Il libro era sulla sella del motorino. Le pagine sono rilegate con filo di spago in una copertina ricavata dai dépliant di un supermercato che invita a comprare succhi di frutta a pera. All’interno un biglietto: “Abbiamo il tuo numero. Ci faremo sentire presto”. Così ho incontrato i Corona tours, un insieme di testi elaborati e messi insieme da un collettivo anonimo nel corso della pandemia.
“Questo libro si è infiltrato nel tuo spazio privato che consideravi il tuo avamposto fortificato della stabilità sperata contro la supposta pericolosità dell’esterno”. La premessa “Partenze in arrivo” spiega il viaggio tra le fratture emotive e materiali generate dal Covid. Chi intraprende questo percorso deve sapere che verranno svelati i lati fragili delle nostre vite, quelli che per vergogna nascondiamo anche a noi stessi. In fondo, la pandemia e il lockdown (parole che hanno ossessionato i nostri discorsi) hanno provocato una distorsione spazio-temporale che ha stressato i nostri rapporti fino al limite di rottura. Il virus ha penetrato le nostre difese e le contraddizioni non solo collettive sono esplose, in molti casi senza margine di recupero. Nessuno di noi ha realmente presente cosa abbia comportato la pandemia, sensazione amplificata dalla rottura improvvisa della linearità del tempo e della sequenza ordinaria dei nostri movimenti. Inoltre, la diffusione del Corona ha mostrato la porosità dei confini: ancora una volta il mondo fisico e quello emotivo dei narratori sembrano confondersi.
La tecnica scelta per queste pagine iniziali è complessa, somiglia ad un flusso di coscienza: «poiché la sporcizia – così spesso accusata di essere il trampolino del Corona – è solo una superficie unta che copre la cucitura dove l’immunità è più debole». Le parole si inseguono e rincorrono i concetti, cercano di continuo di toccare una realtà sfuggente. Il bisogno principale è capire cosa stia succedendo. Gli autori avvertono che il tour immaginario sarà mosso dal desiderio, libero da sacrifici e autonomo dai condizionamenti esterni. La destinazione non è conoscibile, bisogna solo mettersi in cammino.
Dopo qualche giorno arriva la telefonata, vogliono parlarmi di persona. Mi accorgo che non sono tutti italiani e tra di loro solo alcuni sono napoletani. I volti sono provati e si percepisce un leggero imbarazzo. Mi dicono che questa operazione vuole essere un tentativo di dialogo su quanto accaduto. Vogliono comunicare le sensazioni e le conseguenze di questi “strani giorni”. È il libro a trovarti, non lo puoi acquistare e non ci sono spazi prestabiliti dove prenderlo. L’incontro con questa lettura è assolutamente casuale. Lo hanno lasciato nei panieri, nei bar, alcune volte anche per strada.
L’introduzione si chiude e comincia la prima tappa del viaggio: “I singolari avvenimenti che danno materia a questa cronaca si sono verificati nel 194… a Orano; per opinione generale, non vi erano al loro posto, uscendo un po’ dall’ordinario: a prima vista, infatti, Orano è una citta delle solite…”. È un brano tratto da La peste. «Per questa prima tappa abbiamo scelto un testo che ci ha aiutato ad elaborare la sensazione di claustrofobia e di perdita del senso di orientamento», mi dicono. Ascolto le loro parole e mi rendo conto che ritorna il bisogno di stringere tra le mani il quotidiano che si è sgretolato con la diffusione del contagio. La sensazione di disorientamento si amplifica rileggendo Camus perché sembra raccontare le reazioni all’epidemia di una qualsiasi città del Mediterraneo.
Il collettivo non ha soltanto l’esigenza di interrogare il presente, cerca piuttosto di scappare dalla trappola dell’incomunicabilità. Quando domando della seconda tappa del viaggio avverto nelle loro parole un senso di inadeguatezza: questa prima fase è stata disciplinata da regole a cui tutti ci siamo dovuti adeguare e questo ha facilitato la riflessione collettiva. Adesso invece è tutto più confuso. Le comunicazioni governative sono contraddittorie quanto le relazioni tra le amministrazioni centrali e quelle periferiche; il virus è percepito come una variabile imprevedibile, nessuno riesce a capire se si sia modificato o se tornerà più violento di prima. Nel frattempo, le istituzioni scongiurano un secondo lockdown che potrebbe compromettere seriamente la tenuta del sistema (spaventato per alcuni segni di cedimento), motivo per il quale i media cercano ora goffamente di tranquillizzare il consumatore per riattivare la macchina degli acquisti. Ma le riserve scarseggiano.
Il brano di Camus si interrompe e il primo tour si chiude con il disegno di un naufragio. “Le onde andranno a crescere assai furiose assieme ai pochi sopravvissuti quando da un porto qualunque le nuove navi giganti partiranno con calma. I loro ponti saranno più alti, più spesse le mura, ancor più profonde le stive. Non avranno scialuppa di salvataggio, né alberi da scalare, né nidi, né corvi”. Il primo viaggio è stato difficile, forse ci sarà una seconda tappa ma non saprei dirvi dove cercarla. Gli autori vogliono che siano i Corona tours a trovarvi. (luigi romano)
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