È una tenda da campo, molto grande, di quelle che si utilizzano per creare delle sale comuni in campeggio o alle feste. Non è la tenda di Gheddafi. Non vi sono drappi damascati, cuscini preziosi, amazzoni e guardie del corpo. Vi sono sedie di plastica, di quelle che trovi nei bar di terz’ordine, donne robuste che, qualunque sia l’età ne dimostrano il doppio, e uomini in carrozzella a motore. Tutti esibiscono, appeso al collo degli abiti, un cartellino. Un cartellino artigianale, che indica nome e cognome di chi lo indossa e il logo dell’associazione. Perché questa tenda, che da oltre dieci giorni è presidiata giorno e notte, è stata montata da un’associazione di disabili che chiede di essere ricevuta dall’assessore e da qualche suo rappresentante. Richiesta inevasa. Per tanto ecco la tenda, posizionata di fronte l’edificio A6 del Centro direzionale, sede degli uffici della giunta regionale. Presidio permanente in attesa di un incontro.
Una tenda che, come nulla fosse, è divenuta parte integrante di questo paesaggio di vetri e uffici. La tenda e, naturalmente, il suo indotto. I due blindati del reparto celere, posti a guardia dell’ingresso, e i dieci agenti in precario assetto antisommossa. La mattina, disabili e poliziotti, prendono il caffè nello stesso bar, altre volte li vedi che parlottano, ma nessuno dei due gruppi ha pietà dell’altro. Quando si tratterà di sgomberare, i manganelli non daranno a nessuno dimostrazione d’affetto. Ma la quotidianità fisica del conflitto può creare zone temporanee di amichevole armistizio.
La mattina dalla tenda proviene musica neomelodica, il preferito è Mimmo Dany. Poi, puntuale verso le undici, un collegamento con una radio locale che viene diffuso dagli amplificatori. Le rivendicazioni oscillano da esigenze politiche di carattere generale («Assessore, i disabili vogliono il lavoro»), a questioni pratiche di vita quotidiana («Assessore, i soldi della nostra formazione dove sono?»). Naturalmente l’Assessore qui non c’è, i suoi uffici sono altrove. L’eco degli slogan appena sfiora la quotidiana routine impiegatizia.
Nel varco tra la tenda e il palazzo, ogni giorno, si inserisce una nuova questione sociale. Un corteo dei disoccupati, un presidio sindacale, gli operatori socio-sanitari che chiedono di essere assunti. Ogni giorno, o quasi, una nuova richiesta di incontro, un’altra trattativa, un altro bisogno. Dalla tenda, alle volte, viene distribuito a chi arriva del caffè in bicchierini di plastica. I manifestanti delle diverse vertenze, si accostano, parlottano e scambiano qualche battuta. Ma non è solidarietà, ognuno sa che la propria vertenza ha possibilità di successo se non viene confusa con quella di un altro. Le risorse sono poche, ognuno tratta per le proprie.
Intanto, quest’oggi, il drappello di polizia si fa più folto, quelli che seguivano il corteo dei “Banchi Nuovi” incontrano gli agenti già a presidio del palazzo. L’autoambulanza del 118 arriva per la terza volta. Questo giro non è per un disabile, ma per un disoccupato che è svenuto. Dopo qualche tentativo di rianimarlo a terra, gli infermieri lo caricano a bordo. Le casse gracchianti rimandano la voce del leader della protesta dei disabili: «Assessò, simm stanc e c’ stancà». Siamo stanchi di stancarci. Applausi, mentre l’ambulanza riparte, facendosi lentamente largo tra la folla, senza nemmeno accendere le sirene. (dario stefano dell’aquila)
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