NOTTE ROSA
Francesco Cattani
Coconino Press – Fandango, 160 pagine, 22 euro
La prima cosa che penso è che forse Cattani possa svelarci il mistero della famosa scena di Shining in cui un uomo vestito da orso pratica una fellatio su un ospite dell’Hotel Overlook. Che lui possa avere la chiave per spiegare una scena così oscura e grottesca allo stesso tempo. È giusto un pensiero, fugace. Notte Rosa è una raccolta di sedici racconti brevi realizzati dal 2005 a oggi. Non è importante che questi racconti non siano stati pensati per funzionare assieme. Come non è importante capire se funzionino bene assieme oppure no. Quello che importa è che cosa questi racconti ci lasciano una volta che chiudiamo il libro. A me hanno lasciato una sensazione di violenza; non una violenza fine a sé stessa ma una violenza necessaria, quasi terapeutica. Mi spiego. Non tutti i disegnatori sono abitati da visioni e non tutti da demoni o da angeli. Ma molti sì. Questo libro ci dà l’opportunità di entrare nelle visioni e nelle ossessioni di Cattani. C’è molta violenza. È la stessa che viviamo ogni giorno, ma qui è messa a nudo, come se fosse spogliata, scorticata dal superfluo, dalla finzione. Infatti in copertina vediamo un uomo che si sta togliendo una maschera con un ghigno malvagio. Dell’uomo vediamo solo un occhio. Ci viene da chiederci se l’uomo sotto la maschera faccia più o meno paura della maschera stessa. Ci sono esseri con corpo umano e volti di animali che sono guidati da istinti primitivi: cacciano, si ammazzano, scopano e non sembrano avere nessun briciolo di morale. Qualcosa ha già corrotto tutto. Potrebbero ricordare le divinità egizie della Trilogia Nikopol di Enki Bilal ma invece che verso il cielo questi esseri sembrano sprofondare dentro la terra, nel sangue e nelle feci (anzi nelle flatulenze).
Nel racconto Battuta di Caccia mentre due personaggi divorano le interiora di una preda si sente un ululato. AHU-UUUUUU-WHUUU! A quanto pare l’ululato sta dicendo che il governo Berlusconi potrebbe cadere. “Berlusconi è il capo di tutti”, dicono mentre mangiano un fegato sanguinante. Nel racconto 2012 queste divinità cadute invadono il parlamento cercando Berlusconi e fanno una strage. “Sono tutti uguali, non lo troveremo mai”, dicono. Invece di Berlusconi trovano Monti che cercherà invano di comunicare con loro prima che gli venga rotto il collo. Croc. Chi è cresciuto durante l’epoca Berlusconi ricorda quanta violenza c’era in quel mondo politico fatto di arroganza, soprusi, violenza di genere e ignoranza. C’era qualcosa di malato, di cupo e squallido che le barzellette non bastavano a nascondere. Oggi le cose non sono certo migliorate. Quella è violenza vera. La violenza di Notte Rosa è un tentativo di trasformare (o di mettere a nudo) una realtà in cui, in fin dei conti, sopravvive il più forte, il più violento, il più furbo, il più corrotto, il più ricco. E ci vuole davvero tanta speranza, tanta immaginazione, tanto coraggio o tanta ingenuità per essere ottimisti a volte. L’ultimo racconto, Notte Rosa, termina con una nota di speranza, forse. Nella muraglia che ci circonda si apre una breccia, dopo una battaglia epocale tra angeli che diventano diavoli e angeli armati di fucili di precisione. Ecco la speranza. Oltre il muro, forse, esiste davvero un posto migliore? Cattani ci invita nel suo mondo fatto di ossessioni e visioni, con una nota di umorismo. Nero, of course.
UNA CONVERSAZIONE
Miguel Angel Valdivia: Quando Berlusconi entra nella scena politica inizia un momento che io ricordo come molto “violento”. C’era un’atmosfera di prevaricazione e brutalità mista a una spettacolarizzazione della volgarità davvero nauseabonda. Forse c’era anche prima, sicuramente è rimasta dopo. Io vedo quel particolare momento come l’origine di questa raccolta di racconti.
Francesco Cattani: È assolutamente così, mi avevano chiesto di fare una satira politica di quello che accadeva in quel momento, era da un po’ di anni che c’era Berlusconi e quindi era da un po’ che stavamo somatizzando quella condizione, quindi probabilmente è stato proprio qualcosa di catartico. Ho ricreato delle sensazioni che avevo avuto attraverso le azioni di questi mostri…
MAV: Che poi a me non è venuto di chiamarli mostri in realtà. Più delle specie di divinità, però chiaramente quando immagini le divinità pensi a qualcosa che va verso l’alto, no? Qua mi davano più l’impressione di esseri primordiali…
FC: L’idea era che la loro divinità era l’essere primordiali. A differenza di Bilal, che tutti abbiamo letto a suo tempo, la loro divinità era l’essere profondamente naturali, feroci, istintivi, guidati dalle necessità primarie… Questi animali erano “sinceramente” istintivi, senza mai fingere di essere delle persone buone.
MAV: E mi hai detto che queste storie nascevano come delle vignette di satira…
FC: Si, erano uscite sul MALE, come satira, uscivano a puntate.
