Per raggiungere Casoria da Acerra, senza voler prendere l’asse mediano, bisogna prima arrivare alla rotonda di Casalnuovo. Alla sua destra, dopo l’Hotel Caribe, una strada disseminata di rifiuti attraversa un residuo di campagna e porta ad Afragola. Bisogna poi districarsi nel continuum urbano tra Afragola e Casoria, e se non fosse per il cartello di arrivederci lungo la strada e il mutare dell’arredo urbano, sarebbe difficile accorgersi di essere giunti. Un paio di persone alle quali chiedo informazioni non sanno dirmi dov’è Terranostra, poi il ragazzo di un’officina meccanica nei pressi del municipio mi indica la strada. Seguendo il perimetro dell’area industriale dismessa della Rhodiatoce, divenuta poi Montefibre, con il serbatoio d’acqua che svetta sulla zona e le mura di cinta dipinte di graffiti, si arriva alla stazione ferroviaria. La frequenza di alcune scritte sui muri che ne reclamano la difesa confermano la direzione giusta. Dopo qualche centinaio di metri dalla stazione giungo finalmente a destinazione.
Terranostra è un’area che fino al 1985 funzionava come deposito di carburante dell’aeronautica militare. In seguito alla legge sul federalismo demaniale, il comune di Casoria ha acquisito il luogo a titolo gratuito con uno studio di pre-fattibiltà per la creazione di un parco urbano, ma la successiva inerzia nell’intraprendere anche solo un passo in quella direzione ha fatto sorgere il sospetto che in realtà si celino degli interessi speculativi sul terreno. Così, dal 9 luglio un gruppo di cittadini ha occupato i circa quattro ettari di terreno per aprire un’area verde e uno spazio di socialità in un territorio per lo più cementificato e inerte.
Mi presento a Luigi che mi apre il cancello, alle spalle del casotto sulla destra conosco Gigino, poi compare Felicia. Sono visibilmente assonnati per la nottata in presidio contro il rischio di sgombero. Il commissario prefettizio che al momento regge il comune di Casoria li considera abusivi, ma pare che in questi giorni gli attivisti siano riusciti a strappare un margine di tolleranza fino a quando dovranno vedersela con l’amministrazione politica, dopo le elezioni.
Luigi lavora in un centro scommesse un paio di volte a settimana. Barbetta e panta-laccio di jeans con il cavallo lungo, una t-shirt lascia in bella mostra i tatuaggi che gli ricoprono interamente il braccio destro. Mi racconta che «prima a Casoria o ta’ facive ncopp o’ mezz, fuori a qualche bar, sott’ a nu purton, o te ne dovevi andare a Napoli per fare qualcosa. Mo ci sta Terranostra!». Da quando il luogo è stato aperto il gruppo cresce sempre di più. Oggi conta circa una quarantina di persone ma il posto è attraversato da molta più gente; dai ragazzi che si allenano alla breakdance, agli ultras del Casoria che qualche volta fanno qui le riunioni; dalle persone che si ritrovano semplicemente per trascorrere del tempo, dare una mano e passeggiare sul prato, a chi partecipa alle varie iniziative che si organizzano, come le proiezioni di film e partite, giochi all’aperto, braciate, dibattiti, concerti e attività di agricoltura e produzione di birra artigianale; c’è poi chi è interessato alle attività in cantiere come il doposcuola e il teatro popolare.
Gigino è di Cardito e fa l’asinaro. Ha una cinquantina d’anni, un giorno trovandosi a passare nei pressi della stazione ha visto lo striscione che indica il luogo e si è lasciato incuriosire, «da allora vengo quasi ogni giorno», dice. Felicia studia agronomia, mi porta a fare una passeggiata indicandomi le varietà di piante: «Lì ci sono carote, menta, basilico e altre erbe spontanee che abbiamo trovato; lì abbiamo piantato il cavolo di Natale e le erbe per la minestra». Sotto una montagnola ricoperta di rovi di more, indica il luogo dove i militari nascondevano le cisterne di carburante all’epoca della guerra fredda, poi mi porta a vedere un piccolo edificio che stanno recuperando: «Qui ognuno condivide quel che sa, io ho imparato elementi base di idraulica e persino a fare la camicia di stucco!».
Felicia mi racconta che hanno intrapreso le coltivazioni per lo più per diletto, come forma di educazione ambientale. Al momento non sanno ancora della salubrità o della contaminazione dei suoli e attendono le analisi del terreno da un gruppo di studenti della Federico II. Del resto, questo è un tema che l’amministrazione comunale solleva per contestare la loro presenza lì, tuttavia come afferma il prof. Genovese, docente di biologia che sostiene quest’esperienza, «questo posto prima era usato privatamente, alcuni portavano le proprie pecore a pascolare e nessuno sollevava alcuna opposizione salutista in merito, altri lo usavano per gettarvi materiale di vario genere. Tutto nel silenzio-assenso delle istituzioni. Adesso, non solo si sta ripulendo, ma la presenza delle persone può funzionare da acceleratore per un processo di eventuale bonifica e portare davvero all’apertura di un parco urbano gestito dai cittadini».
L’esperienza di Terranostra rientra in un processo che da qualche anno vede gruppi informali attivarsi per il recupero di spazi in disuso: aree verdi, parchetti rionali, mense e teatri popolari, spazi per l’abitare, luoghi di ritrovo oltre il consumo. Nessuno immagina la conquista di chissà quale primavera ma spesso a costituirne il nervo è il semplice desiderio di ritessere quei legami sociali da tempo sfibrati. A Napoli gli esempi sono molteplici, veder sorgere questi processi in zone periferiche e nelle realtà di provincia, luoghi dell’anomia per eccellenza, ha forse un senso ancora più profondo. (giuseppe orlandini)
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