Diego Armando Maradona è tornato a Napoli con un volo privato. È tornato per ricevere la cittadinanza onoraria dalle mani del sindaco Luigi de Magistris in piazza del Plebiscito, nella serata-evento dal titolo “Effetto Maradona”. Alloggia all’Hotel Vesuvio (dal balcone della sua camera ha concesso un sorriso a chi intonava cori), ripartirà giovedì mattina verso la Svizzera per presenziare a un evento della FIFA. Dopo una breve sosta in albergo è stato accompagnato ieri al ristorante D’Angelo in via Aniello Falcone per la conferenza stampa di presentazione della serata. Il menù del ristorante prevedeva: antipasto di pizze fritte e margherite di Enzo Coccia (pizzeria La Notizia), una sfoglia di seppie con cantalupo e menta, risotto con porcini e profumo di tartufo, il filetto alla Wellington (un pezzo di carne cotto nella pasta sfoglia che prende il nome dall’insaziabile generale inglese che sconfisse Napoleone a Waterloo), semifreddo di Poppella, la torta. Non è dato sapere dove si nutrirà Diego Maradona nella giornata di mercoledì.
Il consigliere comunale del Partito Democratico Federico Arienzo ieri mattina in commissione Trasparenza chiedeva all’amministratore di ANM quale fosse il debito del comune di Napoli con la propria partecipata. Nessuna risposta. Qualche giorno fa lo stesso Federico Arienzo aveva condiviso sui social il suo disappunto per l’onorario di Maradona: “Per venire a ricevere il riconoscimento più prestigioso ha preteso di essere pagato. Avrà ben duecentotrentamila euro. Dedicato a tutti quelli che mi criticarono quando in consiglio votai contro quel provvedimento”. Dopo pochi secondi l’importo era sparito dal diario pubblico di Arienzo, restava però l’accusa. Dopo qualche minuto arrivavano le prime reazioni. Fulminea quella del sindaco: “Il Comune non caccerà un euro, se Maradona avrà dei soldi vorrà dire che sono quelli degli sponsor”. E in effetti nella sala conferenze del ristorante gli sponsor abbondano. Resto colpito dallo schieramento di passate La Torrente, le bottiglie rosse che sembrano soldati, come diceva quel grande scrittore russo.
Maradona arriva alle 19:50 al ristorante. Cura l’evento l’agenzia di comunicazione Breakpoint ADV. Slogan: “La nostra creatività nasce dall’ascolto. Un’accurata fase di analisi ci consente di tradurre i bisogni del cliente in singole opportunità di business”. Non deve essere durata poi molto l’analisi se sull’altare del business è stata sacrificata la comodità dei giornalisti, ammassati come negli autobus nel traffico dell’ora di punta. I gomiti si fanno sentire mezz’ora prima dell’arrivo di Diego. Tra giacche sudate ed espressioni rabbiose ogni centimetro diventa rugiada. Stipato tra due macchine fotografiche penso a parole come ressa, linciaggio, angheria, furore, pressione, primeggiare, e le sincronizzo con le gocce che scendono dalla fronte alla punta del naso. L’attesa è scandita anche dalle voci squillanti dei corrispondenti in diretta televisiva: nessuno li guarda ma tutti li ascoltano.
Ricordo quando Maradona venne a Mercogliano, nella sede della tv privata dove lavoravo da due anni. Fu un incontro organizzato dal mio ex editore, manco a dirlo fanatico del Pibe: finanziò l’intera operazione a cinque zeri per pochi minuti di intervista. Pensavo di vederlo, almeno in quella occasione: invece l’accesso agli studi fu impedito anche a me, che ripiegai facendomi immortalare con il fratello di Diego, Hugo, campione del Giappone con la maglia del Fukuoka. Forse Maradona deve restare un idolo, pensai. Deve rimanere lontano.
