M. e A. sono una giovane coppia di lavoratori bengalesi che vivono a Ciampino. I loro connazionali M. e S. abitano dall’altro lato dei binari: la ferrovia spezza in tanti quartieri separati la città di Ciampino, un territorio di undici chilometri quadrati, quasi quarantamila abitanti e il secondo aeroporto di Roma, subito fuori dal Grande Raccordo Anulare. Le due famiglie vivono in appartamenti fatiscenti, esposti a correnti d’aria, umidità e muffa, con infissi vecchi e necessità di interventi strutturali mai effettuati dai proprietari: hanno bambini piccoli che si ammalano spesso, forse anche per le pessime condizioni degli immobili. Una delle due coppie ha ricevuto un avviso di sfratto e l’altra potrebbe riceverlo da un giorno all’altro. Vicini, attivisti per il diritto all’abitare e altri residenti sotto sfratto stanno provando ad aiutarli a resistere e trovare una soluzione abitativa dignitosa.
Lo stesso succede a L. e A., una coppia di anziani cittadini italiani. I loro problemi di salute sono gravi, e la coppia ospita anche un parente disabile. Da un giorno all’altro si sono trovati senza reddito di cittadinanza, e i lavori informali che svolgono ancora nonostante l’età non bastano più a sostenere il costo dell’affitto. Non pagano i canoni da dieci mesi, per cui hanno un debito di alcune migliaia di euro con il proprietario, che invece possiede oltre cento appartamenti messi a rendita su tutto il territorio di Ciampino. Anche loro rischiano di essere buttati per strada.
La città di Ciampino è in continua transizione, tra città dei servizi e città delle rendite. È un processo iniziato quando i possidenti di terreni a vigna si trasformarono in costruttori, approfittando della fame di case che aveva caratterizzato le dinamiche sociali del Novecento. L’agglomerato iniziale è nato tra le rivendicazioni contadine per la terra e il cooperativismo edilizio piccolo-borghese degli anni Venti, a servizio delle utopie urbanistiche delle “città giardino”; ma gli appezzamenti agricoli ottenuti con le lotte sono diventati terreni per l’edificazione, e il mattone ha dato casa e lavoro a tutti gli abitanti. Come molti centri urbani, frazioni e borgate limitrofe, nate e cresciute nella campagna romana tra le due guerre, qui il suolo ha sempre rappresentato la principale risorsa economica, la più ambita poiché la meno disponibile.
Oggi Ciampino non è solo la città più densamente popolata del Lazio, ma anche quella con la più alta percentuale di consumo di suolo. Le betoniere non si sono fermate neppure nel 2020 della pandemia. Gli sfratti di oggi sono il risultato di una trasformazione demografica che si muove di pari passo con la cementificazione. La città residenziale si espande verso l’esterno, il centro urbano viene preso d’assalto da colossi multinazionali, grande distribuzione organizzata, poli del capitalismo di piattaforma, che lo trasformano in merce, in un hub dei servizi utile ai consumatori ma sempre meno vivibile per gli abitanti, i quali, se ne hanno la possibilità, vanno via. Il risultato è lo stesso in quasi tutta la periferia: le classi medie, sempre più sedotte da una visione della casa di proprietà come investimento, abbandonano i centri urbani costruiti dalle élite palazzinare; molti vendono o mettono in affitto i vecchi appartamenti per comprare in zone considerate migliori. Così i centri si impoveriscono e restano in balìa delle crisi sociali e immobiliari, con le classi popolari sempre più esposte al rischio di perdere la casa.
L’ultima delle crisi è l’incombere del Giubileo del 2025. Come in tutta la periferia romana, l’appuntamento del cattolicesimo globale fa gola ai vecchi e nuovi speculatori, attratti dalla preziosa posizione di questo quadrante periurbano, con l’aeroporto internazionale, uno snodo ferroviario importante e la buona connessione con le aree di intervento per il Giubileo a Tor Vergata. L’aumento degli sfratti di questo periodo, con ogni probabilità, è legato alla necessità di mettere a rendita gli appartamenti del centro urbano per affitti turistici brevi, trovando il modo di sbarazzarsi degli inquilini più poveri, morosi anche di pochi mesi e per pochi euro. Le ordinanze di sfratto si accompagnano spesso a un disinvestimento pianificato nella manutenzione ordinaria degli immobili, fino a renderli quasi invivibili.
In tutta la provincia di Roma, naturalmente, la politica legifera in complicità alle piccole e grandi lobby che vogliono lucrare sul territorio in vista del Giubileo. Pensiamo alla proposta di legge della regione Lazio di “liberalizzare” la trasformazione di seminterrati e cantine a scopo abitativo, oggi il più delle volte affittati in nero a persone escluse dal mercato della casa regolare, che restano così senza tutele ed estremamente ricattabili dalle proprietà. Nei centri storici dei Castelli romani molte persone vivono in seminterrati fatiscenti, insalubri, con scarsi requisiti igienici, assolutamente poco sicuri. Oltre a dare una copertura legale a questo stato di cose, l’obiettivo dell’intervento legislativo sembra proprio quello di alimentare il proliferare di affitti brevi, di strutture ricettive extra-alberghiere, vani per il turismo mordi e fuggi, in vista dell’appuntamento che vedrà accorrere i pellegrini in cerca di tali sistemazioni. La trasformazione dei paesi periurbani in aree iper-turisticizzate ha conseguenze già evidenti in termini di minore vivibilità, aumento del canone degli affitti, spopolamento da parte dei residenti.