MAV: Ho l’impressione che questi racconti siano stati quasi vomitati più che ragionati o pensati; spinti fuori da un bisogno urgente…
FC: È così, era anche un periodo della mia vita in cui ero molto investito dagli eventi, ero abbastanza incazzato, quindi, insomma, viene fuori un po’ questa cosa…
MAV: Si sente. Pur non avendo una serie di elementi per contestualizzarli, li ho sentiti così. A questo proposito, nell’ultimo racconto ho intravisto una specie di speranza. Un muro viene distrutto dopo un combattimento epico. Non mi piace parlare di ottimismo o pessimismo, però succede qualcosa che possiamo chiamare “speranza”, oppure ho visto male io?
FC: Il punto di questo libro è che è tutto molto feroce. Questo racconto l’ho fatto in un altro momento della mia vita, ma non è che sia cambiato il mio punto di vista, non è che io sia andato verso l’happy ending. Ma non perché io debba sempre raccontare cose con un finale distruttivo. Io seguo le situazioni, non seguo un plot narrativo in cui l’eroe deve fare questo o quest’altro. Inizialmente metto in una scena dei personaggi e li piazzo in una condizione che sento nella pancia, poi loro si comportano di conseguenza. È una specie di catena di eventi che si mette in moto da sola, seguendo i personaggi e le loro necessità. In questo caso, era nell’indole del personaggio di subire una trasformazione, come se facesse un frontale contro sé stesso, per narcisismo, egoismo. Qualcosa di molto legato alla vita dei giovani di adesso. Infatti all’inizio questo racconto era tutto incentrato sui social network, poi ha preso un’altra direzione, perché, appunto, ho seguito la natura di quel racconto e gli ho lasciato spazio per trasformarsi; però probabilmente quello che mi pressava è rimasto, e cioè la condizione dei ragazzi dalla nostra generazione in poi. La cosa interessante è che se c’è speranza è creata dal diavolo. Il personaggio, come altri animali precedenti, tira fuori la sua forza fino allo spasmo finale, anche nella comune accezione negativa di quello che può essere un diavolo. Però alla fine dà comunque una soluzione. Questo personaggio negativo e furioso alla fine apre una breccia per gli altri.
MAV: Apre una breccia, sì. Però, a pensarci bene, questa breccia non per forza porta in un luogo migliore. È vero che si rompe un muro e le persone possono finalmente passare dall’altra parte ma non è detto che dall’altra parte sia meglio o che non ci siano poi altri muri. Una sensazione di claustrofobia.
FC: Intendi come se il muro non avesse nessuna proprietà e nessuno scopo, come se non dividesse veramente due mondi differenti?
MAV: Sì, come in quei racconti in cui alla fine pensi di essere finalmente libero e ti rendi conto che in realtà sei ancora prigioniero…
FC: Sì, tra l’altro i personaggi da questa parte del muro vivevano in una specie di prigione di cristallo, protetti da tutti i problemi che c’erano in questa ipotetica società. E ci sono dei personaggi che vengono dall’altra parte: i poveri. Però io non mi sono posto il problema di raccontare per forza le cose nel modo più originale possibile. Certi cliché sono inevitabili ed evitandoli non per forza fai un racconto interessante.
MAV: Si, sono comunque strumenti che facilitano la connessione con l’altro.
FC: Usi una grammatica che è già conosciuta per poi aprire nuove possibilità narrative.
MAV: O servono anche per portare il lettore in una direzione conosciuta, per poi strattonarlo e virare da un’altra parte.
FC: In questo momento in cui c’è tantissima fiction salta all’occhio che viene ricalcato sempre lo stesso schema, come se ogni storia fosse uguale all’altra. Queste fiction di adesso, che siano nello spazio, che siano all’inferno o in un ufficio seguono e ricalcano alla lettera il viaggio dell’eroe… È diventata una gabbia. È veramente facile trovarsi a vedere una fiction o leggere una storia anticipando le mosse dei personaggi.
MAV: Anche io ho questa sensazione… Ma torniamo a noi. Nei libri si tende verso quello che più sentiamo vicino a noi. A me è stato detto spesso, quando disegnavo, che i miei disegni erano violenti. Questa cosa mi ha sempre scocciato perché non li ho mai trovati veramente violenti. Mi dicevo: ma ci sono tante cose intorno a me che io sento molto più violente…
FC: Ma infatti, se tu ci pensi c’è anche molta violenza in queste famose fiction di cui abbiamo parlato prima. Anche cruda e splatter a volte. Quello che rende tutto digeribile è l’aderire completamente al viaggio dell’eroe creando personaggi in cui ci si possa identificare perché sono patetici o perché sono miseramente umani e limitati come tutti noi. Per me era importante non avere questo tipo di identificazione empatica. Rimane allora una violenza che sembra indigesta ma che in realtà è molto più sincera. È semplice ferocia. Il fatto che questi personaggi animali siano antropomorfi crea quel fastidio che io trovo molto interessante. Racconti una storia senza caricarla di morale.
MAV: Infatti io non trovo il tuo libro violento, ma immagino che molte persone potranno recepirlo come tale.
FC: Magari in un contesto commerciale non sarà facile. Per quel che riguarda l’ultimo racconto, la vera violenza è una violenza che il personaggio ha già subito dalla società. Una specie di narcisismo forzato. Oggi se tu non sei narcisista non sei “vincente” o “interessante”. Ci sono poi anche persone che creano un legame con gli altri attraverso il dolore o la sensazione di inadeguatezza. Però in generale c’è questo splendore della personalità, del corpo che devi mostrare sui social network. E questa è una vera violenza sulla persona. Quindi il personaggio dell’ultimo racconto è un personaggio del futuro, già impazzito per via di questa violenza inconsapevole subita. Questa era l’idea iniziale. Poi io tendo man mano a cancellare tutte le tracce… (miguel angel valdivia)
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