I piedi bruciano, dietro di me c’è Capri, lo so. Tra me e l’isola una serie di terrazzi coibentati di verde, giallo, cremisi. Maradona arriva preceduto dal suo avvocato Pisani, fiancheggiato da Ciro Borriello, assessore allo sport, e dal comico Alessandro Siani. Risponde ai cronisti: «Mi sono sempre sentito cittadino di Napoli, da quando ho messo la maglia numero 10 per la prima volta; giuro su mia madre che non ho preso una lira, a quello che dice questo sputerei in faccia; il Napoli può vincere lo scudetto, Hamsik può battere il mio record». Ha un ritmo compassato, non è bruciante come in campo ma crea suspense allo stesso modo. Siani descrive il programma di Effetto Maradona: «Ricorderemo i grandi del passato: Sofia Loren, Pino Daniele, Troisi, Totò. Sul palco ci saranno Maurizio De Giovanni, Lina Sastri, Nino D’Angelo, Serena Rossi, Tommaso Primo. Presentati dal telecronista-tifoso Raffaele Auriemma, sfileranno i campioni del passato», quelli dello scudetto ‘87 che meno di due mesi fa hanno dato vita a una surreale amichevole a Casoria per festeggiare il trentennale dal tricolore. La presenza di Belen è ancora una incognita.
«La società è malata», dice Maradona riferendosi alle illazioni sul suo compenso. I tifosi della Curva A hanno esposto ieri uno striscione all’esterno dello stadio: “5 luglio… non l’ha voluto la città ma un sindaco a caccia di soldi e pubblicità”. Un “effetto Maradona” diverso dal solito: ieri ad aspettare Diego nei pressi del ristorante c’erano due camionette della polizia ma neanche un tifoso. Sulla terrazza del ristorante gli ospiti di Maradona attendono il turno per la fotografie. Giacche di quadri e camicie attillate, mocassini e montature bizzarre, pantaloni bianchi e tubini forzati, gli uomini fanno la fila per una pizza fritta di Enzo Coccia, discutono di affari provando a gestire la ricotta in eccesso. Si intravedono pipe d’avorio e seni illuminati da cosmetici al glitter, una camicia rosa con il colletto bianco, guardie del corpo cubiche con i capelli impomatati, lo stile di Ibiza mescolato alla professionalità delle grandi menti imprenditoriali campane. A Maradona arrivano regali d’ogni tipo: quadri, mozzarella, fotografie. Roba per ora accatastata nella sala grande.
Si parla di un “safety plan” presentato dallo staff dell’assessore Borriello. Due presenze per metro quadrato, questa sera in piazza del Plebiscito: totale trentaduemila, filtrati già dal pomeriggio da piazza Trieste e Trento e da Santa Lucia. Quando i conta-persone segnaleranno la quota fatidica la piazza sarà chiusa. “Sicurezza” è un’altra parola chiave per l’amministrazione di una città (quella Unesco) che ormai si blinda anche per le tammorre a piazza del Gesù ma che in quanto a servizi è sempre più decadente. Sarà l’immagine di Capri in lontananza o questi copri-sedia di velluto, ma Effetto Maradona da via Aniello Falcone sembra più un grande evento studiato e voluto per quelle duecento mani curate che possono toccarlo davvero, el Diez. Al popolo nella piazza del popolo, come dice il sindaco, resteranno le briciole delle parole già ascoltate, i piedi dolenti e l’ennesima illusione.
I grandi del passato, i campioni del passato, la passata di pomodoro. Se c’è ancora questa attesa è perché per alcuni la città ha avuto “il momento di riscatto” trent’anni fa, grazie a Maradona. Quest’espressione abusata è ormai un assunto: il nostro momento fu trent’anni fa e si dà per certo che non ce ne sarà un altro, il riscatto c’è una volta sola, non è un fatto che si ripete. Nessuno parla di riscatto per lo scudetto del ‘90, nessuno parlerà di riscatto per lo scudetto del 2018. Da quale schiavitù o prigionia ci liberammo nel 1987? In che modo abbiamo mantenuto questa libertà negli ultimi trent’anni? Ce lo dirà precisamente il sindaco questa sera. Le sue parole sono già in archivio da sei anni a questa parte: meridione, autonomie, poteri forti. (davide schiavon)
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