GLI SPRECATI
Michelangelo Setola
Canicola, 28 pagine, 17 euro
La copertina di questo libro gigante (30×42 cm) raffigura un uomo che si copre il volto con le mani, non vuole più vedere l’orrore che lo circonda, orrore che si annida invece tra le pagine.
Una ditta edile composta da disperati viene contattata per un lavoro di ristrutturazione in una fabbrica-mondo chiamata Hannibal. Dopo un lungo viaggio (in cui raccattano anche un silenzioso viaggiatore trovato a dormire sul ciglio della strada), giunti all’interno della fabbrica, gli operai troveranno un incubo tanto assurdo quanto mortale. Uomini deformi distrutti dalla fatica, temperature altissime, animali esotici usati come cavie e come passatempo, lavori strani e automatici, strutture cadenti e imponenti che ricordando l’archeologia industriale tanto cara ai coniugi Becher. Come nelle foto di fabbriche scattate dai due fotografi, l’Hannibal non ha niente di tecnologico, tutto è vecchio, antico, decadente. Non è definito il luogo dove è ambientato il racconto, né l’anno, né la città, né l’universo, non ci sono coordinate. Qui non ci troviamo al cospetto di operai del sud che vogliono lavorare per mangiare, disinteressati alle dinamiche capitalistiche del nord come in Donnarumma all’assalto di Ottieri, o di altri con una coscienza politica come in Vogliamo tutto di Balestrini. Nel libro di Setola tutti i personaggi sono stremati, abbruttiti dalla fatica, senza forze, vanno avanti per inerzia, non si pongono domande, ormai non c’è più altra speranza che dare la propria esistenza in pasto alla fabbrica. Memorabili i personaggi che si possono incontrare nella sudicia mensa: Paposcia da Caserta, reso così da uno sforzo di troppo, Goccia, che soffre di liquefazione dell’iride, Mummia, coperto di bende sulla pelle ustionata. Anche il direttore-padrone, raffigurato senza occhi come per preservarlo dalla distruzione che lo circonda, è uno schiavo, un essere deforme ormai inglobato e svuotato da Hannibal. “…Esistiamo da centinai di anni, abbiamo iniziato con il ferro, oggi produciamo tutto… ci è voluto molto tempo a diventare un impero, ma è con la fermezza che l’abbiamo ottenuto. Abbiamo attraversato incidenti, scioperi, guerre, rivoluzioni, regimi, morti… senza cedere di un passo, fermi”, ripete stanco a qualche ingenuo operaio che gli parla di malcontenti e scontri per le dure condizioni di lavoro.
Michelangelo Setola, bolognese classe 1980, affermato disegnatore internazionale e membro fondatore del collettivo Canicola, confeziona un’opera breve ma ferma, lineare, potente. Il tratto a matita (quasi maniacale per l’abbondanza di piccoli dettagli) e acquerello contribuisce a rendere il tutto sporco, oscuro, invecchiato. L’autore è ormai un maestro nel disegnare le deformità, e al suo terzo lavoro dopo Bar Miki e Dormire nel fango (tutti editi da Canicola) ci trasporta in un mondo senza speranza, specchio lievemente alterato della realtà che ci circonda.
Tutti i personaggi fanno parte di questa mostruosità, tranne Don Goffo, il viaggiatore trovato a dormire sul ciglio della strada, l’unico che cerca di trovare una via di uscita dalla fabbrica, che considera il grande lago inquinato come via di fuga, l’unico che con il suo viaggiare è riuscito a vedere qualcosa di diverso e forse più piacevole. (diego miedo)
Leave a Reply