Alla fine dell’estate, durante i lavori in campagna, può capitare che s’alzi una folata d’aria più fresca e che nuvole scure coprano d’improvviso il cielo. È un temporale in avvicinamento. I lavori sulla terra s’interrompono e si aspetta sotto un riparo il passaggio dell’acquazzone. La tornata elettorale, per noi, è come un fenomeno atmosferico inevitabile: grondano parole che, a differenza della pioggia, ci sembrano sterili. Arrivano, lo sappiamo, e se ne andranno via per confermare nuovi, vecchi assetti di potere. Così ci fermiamo un momento per scrutare il cielo, ma soprattutto per valutare il lavoro svolto finora e considerare quello da realizzare ancora.
“Torino [è] bellissima, se difendiamo l’ambiente [e] la casa è un diritto. La città che ti somiglia, Torino torna grande [e] le tue esigenze contano. Torino domani, Torino riparte, avanti insieme! Lavoro, scuole, salute senza ricatti. Basta profitti sulla pelle delle persone: basta giocare, è ora di fare. Insieme cambiamo Torino, Torino capitale d’Europa, grande, forte e unita; Torino per la cultura e la solidarietà, beni comuni e libertà. Ascolta, progetta, cambia Torino [che] c’è da fare, c’è da cambiare”. I manifesti elettorali si affastellano sui muri e nei viali della città con colori diversi, inquadrature simili e slogan pressoché omogenei, generici. Giustapposti, sembrano comporre un discorso univoco, oscuro pur nella sua banalità, e che richiede la complicità di chi legge per essere compreso. Anche i programmi elettorali, come gli slogan, ambiscono a essere universali e onnicomprensivi. Noi, invece, siamo costretti a ragionare per punti, o frammenti. Non riusciamo a comporre un discorso sulla metropoli che sia concreto e al contempo complessivo, allora rinunciamo all’ambizione d’un pensiero generale. Ci restano le situazioni materiali che sfuggono alla lingua elettorale e forse la sfatano.
Da due anni un muro di cemento circonda il piazzale di San Pietro in Vincoli, dietro al vecchio cimitero di Borgo Dora. La barriera impedisce il ritorno degli straccivendoli esiliati con la forza della celere e la minaccia delle multe. Gli accessi sono stati aperti soltanto in primavera, in occasione del Giro d’Italia: il parcheggio accoglieva auto di squadre e gazzette perché vicino s’apriva un punto di accredito per giornalisti e addetti. C’erano stendardi rosa lungo la via acciottolata di canale Molassi. Quando il corteo di vetture se n’è andato, gli operai comunali hanno ristabilito il confine di cemento. Uno sguardo locale, e ristretto, riesce a mettere a fuoco un legame specifico tra gli interessi privati, gli strumenti amministrativi, le forze di polizia: esempio di una violenza diffusa che esclude gli indesiderati mentre intorno s’estende un silenzio compiacente, o indifferente. Sappiamo che la città nasconde altri margini dimenticati, ma non abbiamo avuto il tempo e le energie di esplorarli. Tanti brani di quartieri sono ancora nell’inconscio.
Da via Andreis, oltre il cancello, s’apre il canale Molassi, antica via d’acqua che alimentava i mulini di Borgo Dora. Il canale è interrato e sui ciottoli gli straccivendoli disponevano oggetti ritrovati, ogni sabato. Dal canale a piazza San Pietro in Vincoli c’era un mercato d’immigrati e disoccupati ed era controllato dall’associazione Vivibalon, un ente creato a inizio secolo dall’amministrazione di sinistra per governare i cenciaioli. Mercanti più ricchi e antiquari dispongono invece i banchi nella vicina via Borgo Dora e sono rappresentati dall’associazione dei commercianti. La giunta Cinque Stelle guidata da Appendino ha emanato una delibera nel dicembre 2018, intimando l’allontanamento dei mercanti poveri di canale Molassi. Vivibalon ha obbedito, ma gli straccivendoli hanno resistito otto mesi in autonomia, fino all’intervento della celere. Sono stati cacciati per esaudire il sogno dell’associazione dei commercianti e degli speculatori immobiliari: trasformare il vecchio mercato del quartiere in fiera dell’antiquariato per turisti affascinati. Negli ultimi anni l’associazione dei commercianti affida in subappalto alcuni stalli del mercato regolare a un altro ente: Stramercatino. Durante le fiere speciali della domenica Stramercatino ha occupato parte del canale Molassi, così nuovi venditori hanno disposto merci su un territorio segnato da notti di lotta, e sgomberi. In tempo di elezioni il fondatore di Vivibalon ed ex-vicepresidente è candidato per la lista Sinistra Ecologista; la presidente di Stramercatino invece si presenta con la lista dei Moderati. I due gruppi sostengono il medesimo candidato sindaco. Questa è una contraddizione soltanto per chi s’illude che il voto esprima una visione del mondo. Dal nostro punto di vista queste candidature rivelano che gli strumenti di controllo e gestione amministrativa sono analoghi, indistinguibili. Ottobre è tempo di assestamento per le classi dirigenti della città.
