“Il mestiere di presidente del porto è un lavoro titanico: coniugare l’interesse generale che deve derivare dallo sfruttamento del demanio pubblico, con il profitto che costituisce l’unico interesse delle imprese private a cui è affidato in concessione tale sfruttamento. D’altra parte, il porto è pubblico in Italia, se non fosse così non saremmo neanche qui a parlarne. Occorre dalla parte pubblica la presenza di persone con un altissimo senso dello Stato, prima di qualsiasi altra competenza, che consenta di non soggiacere al condizionamento politico e alla forza di persuasione, a qualsiasi costo (in senso figurato, ovviamente, salvo diverso avviso della Procura, se finalmente una volta andasse a controllare), delle imprese sui decisori pubblici. Occorre agire urgentemente, perché non si vede una persona con quel senso dello Stato al vertice del porto di Genova e i suoi sponsor politici ce lo hanno messo apposta”.
Così si leggeva nel marzo del 2023 sulla pagina Facebook di un comitato di cittadini genovesi per il dibattito pubblico sul porto. L’inciso tra parentesi era posto a tutela dalle querele ma era anche un auspicio, all’insaputa che la Procura stava già indagando sull’allora presidente del porto Signorini.
Signorini quando era presidente lusingava i suoi sponsor politici e gli stakeholder propugnando un porto moderno, proiettato nel futuro, leader nel Mediterraneo e in Europa, grazie alla presenza dei “grandi player” (MSC, Maersk, Cosco, PSA ecc.). D’altro canto, riconosceva l’oggettiva difficoltà di governare un porto in maniera imparziale di fronte a questi colossi imprenditoriali che conquistate le banchine ne controllano i volumi dei traffici, capaci di condizionare le sorti del porto, nel bene ma anche nel male.
La notizia dell’inchiesta con i primi arresti (Signorini, Toti e Spinelli) ha rivelato tuttavia che a dettare i modi e i tempi delle decisioni di Signorini a palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità di sistema portuale di Genova e Savona, non era l’insidioso e ubiquo potere delle multinazionali, ma un singolo imprenditore, Aldo Spinelli. Spinelli è l’ultimo rappresentante del potere sulle banchine da parte dei capitali locali, le cosiddette “famiglie genovesi”. Tutti gli altri hanno già ceduto alle multinazionali. Anche Spinelli era su questa strada, dovendo guardare alla sua età avanzata. Perché allora avrebbe corrotto Signorini e perché Signorini si sarebbe fatto corrompere da un attore minore della scena portuale, che seppure aggressivo e invadente era ormai alla soglia dell’addio? Inoltre, siccome Signorini era presidente sotto l’egida di Toti e aveva al fianco nel governo del porto il sindaco-commissario Bucci, perché anche Toti e Bucci avrebbero sostenuto Signorini nell’acconsentire ai disegni di Spinelli?
Facciamo un passo indietro. Nato nel 1940 da una modesta famiglia di naviganti, Spinelli tra il 1965 e il 1985 accumula capitali trasportando con i semirimorchi gli ingombranti container che stanno cambiando il volto e riempiendo i porti. È un periodo in cui, grazie a un giro di società e ai contratti con le agenzie marittime delle navi internazionali, diventa ricco oltre ogni supposizione, tanto da comprarsi la società di calcio del Genoa. Siamo nel 1985, il principale quotidiano locale Il Secolo XIX lo presenta come un imprenditore sconosciuto. Da allora, grazie al trampolino del calcio, sarà al centro delle cronache e degli affari locali.
Scampa alle manette di Mani pulite confessando al giudice una tangente di mezzo miliardo di lire alla Democrazia Cristiana. Abbandona la protezione del ministro Prandini che gli era valsa la presidenza della società del traforo del Frejus, forse avendo capito che gli appalti delle grandi opere pubbliche erano affari troppo grandi e rischiosi per lui, nonostante avesse messo su una società con il potente costruttore Lombardini.
