bouznika, cinquanta km a nord di Casablanca.
A partire dal 18 gennaio, e per una settimana, le demolizioni hanno cambiato completamente la forma del villaggio di Imsouane, un piccolo centro di circa novemila abitanti sulla costa, meta ambita di surfisti ed esploratori. I media locali hanno riportato la notizia che gli abitanti erano stati avvertiti solamente ventiquattro ore prima, senza avere nessuna possibilità di opporsi e negoziare lo sgombero. Sulle ottanta abitazioni storiche, che erano lì dagli anni Settanta – essenzialmente case di pescatori e piccoli commerci –, ne restano in piedi solo sei. Il 29 gennaio le ruspe si sono dirette verso la zona costiera della provincia di Chefchaouen, per la demolizione delle abitazioni dette “informali” esistenti da diverso tempo, alcune dagli anni Ottanta. Fonti locali affermano che le operazioni a breve si estenderanno ad altri villaggi della costa atlantica, come Chmaâla, Stehat et Jnan Niche. Di altra entità – ma coerente con il panorama dei Mondiali di calcio 2030 – il 5 febbraio il mantra della “liberazione di suolo pubblico” ha portato alla demolizione della sala di basket e di scherma del Wydad, uno dei due maggiori club sportivi della città di Casablanca, il quale accoglieva circa settecento praticanti.
Non stupisce quindi che il settimanale TelQuel abbia aperto uno degli ultimi numeri con una copertina su cui campeggia il titolo “Lo Stato bulldozer”, in riferimento alle ultime demolizioni. Il leit-motiv è appunto la giustificazione che forniscono gli organi istituzionali sull’irregolare occupazione di demanio pubblico da parte di determinate abitazioni e attività ricreativo-commerciali, al quale si accompagna l’obiettivo di un rilancio turistico della costa indirizzato alla clientela straniera di alto profilo.
Il circolo vizioso delle demolizioni di abitazioni precarie e popolari per fare spazio a progetti turistici a vocazione extra-locale, innescato dalla prospettiva di mega eventi, non è cosa nuova: la retorica della rigenerazione e riqualificazione urbana, insieme alla più concreta speculazione immobiliare, hanno accompagnato negli ultimi decenni tutti gli eventi internazionali di questo tipo, dalle Olimpiadi di Barcellona del 1992, alla proclamazione di Marsiglia a Capitale della Cultura nel 2013, ai Mondiali di calcio in Brasile nel 2014, e così via. Ciò che sorprende nel contesto marocchino – ironia della sorte? – è che tutto questo avvenga dopo una catastrofe naturale come il terremoto di pochi mesi fa. Le immagini delle demolizioni si sovrappongono inevitabilmente a quelle dei crolli, alle quali ci si era tragicamente familiarizzati. A voler spingere avanti la riflessione, verrebbe da pensare che si voglia in qualche modo sfruttare la rassegnazione dettata da eventi apparentemente fuori dal controllo della volontà umana – i crolli – per far accettare l’atto arbitrario – la demolizione – governato da esigenze del capitale finanziario, immobiliare e speculativo, a discapito, ancora una volta, delle classi sociali più deboli ed emarginate.
È risaputo infatti che all’interno dei fondi destinati agli investimenti pro-mondiali – che per Marocco 2030 si aggirano intorno ai cinque miliardi di euro – sono escluse voci di bilancio dedicate alla sanità, all’istruzione e all’inclusione lavorativa, settori sensibilmente penalizzati nel paese. Allo stesso modo, gli aiuti e i prestiti/debiti contratti per far fronte alla ricostruzione post-sisma – dodici miliardi di euro promessi dalla BCI fino al 2028 in aggiunta ai 177 milioni elargiti dalla Commissione Europea per il programma quinquennale della ricostruzione – permetteranno nella migliore delle ipotesi un miglioramento della rete stradale, in assenza di collegamenti ferroviari nelle aree interne, che però sarà accompagnato probabilmente da uno stravolgimento urbanistico e architettonico di zone già colpite dal sisma.
Quale sarà il volto del Marocco all’orizzonte del 2030? Quale sarà il destino delle aree interne, isolate e sacrificate dagli stravolgimenti climatici, traducibili in calamità e terribili siccità, a fronte della massiccia cementificazione del litorale? (laura guarino)
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