Domenica. Arrivo con il treno a Pignataro Maggiore, sono quasi le cinque. Alla stazione incontro Teo, di Sparanise, che da un anno e mezzo milita nella Rete calena per i beni comuni, con la quale ha partecipato alle manifestazioni per la difesa del territorio nella provincia di Caserta, e un po’ in tutta la Campania. Facciamo qualche centinaio di metri in auto, e raggiungiamo una trentina di altri attivisti della rete, che sono venuti, nonostante la pioggia, per l’iniziativa contro la centrale a biomasse che dovrebbe essere realizzata nell’area ex-Pozzi, a poche centinaia di metri dal sito archeologico di Cales.
«Sono nato a Capua e cresciuto a Sparanise – racconta Teo – eppure finora non avevo avuto nessun rapporto con il sito archeologico, non ho mai assistito a un tentativo di valorizzare quest’area. Qui vicino ci passa la Tav, che ha sventrato in due quest’area. Proprio oggi un nostro compagno è in Val di Susa per portare solidarietà al movimento No Tav. Furti di reperti ce ne sono stati tanti, sono stati ritrovati un sacco di oggetti di altissimo valore. Questa è una zona di casalesi, vengono qua, organizzano gli scavi e si prendono tutto. Io qua ci giravo da piccolo con la bicicletta, e c’era ancora qualcosa da vedere, ma oggi non è rimasto quasi niente».
Passiamo in auto davanti ad alcune tombe di epoca preromana, diretti al complesso archeologico principale. Dentro le tombe non c’è più niente. In compenso, di fronte, seminascosta dagli alberi, si intravede una piccola discarica abusiva. Per preparare l’iniziativa è stato necessario pulire l’area e liberarla dai rifiuti. «Qua ci stava di tutto, a parte erbacce, ortiche… abbiamo tolto qualcosa da dentro al teatro, ci siamo portati un trasformatore, una batteria e tanta plastica, dall’altra parte ci sta pure una macchina bruciata», raccontano Luca e Antonio. Poi aggiungono: «Bruno de Stefano [giornalista, ndr] dice che i più grandi archeologi di Cales sono stati proprio loro, i casalesi. Addirittura ci sono inchieste in cui si parla di rilevamenti fatti con l’elicottero, in cui la camorra studiava i siti dove venire a scavare, anche perché i reperti valgono anche qualche milione di euro. Sono arrivati a tagliare gli affreschi da vicino ai muri con le motoseghe. Le cose rubate a Cales sono passate anche per il British Museum, poi sono stati ritrovate in Grecia e infine sono ritornate alla Reggia di Caserta. La cosa più triste è che i tombaroli sono proprio di Calvi. Ma qua appena scavi trovi qualcosa».
Il sito comprende un anfiteatro romano risalente al I secolo a.c., un tempio di circa due secoli più recente, e anche alcuni resti di epoca preromana. Le ragioni del no alla centrale a biomasse sono tante: da un lato l’urgenza di una bonifica del territorio, dove sono stati sversati per decenni rifiuti industriali e tossici di cui ancora non si conoscono bene entità e pericolosità; dall’altra, la compresenza di diversi impianti inquinanti attivi, fra tutti l’Esogest, un’impresa di raccolta e trattamento di rifiuti chimici che dista circa un chilometro, ma anche la vicinissima centrale a turbogas da 800 Mw voluta da Cosentino, nota anche come centrale “dell’inciucio” tra l’azienda Hera e, appunto, la famiglia Cosentino. Il tutto a trecento metri dal luogo designato per la centrale a biomasse. E non è tutto: a duecento metri è già pronto un altro stabilimento, quello di Pignataro, predisposto per funzionare da inceneritore di eco-balle di rifiuti tritovagliati e imballati con procedure quasi mai a norma, e destinati agli inceneritori. Questo però, non ha mai funzionato, sia per le resistenze dei cittadini e dei comuni, sia a seguito di una sentenza del TAR dovuta a un’inchiesta per corruzione che interessava la struttura. Sempre a trecento metri sorge la centrale termoelettrica di Sparanise, gestita dalla società Calenia e sostenuta da Forza Italia.
Quando chiedo se ci sono state pressioni da parte della camorra, Teo mi risponde che non c’è bisogno di ricorrere all’illegalità, quando sono le stesse istituzioni a militarizzare i territori destinati a inceneritori e discariche. Più tardi, comunque, apprendo di una signora di Calvi a cui «hanno hanno telefonato tre volte per invitarla a togliere uno striscione del comitato dal suo balcone. Una di queste telefonate era anonima, e anche se è strano arrivare a tanto per un semplice striscione lei si è spaventata, e noi da quel momento stiamo cercando di riempire Calvi di striscioni». Continuano i ragazzi del comitato: «Le richieste dei cittadini per avere degli striscioni da esporre sono state tantissime».
Mi piacerebbe rimanere per assistere all’assemblea e allo spettacolo teatrale che si terranno questa sera. Ma in quest’area, dove un assessore alle attività produttive come Pietro Martino non esita ad affermare che «l’inquinamento e le malattie sono il giusto prezzo per lo sviluppo» e dove sfrecciano treni ad alta velocità diretti a Napoli, l’ultimo treno regionale passa alle diciannove. Lascio la stazione di Pignataro con decine di domande nella testa, e con la voglia di ritornare, presto, per cercare altre risposte. Il prossimo appuntamento del comitato è previsto per il 25 luglio, di fronte alla sede del comune di Calvi Risorta. Qui, a seguito del rifiuto da parte del sindaco di indire un consiglio comunale aperto ai cittadini, gli abitanti dell’agro caleno hanno deciso di organizzare un consiglio popolare sulle questioni territoriali. (giulia beatrice filpi)
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