Sulla questione petrolifera in Basilicata, Mimmo Nardozza, l’autore di questo articolo, ha realizzato insieme a Salvatore Laurenzana i documentari dal titolo Mal d’Agri e Mal d’Agri 2019, e più di recente L’inganno, prodotto da ReCommon.
In Basilicata si estrae petrolio dal lontano 1998 ma forse il petrolio lucano conquista la ribalta nazionale grazie alla procura di Potenza che a fine marzo 2016 apre due filoni d’inchiesta che riguardano le compagnie petrolifere presenti in Basilicata. All’Eni viene contestato un traffico illecito di rifiuti nel suo Centro Olio in località Viggiano (Pz), mentre alla Total si contesta la gestione appalti, implicato anche l’ex sindaco di Corleto Perticara (Pz). La scarsissima conoscenza della Basilicata da parte dei media nazionali, e ancor di più della questione petrolifera regionale, ha generato molte verità distorte. Un’analisi corretta non può che passare dalle date istituzionali della vicenda petrolifera e può servire a far chiarezza su cosa sia la convivenza tra Basilicata e petrolio.
Dal 1996, la Basilicata è al centro di grandi interessi economici grazie alle attività estrattive tuttora in corso nella Val d’Agri e nella Val Sarmento. La concessione Val d’Agri, vigente dal 2005, è il frutto dell’unione delle concessioni Grumento Nova e Volturino ed è estesa per 661 kmq. Eni e Shell estraggono 85 mila barili di petrolio al giorno, una quota pari al 6% del fabbisogno nazionale. L’estrazione lucana, regolata dagli accordi Stato-Regione ed Eni-Regione del 1998, prevede di raggiungere quota 104 mila barili/giorno a pieno regime. L’incidenza sul greggio nazionale è destinata ad aumentare dal 2020 grazie agli accordi tra Regione e Total del 2006, che prevedono l’estrazione di altri 50 mila barili/giorno dal giacimento Tempa Rossa nella concessione Gorgoglione, estesa per 290 kmq ricadenti nelle province di Matera e Potenza. La concessione è in capo a Total, Shell e Mitsui.
Il giacimento della Val d’Agri è il più grande in terraferma d’Europa, viene scoperto dall’Agip nel 1981. In quell’anno il primo pozzo di prospezione che conferma la presenza di olio è Costa Molina 1, a ben 4.089 metri di profondità. Questo pozzo, mai messo in produzione, indica tuttavia la via maestra all’Agip. Nel 1988 con il pozzo Monte Alpi 1 a 3.606 metri, si ha la conferma di trovarsi di fronte a un immenso giacimento. La coltivazione del giacimento ha portato a una petrolizzazione intensa e capillare dell’intera valle. Gli accordi citati del novembre 1998 prevedevano la realizzazione di 54 pozzi; a oggi i pozzi perforati sono 40, altri 6 saranno perforati e i restanti 8 invece potrebbero non essere perforati. Attualmente sono operativi 28 pozzi, compreso il solo e unico pozzo reiniettore Costa Molina 2, sequestrato dalla magistratura insieme ad altre vasche nel Centro Olio Val d’Agri (Cova) perché al centro dell’inchiesta sullo smaltimento illecito.
Nel 1996, l’entrata in esercizio del Cova consentiva una produzione di 9 mila barili giorno. Con gli accordi del 1998 tra Regione ed Eni, l’ampliamento del Centro Olio con tre linee di produzione porta a 60 mila i barili/giorno, con la quarta linea dal 2008 in poi la produzione è di 80 mila barili/giorno. La quinta linea, costruita nel 2015, porterà la soglia a 104 mila barili/giorno. I 28 pozzi sono collegati al Cova mediante una rete di oleodotti lunga oltre 100 chilometri. Nel Centro Olio il greggio subisce una prima lavorazione, che prevede la separazione delle sue componenti liquide e gassose e poi viene spedito attraverso un oleodotto di 136 km e del diametro di 51 cm alla raffineria Eni di Taranto. Il petrolio della Val d’Agri ha un valore Api, indice che ne misura la densità, di 37°, definito leggero o dolce.
Il giacimento Tempa Rossa, è nella concessione Gorgoglione, e viene invece scoperto sempre dall’Eni, per mano della Pergemine di Parma solo nel 1989, quando con il pozzo Tempa Rossa 1 si accerta la presenza di olio nel secondo giacimento lucano che a regime produrrà 50 mila barili/giorno. Ma è solo dopo dieci anni, ossia nel 1999, che Eni avvia la fase amministrativa per la costruzione del suo secondo Centro Olio situato a mille metri di altitudine, ma nel 2002 cede alla Total la titolarità della concessione. La compagnia francese, nel 2006, formalizza gli accordi con la Regione Basilicata per lo sfruttamento del giacimento e viene stimato un volume presente pari a 400 milioni di barili; quando si siglano gli accordi, il valore diventa 120 milioni di barili. Anche in questi accordi è prevista la costruzione di un Centro Olio di pre-trattamento del greggio. I lavori dell’impianto, iniziati solo nel 2012, alla fine vedranno il 2020 come anno di partenza. Nella concessione Gorgoglione sono previsti 23 pozzi, ma a oggi ne sono stati realizzati e ultimati solo 6; altri 2 saranno perforati nei mesi a venire e saranno connessi al nuovo Centro Olio tramite oleodotti, mentre il Centro Olio è a sua volta collegato da una bretella di 8 km all’oleodotto dell’Eni, già esistente, che va da Viggiano a Taranto. Tempa Rossa è un giacimento di idrocarburi con oli pesanti (10° a 22° Api) contenenti un’elevata quantità di zolfo.
Alla luce di questa analisi cronologica, fatta di date e numeri inconfutabili, non risulta poi così vero che in Basilicata servisse il decreto Sblocca Italia per avviare, o sbloccare come si dice ora, l’estrazione petrolifera. Nessuna estrazione bloccata da “quattro comitatini”, come ebbe a definire i lucani che non sono d’accordo con questo modello di sviluppo l’ex presidente del consiglio Matteo Renzi. Modello che a oggi lo sviluppo non l’ha portato, nonostante dal 1998 al 2020 le royalties incassate dalla Regione Basilicata sono state di 2 miliardi di euro. Il punto nodale, ossia che “la transizione ecologica sta ai prossimi decenni come l’invenzione della stampa al XV secolo o la rivoluzione industriale al XIX secolo”, come spiega Gael Giraud nel suo validissimo libro Transizione ecologica, pare non interessare ai governanti italiani, e quindi nemmeno a quelli regionali; interessa molto di più essere aderenti alla filiera estrattivista delle risorse fossili che non padri di una transizione ecologica. (mimmo nardozza)
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