Le trasformazioni accelerate dall’arrivo del Giubileo non si limitano infatti allo spazio “privato” della casa, ma investono anche lo spazio pubblico della città, il territorio nel suo insieme, l’ambiente naturale che circonda e penetra il contesto urbano. Il sindaco di Roma Gualtieri è stato nominato Commissario straordinario per il Giubileo, un incarico conferito dal governo nazionale, che lo investe di una serie di poteri aggiuntivi sulla governance della Capitale. Tra questi c’è anche la possibilità di agire per liberare finalmente l’area di viale Palmiro Togliatti dagli autodemolitori che nel luglio 2022 erano andati in fiamme: un rogo che aveva messo a repentaglio la salute e l’incolumità di molti residenti di Roma sud-est. La zona è stata inclusa in uno dei cinque progetti del Giubileo, che prevede l’allestimento di strutture sportive e ricreative (forse anche ricettive…) nel Parco di Centocelle, adesso un’area per lo più desolata tra il quartiere e l’ex aeroporto militare. La “riqualificazione” del parco prevederebbe anche il trasferimento degli sfasci della Togliatti: ma come accade per l’inceneritore collocato a Santa Palomba, vicino a Pomezia, anche gli autodemolitori verranno spostati in un’area della periferia estrema, a ridosso del confine con la provincia, in un’area chiamata La Barbuta.
La Barbuta è un’area che il piano regolatore del 2008 destinava a verde pubblico. È sottoposta a diversi vincoli; sorge vicinissima al centro abitato di Ciampino, in prossimità della pista aeroportuale, della Sorgente Appia e del Parco dell’Appia Antica. Per oltre quindici anni ha ospitato una vergognosa baraccopoli monoetnica istituzionale, che il sindaco Veltroni chiamò “Villaggio della solidarietà”, in un tripudio di ipocrisia. Il campo fu chiuso due anni fa, dopo che una sentenza del Tribunale di Roma nel 2015 ne aveva decretato il carattere discriminatorio. In seguito, una rete di smaltimento illecito di rifiuti nella zona venne definita da alcuni giornalisti “la terra dei fuochi capitolina”. Oggi quest’area, invece di essere bonificata e destinata alla sua funzione originale di parco archeologico, rischia di vedere delocalizzato un intero polo industriale, con un impatto prevedibile sul tessuto urbano e sull’equilibrio biologico delle aree verdi protette. Proprio l’incendio del 2022 dimostra come l’idea di concentrare così tanti autodemolitori in un’unica area non sia un modello da seguire; eppure il modello viene riproposto, semplicemente spostandolo un po’ più in là! Proprio il 12 gennaio il sindaco ha chiesto al ministero della cultura una deroga “urgente” al vincolo archeologico, per poter trasferire gli autodemolitori. L’urgenza fa sorridere, visto che di questo trasferimento si parla da prima del Giubileo del 2000.
C’è una periferia oltre la periferia, che viene sistematicamente ignorata da chi ne dovrebbe rappresentare gli interessi. Gualtieri, come Raggi prima di lui, non è stato eletto in Provincia ma ha ampi poteri decisionali su di essa. È così che si creano territori di serie B: accade per le frazioni rurali di Albano e Ardea, coinvolte nelle politiche capitoline sui rifiuti che puntano a realizzare quaggiù discariche e inceneritori; per i comuni di Anzio e Ladispoli, dove il comune di Roma assegna le case popolari romane; e naturalmente per le zone dei laghi come Bracciano e le foci del Peschiera, da dove si estrae l’acqua che consuma la città. Il periurbano vive nelle contraddizioni del “capitalismo dello scarto”, che estrae le risorse di cui ha bisogno e poi relega le classi lavoratrici povere in aree sempre più lontane e delimitate, chiuse in una morsa di centri commerciali e discariche, depositi e poli di smaltimento più o meno legali di tutto ciò che la metropoli consuma e scarta. Un anno dopo l’incendio degli autodemolitori di viale Palmiro Togliatti, proprio a Ciampino andò a fuoco una discarica dove erano stoccati materiali provenienti anche dall’azienda municipalizzata che gestisce la spazzatura di Roma Capitale, e che produsse fumo tossico per tre giorni. A respirarlo furono gli abitanti di Ciampino, che non avevano né eletto il sindaco né deciso le politiche. Il loro destino non dipende da loro.
Questa “zonizzazione sociale” nel territorio periurbano vedrà una prevedibile accelerazione con il Giubileo, così come è gestito dalla politica capitolina, regionale e nazionale, a servizio delle lobby private, del mattone o dei rifiuti. Il campo rom della Barbuta era allo stesso tempo un luogo di scarto abitativo, di scarto industriale e di scarto ambientale. Oggi il meccanismo tende a reiterarsi per l’intero territorio circostante, il quale, senza accorgersene, rischia di piombare nell’apartheid eco-sociale con la complicità di attori istituzionali, imprenditoriali e pezzi di società civile sempre più infatuata dal modello ordine-sicurezza-proprietà. L’unica via d’uscita passa per l’organizzazione delle comunità, soprattutto di quelle fasce escluse che ricevono il danno peggiore dalle scelte calate dall’alto sui territori, spesso in silenzio e lontano dai riflettori mediatici. (lorenzo natella)
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