All’inizio di quest’anno, com’era successo in passato in altre zone della città, cinque panchine che arredavano un tratto del Lungo Dora Firenze, tra ponte Mosca e ponte Bologna, sono state divelte. Promotore della rimozione è stato il presidente della circoscrizione 7, esponente del Partito democratico, oggi candidato per lo stesso ruolo e con lo stesso partito. Dal suo punto di vista si è trattato di una “provocazione” nei confronti delle persone che abitualmente utilizzavano quelle sedute: presenze ritenute una minaccia per la sicurezza e il decoro urbano, “stranieri” i cui comportamenti sono percepiti come pericolosi e intollerabili. Nei discorsi del presidente e in quelli della consigliera di Fratelli d’Italia, anch’essa candidata al ruolo di presidente, questi abitanti indesiderati diventano indistintamente “spacciatori” e vengono contrapposti ai residenti onesti e perbene. La stampa locale ha supportato questa narrazione. Tuttavia, anche su questo tratto di Lungo Dora si concentrano interessi molteplici: nei prossimi mesi partirà il cantiere per la riqualificazione dell’area ponte Mosca; poi si attiverà l’impresa per la costruzione di uno studentato di lusso: The Student Hotel. Dove un tempo sul prato si giocava a cricket, ci saranno camere per studenti facoltosi. Intanto è stato inaugurato ToNite, un progetto di “urban security” lungo il fiume, e sono apparse le prime telecamere Argo, la cui intelligenza artificiale segnalerà i comportamenti scorretti o sospetti. Eppure permangono delle insorgenze. Sono apparse delle panchine abusive in sostituzione di quelle tolte e, sebbene ogni volta siano state rimosse, continuano a comparirne di nuove. Il sogno della “sicurezza integrata” non può dirsi ancora realizzato: i frequentatori abituali di quella sponda non sono spariti, siedono sui parapetti di metallo, frequentano l’ultimo vespasiano del quartiere.
Su Lungo Dora Napoli un barista ha ottenuto dalle istituzioni il controllo dello spazio pubblico: può disporre tavolini e tendoni sul camminamento accanto al parapetto, fino al ponte di ferro. Il privilegio è assicurato dal protocollo “Sponde Sicure” stipulato con la circoscrizione governata dal Partito democratico. L’occupazione del lungofiume è una tattica per allontanare uomini indesiderati che passano il tempo addossati al muretto accanto alla Dora, con una bottiglia o una canna in mano. La violenza dell’esclusione si mimetizza tra serate musicali rivolte alla comunità arcobaleno. All’inizio dell’estate abbiamo dimostrato che il barista è un informatore della polizia e ha buoni rapporti con la redazione del principale giornale cittadino. Per noi era interessante osservare la genesi di un piccolo potere territoriale, esito di un’alleanza tra un esercizio commerciale, vertici della circoscrizione, dirigenti e agenti di polizia, giornalisti. La nostra ricerca è stata accolta dal Free-k Pride e discussa in strada durante il corteo di luglio. La connessione concreta con un movimento è feconda, ci sembra un barlume in un quartiere asfissiante. Le forze dominanti lungo la Dora, tuttavia, paiono sicure di sé: il barista di recente ha esposto il testo del protocollo fuori dal locale. Crediamo sia una rivendicazione elettorale: egli è candidato in circoscrizione per i Moderati, lista alleata con il Partito democratico. Per continuare a esplorare la città dobbiamo essere consapevoli dei limiti della scrittura, circondata dal silenzio o da una calcolata indifferenza.
