Il 21 gennaio del 2012, a Milano, all’età di settantotto anni, moriva Vincenzo Consolo, scrittore, giornalista e saggista siciliano. Sul vecchio sito di Napoli Monitor (attivo fino al 2015), lo ricordavamo con un articolo che oggi, dieci anni dopo, riproponiamo.
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Sant’Agata di Militello, 23-24 gennaio 2012
In una giornata incerta, iniziata col sole e conclusasi con una leggera pioggerella, si è celebrato a Sant’Agata di Militello, provincia di Messina, il funerale di Vincenzo Consolo, autore tra i più creativi e singolari della storia della letteratura italiana degli ultimi cinquant’anni.
Come da suo volere la funzione si è svolta presso la piccola cappella del Sacro Cuore, collocata all’interno dell’istituto salesiano frequentato dallo stesso scrittore durante la sua infanzia, e descritto, anche se sotto anonime spoglie, nelle bellissime pagine della sua prima opera, La ferita dell’aprile, uscito nel 1963 per Mondadori. Una bara semplice, tutta in legno e senza decorazioni alcune. Poggiati sulla superficie superiore del feretro diversi nastri di fiori. Insieme ai parenti, ai compagni più intimi e alcune personalità politiche locali, vi erano numerosissimi amici santagatesi, legati fraternamente allo scrittore che coltivava un rapporto molto forte con la sua città natale, al punto da esprimere negli ultimi tempi proprio il desiderio di voler ritornare a vivere nella sua isola, per morirci. Così non è stato e lo scrittore, afflitto da un tumore, è morto a Milano, città che ha abitato sin dagli studi universitari per poi stabilirsi definitivamente a partire dal 1968, quando aveva ormai trentacinque anni e provava il bisogno d’allontanarsi da una Sicilia che cambiava velocemente, stravolta dalla migrazione e dal cambio antropologico di quegli anni.
Nell’omelia, presieduta da don Enzo Vitanza, si è ricordato questo legame con la sua terra natìa ma anche la sua spinta verso la ricerca della giustizia. A fine celebrazione anche il sindaco di Sant’Agata, Bruno Mancuso, ci ha tenuto a ricordare lo scrittore mettendo sempre in luce questo legame indissolubile con il territorio.
Eppure, si ha la sensazione di sentirsi ancor più mutilati nel vedere il contrasto tra questa sobria funzione, che rispecchia la personalità un po’ schiva di Consolo verso le situazioni troppo appariscenti e mediatiche, e il suo rumoroso paese natale che all’esterno della chiesa, data la breve tregua concessa dal movimento dei forconi negli ultimi giorni, è alle prese con le lunghe file di automobili assetate di idrocarburi e in attesa di fare il pieno. È difficile anche elaborare il trauma solo attraverso quanto è stato scritto il giorno successivo alla scomparsa dell’autore. Forse non siamo ancora in grado di capire quanto veramente abbiamo perso, come siciliani ma soprattutto come italiani.
Va segnalato un bellissimo articolo apparso nelle colonne del Corriere della Sera il giorno successivo alla morte di Consolo, avvenuta il 21 gennaio, che porta la firma del suo caro amico Corrado Stajano. Quest’articolo ripercorre alcuni momenti finali della vita di Consolo ma accostandoli all’immagine del “grillo saltellante dalla marina alla montagna” e sprizzante di “allegria beffarda” che traspare dalle pagine del già citato La Ferita dell’aprile. Ma, probabilmente, oltre a perdere l’autore che più di tutti è stato in grado, grazie anche alla sua archeologia della parola, di dare voce alle tante Sicilie e ai tanti uomini che queste Sicilie le hanno abitate e attraversate, stiamo perdendo una persona incredibilmente armata di passione civile e umanità, per cui lo scrivere non poteva essere fine a se stesso e auto-assolutorio ma doveva rappresentare un tentativo di ricerca della verità. In Consolo quest’impeto non si traduceva solamente nella stesura di libri ma anche in quella che lui, rifacendosi a Ronald Barthes, chiamava la scrittura d’intervento, fatta di articoli concernenti il contemporaneo e che nel suo caso apparvero in diversi testate nazionali.
Così, se da una parte gli articoli gli permettevano di mettere le mani direttamente sull’attualità, i suoi libri, frutto di ricerche accuratissime sia sul piano storico che linguistico, sono indagini di Sicilie passate, le cui narrazioni non lineari, piene di rotture e stratificazioni linguistiche, riescono a dare un’idea poliprospettica di quanto stava avvenendo – con un richiamo costante al presente, dando voce a quei vinti che ciclicamente nei suoi lavori più belli provano a ribaltare le sorti del destino. Un genere difficile da definire dove gli estromessi dalla storia ufficiale prendono parola e agiscono anelando a un progresso sociale e materiale che gli permetta di sfuggire dalle grinfie secolari dello sfruttamento. Fra questi vinti spuntano anche improbabili aristocratici illuminati che decidono di scendere in campo e sporcarsi le mani, come è appunto il caso del barone di Mandralisca (per alcuni appunto considerato un anti-Gattopardo) nel capolavoro del Sorriso dell’ignoto Marinaio (Einaudi, 1976), dove assistiamo a una rivoluzione tradita proprio nel momento in cui si stava facendo l’Italia.
Al valore metaforico delle sue opere, ambientate nel passato ma col fine di raccontarci il presente, si aggiunge anche il suo sperimentalismo linguistico, conseguenza della morte dell’italiano e del romanzo, che viene scandito da innesti linguistici fatti di arcaismi e continui prestiti dal dialetto. La parola viene lavorata e resa musicale. Il risultato è unico, una prosa poetica. La portata intellettuale dei suoi lavori è stata riconosciuta anche nel resto del mondo dove gli sono stati dedicati convegni e seminari, oltre alle tantissime traduzioni in lingue straniere delle sue opere.
Così, mentre si percorre il tragitto che dalla chiesetta del Sacro Cuore porta al cimitero di Sant’Agata, la sensazione è quella di spaesamento. Ci si sente orfani adesso. Ci si chiede che cosa rimane di questa schiera di scrittori come Vittorini e Sciascia, che hanno saputo raccontare la Sicilia e l’Italia. Che hanno saputo farlo con dedizione e passione. La scomparsa di Vincenzo, o Enzo, come veniva chiamato dagli amici più intimi, ci lascia come eredità una domanda pesante: e ora, con questa nuova assenza, chi sono oggi i nostri maestri?
Grazie di tutto Enzo, e che la terra ti sia lieve (ivan mammana)
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