È un self-made man, non ha vere amicizie con nessuno, è dominato dall’opportunismo e dal suo tornaconto. Ha i caratteri del tycoon: l’ambizione senza scrupoli, l’iniziativa spregiudicata volta al continuo rilancio e rialzo, un profilo da giocatore di casinò di Montecarlo qual è dal 1990, che insieme ai soldi, alle donne e al successo compongono la posta e insieme il rinnovato premio ad ogni gradino della sua scalata sociale. Cura assiduamente i rapporti politici, prima con la Dc di Prandini, poi con il Psi di Craxi e infine con il Pds e poi Ds di Burlando. Quando è eletto consigliere comunale per una lista di Socialisti-Repubblicani nella maggioranza di centro sinistra del sindaco Pericu realizza uno dei suoi grandi colpi, acquisendo la proprietà della collina di Erzelli, un terreno spianato ma privo di valore se non per il suo business con la sosta dei container vuoti in attesa di reimpiego. Rivenderà la spianata per dieci volte il suo costo alla società Genova High Tech, perché lassù, seppure sia senza servizi e infrastrutture, il comune di Genova ha deciso inopinatamente di fare sorgere un polo tecnologico tralasciando le centinaia di ettari di aree industriali dismesse giù in valle. Non solo, ma in cambio di un affare da cui ha già tratto una plusvalenza esponenziale, Spinelli otterrà dagli enti locali di centro-sinistra la concessione di aree pubbliche privilegiate entro il perimetro del porto, in un’area dismessa dall’acciaieria, per trasferirvi i suoi container.
Mentre trasporti e depositi dei container crescono grazie all’incremento dei traffici, Spinelli ambisce a entrare finalmente nel novero di coloro ai quali l’Autorità portuale concede in esclusiva le banchine per compiere le operazioni portuali di imbarco e sbarco. Ci riesce nel 2000 al termine di una travagliata privatizzazione di Ponte Etiopia e Ponte Eritrea, di cui Spinelli otterrà il primo come terminalista. Da allora comincia la seconda vita di Spinelli, accolto nella schiera delle ricche famiglie genovesi a capo degli altri terminal, con l’obiettivo comune, solo di tanto in tanto conteso in una regolare competizione, di ottenere benefici privatistici dall’amministrazione pubblica di palazzo San Giorgio. Nel 2007, insieme a quasi tutti gli operatori e all’allora presidente del porto Novi, oltre a numerosi altri attori della scena portuale, Spinelli fu coinvolto in un processo intorno all’assegnazione di un terminal, cosiddetto “multipurpose”, che aveva portato a galla una situazione di estesa illegalità e collusione tra palazzo San Giorgio e gli imprenditori, da cui però tutti gli imputati, compreso Spinelli, uscirono assolti. Non ci fu corruzione per il Multipurpose secondo l’inchiesta penale ma risultò che i poteri economici avevano esercitato una influenza evidente e condizionante nei confronti di una amministrazione pubblica alla loro mercé.
L’obiettivo principale di Spinelli era ora di allargare la sua concessione per trasformarla da una banchina a pettine vecchio stile in una banchina lineare moderna da dedicare ai container che richiedono ormeggi e operazioni veloci e superfici estese per movimentare grandi volumi di merce. Ciò presupponeva l’estensione alle banchine confinanti, oltre al tombamento delle calate intermedie. A ponente Spinelli era chiuso da un altro terminalista, a levante invece c’erano aree contendibili che appartenevano alla centrale Enel dismessa e all’ampio terminal delle rinfuse secche, erede del vecchio porto del carbone. Oltre le “rinfuse” il terminal Bettolo di Msc.
Per oltre dieci anni Spinelli ha impegnato palazzo San Giorgio in una pressione senza sosta e senza scrupoli, a forza di istanze e ricorsi e quanto altro non veniva confessato, né c’erano le microspie della finanza a rivelarlo, ottenendo come in un Risiko giocato con dadi tirati a arte, nuove aree sino al confine del Terminal Rinfuse, eliminando ogni concorrente e estromettendo anche la possibilità di trasferirvi i depositi chimici che aspettano da quarant’anni la ricollocazione in porto. Nel frattempo, con colpo a sorpresa, ha comprato insieme a Msc (tenendone però il controllo) la società che gestiva il Terminal Rinfuse, col consenso di palazzo San Giorgio che avrebbe dovuto eccepire l’inconsistenza di due soci che non avevano nessuna esperienza nelle rinfuse. Era infatti come fare entrare due volpi nel pollaio, come scrissero inascoltati i cittadini del comitato per il dibattito pubblico sul porto, all’occasione avrebbero abbandonato le rinfuse per dividersi lo spazio per i rispettivi terminal contenitori.
Occorreva a quel punto a Spinelli solo avere pazienza, aspettare il nuovo piano regolatore per cambiare la destinazione funzionale del terminal, tombare le calate, perfezionare l’accordo con Msc e magari con l’occasione vendere la società. Le condizioni c’erano tutte, al potere c’erano Toti, Bucci e Signorini e Spinelli era diventato un grande elettore e finanziatore dei primi due, e stava progressivamente “acquistando” l’amicizia stretta del terzo. Rapporti coltivati e consolidati in diversi anni che gli hanno garantito un credito di pronta e facile riscossione quando finalmente è nata l’opportunità.