Il vecchio mercato ortofrutticolo all’ingrosso della città (Moi) era a sud, vicino alla ferrovia e al Lingotto. Dopo la dismissione, l’area dell’Ex-Moi ha accolto palazzine costruite per ospitare atleti e giornalisti durante le olimpiadi invernali del 2006. Finito lo spettacolo, alcuni edifici – già decadenti e male in arnese – sono stati abbandonati. Anni dopo – era il 2013 – donne e uomini africani hanno occupato quattro palazzine vuote nell’area dell’Ex-Moi. Erano rifugiati scappati dalla Libia in guerra e poi estromessi dai programmi di accoglienza in Italia. L’amministrazione Appendino e Compagnia di San Paolo hanno collaborato per smantellare l’occupazione, creando il progetto “MOI – Migranti un’Opportunità d’Inclusione”. Nelle parole del potere e dei giornali s’è trattato di uno “sgombero dolce”, fondato sul negoziato e l’offerta di casa e di lavoro. Nei fatti, chi si è ribellato al progetto ha trascorso un anno di carcerazione preventiva, ogni palazzina è stata circondata dalla celere nei giorni di sgombero, la polizia ha offerto documenti in cambio della resa, ad alcuni abitanti sono stati proposti lavoro e abitazioni temporanei. Questo settembre la fondazione bancaria ha scritto: “Con la collaborazione di trenta enti del terzo settore, sono stati liberati gli spazi delle quattro palazzine, con particolare attenzione alle esigenze delle persone e alla loro situazione documentale, per accompagnarle verso condizioni di progressiva autonomia e inclusione.Le palazzine si trasformeranno in un nuovo spazio di social housing […]. Un esempio virtuoso, quello del MOI, che dimostra l’importanza della collaborazione tra istituzioni per trasformare situazioni critiche in grandi opportunità”. Per quale motivo i programmi elettorali dei principali candidati non nominano la Compagnia di San Paolo? Negli anni abbiamo criticato le rappresentazioni dell’
Tra il 2014 e il 2015 è stato smantellato il campo di Lungo Stura Lazio – la Barcaiola, il Platz – nella zona nord di Torino. Uno spazio abitato per circa quindici anni da duemila persone, dove vivevano famiglie povere e immigrate, rom e non rom, che non potevano pagare un affitto e che vivevano in baracche auto-costruite con materiali di recupero. Da Lungo Stura Lazio molte famiglie sgomberate ed escluse dal progetto “La città possibile” si sono trasferite nel campo di via Germagnano. Qui gli abitanti sono raddoppiati nel 2016, ma nell’agosto del 2020 amministrazione e forze dell’ordine hanno distrutto tutte le baraccopoli. La dissoluzione del campo più grande è stata accompagnata dall’offerta di mille euro ad alcuni esiliati, da impiegarsi per trovare, lontano, una “casa civile”. Abitanti fuggiaschi di via Germagnano hanno poi costruito poche abitazioni di fortuna in un bosco urbano accanto a via Reiss Romoli, a sud della Stura, ma sono stati sgomberati dopo poche settimane. L’amministrazione Appendino ha continuato così una politica di distruzioni e promesse inconsistenti sperimentata già dalla giunta precedente. Nei programmi elettorali di questa stagione leggiamo ancora di “superamento dei campi nomadi” e di “inclusione”, ovviamente secondo il presupposto della “legalità”. Intanto in piazza Crispi, zona Barriera di Milano, si vigila affinché gli sgomberati non parcheggino i camper e non tentino di riorganizzarsi. La distruzione delle baraccopoli non è l’unico sintomo di una decennale assenza di politiche abitative. Nel maggio dello scorso anno, in piena ondata pandemica, i senza dimora costretti a lasciare Piazza D’Armi dopo la chiusura del dormitorio per l’emergenza freddo hanno protestato in presidio davanti a una silente sede del Comune. Osservare e raccontare la repressione, il controllo e le forme di resistenza degli oppressi è l’opportunità per studiare le tecniche di governo, ma anche per affinare gli strumenti adatti a intravedere possibili insorgenze a venire, conoscerle e sostenerle. (nm torino)
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