Che la piazza ieri fosse pienissima, immagino sia stato evidente anche dalla televisione; la composizione era varia, come le altre piazze che si sono succedute a Roma in questi mesi. In altre occasioni, almeno nelle due in cui ci sono stato io, erano stati espressi contenuti puntuali, documentati e largamente condivisibili.
Ieri, per quello che sono riuscito a sentire, dal palco venivano per lo più appelli generici e populisti, ruggiti a voce roca. La piazza partecipava comunque con energia. Era evidente – per noi – la presenza fascista sul palco, ma nella piazza no. C’era sicuramente una componente di destra, ma la stragrande maggioranza erano persone semplicemente incazzate. Ma veramente incazzate. C’è stata però una novità politica non da poco. Per la prima volta, un nutrito gruppo di oltre un centinaio di compagni e compagne è uscito allo scoperto. Abbiamo deciso di manifestarci, di scendere a testa alta, senza timore di essere indicati come “la sinistra responsabile di questo scempio” (dal momento che quella sinistra la combattiamo da decenni), oppure di essere aggrediti da quei “compagni” che ci ritengono dei fiancheggiatori della pancia irrazionale delle piazze di destra. Eravamo presenti con due striscioni e con diverse tipologie di volantini: ogni gruppo, collettivo o singolo ha portato il suo, in una pluralità di ricchezza; ne sono stati distribuiti centinaia. Sullo striscione principale vi era la scritta “No al green pass – No allo stato d’emergenza – Disertiamo la guerra del Capitale”. L’altro recitava “Il 15 ottobre non andrò a lavorare. Non penso che ci andrò il giorno dopo”. Avevamo due megafoni e scandivamo slogan continuamente, senza tregua; vicino a noi si sono aggregati decine di Vigili del Fuoco in lotta; a pochi metri oltre cento operatori sanitari.
Appena arrivato in piazza – ero in ritardo perché le strade, anche distanti, erano tutte bloccate – ho sentito dire dal palco: «Altri quattro interventi e poi ci prendiamo Roma!». Pertanto, è evidente che il corteo era stato premeditato e organizzato in anticipo. Effettivamente, dopo una mezz’oretta, in mezzo al frastuono che facevamo, ho sentito ripetere un paio di volte dal palco «Andiamo alla Cgil!» e gran parte della piazza ha applaudito. La posizione diffusa tra la gente, riportata da diverse signore anche nella nostra assemblea-comizio finale, era che i sindacati non hanno difeso i lavoratori dal ricatto del Green Pass: ho percepito chiaramente una diffusa e lucida consapevolezza. Quando gli organizzatori sono scesi dal camion-palco e si sono incamminati verso l’uscita della piazza, noi siamo rimasti incerti sul da farsi e abbiamo cominciato a discutere collettivamente.
Gran parte della piazza li ha seguiti nel corteo; io l’ho vista sfilare per oltre quindici minuti e ho osservato da vicino i visi delle persone: quasi tutte erano persone normalissime, anche con l’aria mite, ma con una carica, una rabbia, un’energia che in quel momento avrebbe travolto chiunque si fosse frapposto. Non ce n’è stato comunque bisogno, perché la polizia non ha opposto alcuna resistenza all’avvio del corteo, che si è subito addentrato in Villa Borghese, in direzione di corso Italia, dove si trova la sede nazionale Cgil.
Poco dopo, sul lato opposto della piazza si è verificato un lungo fronteggiamento fra un migliaio abbondante di persone e la polizia, che con i blindati di traverso e con diverse file di celerini già pronti alla battaglia, ostruivano le vie del “tridente”, che porta verso i palazzi del potere. Lanci di sedie, sgabelli, cariche di alleggerimento, lacrimogeni, bombe carta… un ragazzo è persino salito in piedi su un blindato e ha raccolto un’ovazione dalla piazza. Qualcuno ci ha riferito che chi stava compiendo quell’azione era rimasto in piazza per non andare dietro ai fascisti. Era comunque una situazione logisticamente e militarmente disperata, che non aveva alcuna chance di vittoria.
