Dal 27 aprile al 1 maggio si sono svolti due festival del fumetto a Napoli. La diciannovesima edizione del Comicon e la prima del Uè Fest. Il Comicon è ormai un appuntamento fisso per gli amanti del fumetto e dei videogiochi. Dopo le prime edizioni dedicate esclusivamente al fumetto, dal 2010 il Comicon si è fuso con il Gamecon (festival del gioco e videogiochi) e trasferito nella più capiente e comoda Mostra d’Oltremare.
Questa fusione ha causato un progressivo deterioramento dell’anima della manifestazione, facendo crescere un senso di confusione acuito dalla contemporanea esplosione del fenomeno dei cosplay, individui di età relativamente giovane (ma ne sono stati avvistati anche di più maturi) che amano travestirsi come il proprio eroe preferito dei fumetti, dei cartoni animati o dei videogiochi, spesso giapponesi. Da qualche anno sono una presenza fissa a questo tipo di manifestazioni (vedi anche il Lucca Comics & Games). Andare al Comicon oggi significa girare spaesato tra una miriade di ragazzini travestiti che combattono battaglie interstellari tra di loro. Anche quest’anno si è registrato il boom di visitatori e il tutto esaurito, ma il semplice amante del fumetto si sente scoraggiato. In questa baraonda nipponica è diventato impossibile osservare con attenzione un solo disegno o libro interessante. Perché un fumetto deve essere necessariamente abbinato a un videogioco? Certo, bisogna fare cassa, ma così si rischia di confinare il fumetto in un circuito che non deve appartenergli per forza, creando un unico calderone ribollente dove ogni cosa perde di credibilità.
Poi ci sono gli eventi inclusi nella rassegna Comicoff, che non trovano spazio all’interno della Mostra e sono quindi ubicati in giro per la città. Tralasciando la necessità di dividere un festival in “dentro” e “fuori” (cosa che potrebbe sembrare una divisione tra chi merita di essere incluso e chi non ancora, ma ci gravita intorno), si possono vedere cose interessanti.
Incluso negli eventi Comicoff è anche il Uè Fest, festival del fumetto indipendente e autoproduzioni. Ospitato all’interno dello Scugnizzo Liberato (ex carcere minorile, da qualche anno occupato e gestito da attivisti), il festival è stato gestito da autori underground, in sintonia e in collaborazione con altri festival del genere come il Crack! di Roma e il Ca. Co. di Bari. Oltre a un ampio spazio dedicato ai banchetti delle autoproduzioni (fumetti, stampe, magliette, ecc.), si potevano ascoltare concerti e vedere mostre come quella BHAP dedicata a tutta l’arte delle controculture. Non c’era traccia di cosplay.
Un festival di questo genere è il primo a Napoli e risulta necessario in un periodo di grandi eventi istituzionalizzati. Negli enormi spazi dello Scugnizzo chiunque ha potuto far vedere il proprio lavoro, anche se a predominare è stata quell’estetica caotica debitrice degli anni Sessanta/Ottanta che ha un po’ esaurito il suo mordente e risulta fuori tempo massimo.
In conclusione si può dire che ci vorrebbe una via di mezzo, un festival del fumetto che abbia lo slancio e l’energia dei festival autoprodotti, che non disdegni aiuti dall’alto, cercando però di mantenere la propria autonomia e la capacità di valorizzare le produzioni più valide e originali. Qualcosa di meno confusionario, che vada oltre l’idea di disturbare per forza, tipico di certe produzioni underground, ma anche oltre la coltre patinata e la voglia di mescolare tutto di certi festival di successo. (diego miedo)
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