Nel 2020, ricostruito il ponte dopo il crollo del Morandi, il decreto Genova è stato esteso al piano delle opere portuali, riversando un fiume di miliardi di euro pubblici sulla città, da spendere in deroga alle norme degli appalti, a cominciare dalla nuova diga foranea. Miliardi e decisioni, concentrate antidemocraticamente ma col favore di quasi tutte le parti nelle mani di un solo uomo, il sindaco Bucci confermato commissario straordinario anche oltre l’emergenza del ponte. È allora che Spinelli ha visto la grande occasione di chiudere in bellezza i suoi affari: realizzare in tempi brevi un terminal lineare da Ponte Etiopia sino alla metà delle Rinfuse (l’altra sarebbe andata a Msc), con le calate tombate e allungate grazie alla diga spostata al largo.
Spinelli sa di non avere le spalle finanziarie per reggere una tale impresa, per cui l’obiettivo conseguente era vendere la società a una multinazionale del settore e chiudere la sua carriera. Bucci, insieme a Toti e a Signorini, sarebbe stato l’acceleratore di una impresa che con tempi ordinari e facendo tutto secondo le regole avrebbe richiesto molti anni, magari un decennio o più col rischio per Spinelli di morire prima o che cambiassero i referenti politici o il modello di sviluppo del porto. Per assicurarsi questo risultato a Spinelli non poteva bastare la consueta opera di influenza e di condizionamento sottobanco o dietro le quinte, come aveva sempre fatto, con quei metodi che tutta la comunità portuale unanime e nemmeno sommessamente gli attribuisce, in maniera figurativa o meno: ossia “infilare i soldi in tasca alla gente”, chiunque sia, dall’operaio per finire il lavoro oltre il turno, all’ispettore per voltare lo sguardo, al funzionario per mettere una firma eccetera. Spinelli pretendeva un’accelerazione ma anche una violazione delle norme oltre ogni precedente: per ottenere il Carbonile ex Enel, per prorogare a trent’anni la concessione del Terminal Rinfuse per garantirsi la continuità anche per i container e accrescere la plusvalenza sulla vendita della società, per avere tombata la calata Concenter sebbene non prevista dal piano regolatore né dal piano straordinario.
Solo così si spiega la grossolanità di questa vicenda corruttiva scoperta attraverso le conversazioni assidue e nemmeno nascoste dei protagonisti, per la “sprescia” (fretta in genovese) di Sciô Aldo e grazie al “risveglio” finalmente della procura di fronte a un corruttore senza scrupoli, oltre ogni motivabile pretesa, e di fronte a dei corrotti senza dignità né politica né personale, oltre ogni indecenza, pure ammessa realisticamente, se in misura tollerabile, nell’esercizio pratico del potere.
Qual è la lezione in attesa di vedere gli ulteriori sviluppi della vicenda giudiziaria e delle sue conseguenze politiche? Purtroppo, ancora una volta, è emerso come nel porto gli interessi privati, individuali e ancora di più se solidali, tendono a prevalere con tutti i mezzi possibili su quello pubblico. Forse nel gioco delle parti ci si aspetta che il punto di equilibrio lo si raggiunga grazie all’azione dell’amministrazione pubblica, a cui la legge consegna poteri, strumenti e autonomia sufficienti, se sono riposti nelle mani e nelle volontà di dirigenti e funzionari consapevoli del ruolo essenziale rivestito. È quello che ci aspettiamo anche noi cittadini, che non potendo contare sulla morale o sul senso dello stato di chi persegue solo il profitto, sia almeno l’esercizio autorevole e responsabile dell’amministrazione pubblica a evitarci di assistere in futuro a una vicenda così scandalosa e penosa, che invece della promessa di un porto moderno e affermato, illustrato dai grandi operatori internazionali, ci restituisce un porto da tre soldi in mano a un Mackie Messer e alla sua banda. (riccardo degl’innocenti)
Come non essere d’accordo! La storia racconta una situazione che si trascina da molto tempo, con gravi ripercussioni sulla vita della città e non solo. Le conseguenze di questo devastante gioco alla ricerca del profitto e dell’accettazione della speculazione come mezzo per raggiungere e consentire obiettivi e vantaggi privati sono evidenti a tutti. Le Istituzioni si stanno corrompendo. Purtroppo anche quelle culturali (penso all’Università), che hanno perso credibilità e sono incapaci di opporre scienza, razionalità e imparzialità ai comportamenti deviati e opportunistici. Per i giovani, che spero leggano questi interventi, si profila un futuro davvero impegnativo. A dir poco.