Noi eravamo ancora fermi nell’angolo dove ci eravamo concentrati all’inizio, e abbiamo deciso di fare un corteo autonomo per andare a bloccare il Lungotevere, per volantinare, creare ostacolo alla circolazione, rendere ingovernabile un altro pezzo di città. Siamo riusciti a portarci dietro oltre un migliaio di persone, gridando slogan quali “Fiducia nello Stato non ne abbiamo, la salute è nostra e non la deleghiamo”, “Contro lo Stato d’emergenza: autorganizzazione, resistenza”, “Draghi boia”, “Coprifuoco, alienazione e lutto, pagherete caro, pagherete tutto”, eccetera. Abbiamo bloccato un paio di chilometri di Lungotevere, facendo impazzire le macchine dei vigili urbani che cercavano di capire dove volessimo andare. È stato un corteo determinato e gioioso, incazzato e allegro.
Qualcuno di quelli che si era aggregato a noi ci chiedeva con insistenza di riconnetterci al grosso del corteo che nel frattempo (noi ancora non sapevamo niente della Cgil) era arrivato a piazza San Silvestro, praticamente a poche decine di metri da Palazzo Chigi.
Noi non ci siamo cascati e abbiamo imboccato la militarizzatissima via del Corso, ma in direzione di piazza del Popolo, prendendo così alle spalle la polizia che la blindava in uscita. La valutazione che abbiamo condiviso camminando è stata che avevamo fatto una cosa davvero bella e preziosa e quindi dovevamo portare a casa questo importante risultato, non sprecarlo rischiando cariche e mettendo a rischio le persone. L’obiettivo che ci eravamo dati per questa giornata era stato raggiunto: visibilità, internità al corpo sociale, comunicazione dei nostri contenuti… insomma una sorta di rottura del ghiaccio. Una sorta di “autolegittimazione”, di acquisizione di sicurezza nel poter stare in quel tipo di piazze.
Il corteo, preceduto da qualcuno di noi che era andato a comunicare alle guardie già pronte che volevamo semplicemente rientrare, è stato accolto nella piazza da applausi e gioia dai tantissimi che ancora erano lì. Abbiamo affisso gli striscioni alla base dell’obelisco e abbiamo tenuto un comizio-assemblea con interventi aperti a tutti. Grande era la soddisfazione tra i compagni e le compagne, con cui ci siamo dati appuntamento per lunedì a piazza della Repubblica per il corteo.
UN COMMENTO A MARGINE
L’azione alla Cgil è stata operata dai fascisti; bisogna dire che dalle immagini si vedeva che avevano parecchie persone al seguito, che applaudivano fuori dalla sede sindacale. Non credo fossero tutti fascisti organizzati con loro, non hanno tale forza, ritengo si trattasse di una rabbia mal guidata.
Sicuramente l’atto commesso è grave e l’obiettivo non è stato scelto a caso. Non sono andati alla Cisl, ma hanno scelto il sindacato che nell’immaginario è quello di sinistra.
La Digos, che registra ogni nostro sussurro, non può non aver sentito le intenzioni bellicose espresse dal palco: li hanno lasciati fare. Non a caso l’atteggiamento dei media è cambiato: non oscuramento totale come successo finora, bensì massimo risalto; e questo – mi pare di aver capito – anche prima dell’assalto alla Cgil. Hanno capito che gli faceva gioco dare spazio a questo movimento per criminalizzarlo e quindi rafforzare la politica del governo. È un gioco che conosciamo a memoria da alcuni decenni, è la sapiente arte della gestione del potere e del consenso intorno ad esso.
Certo, ora probabilmente sarà ancora più difficile ottenere spazi di agibilità, però questo circuito antagonista che si è ritrovato in quest’ultimissimo periodo a Roma ha intenzione di esperire percorsi indipendenti dalle altrui convocazioni e di essere protagonista di prossime iniziative, anche di autoformazione, oltre che di lotta. A partire dal 15 ottobre. (un manifestante)
1 Comment