Difficile che il Napoli-Juve di domenica sera – vittoria meritata per gli azzurri – possa essere la gara capace, come avrebbero detto le cronache sportive di un tempo, di “riaprire il campionato”. La Juve è troppo più forte della Roma prima inseguitrice. Certo, da un po’ di tempo accusa qualche affanno, ma grazie ai suoi campioni (Tevez e Pirlo non li ha nessuno, in questa serie A), è riuscita a sopperire, portando a casa innumerevoli vittorie con scarto minimo sugli avversari, che tuttavia assegnano gli stessi tre punti dei larghi e incostanti cinque a zero e quattro a due di Roma e Napoli.
La classifica dice di un campionato sempre più spaccato. Non accadeva da tanto, a memoria, che a sette partite dal termine fosse già tutto (o quasi) deciso. Lo scudetto; la corsa per la Champions (preliminari compresi) e la Uefa; la zona retrocessione, fatta eccezione per l’ultimo posto salvezza disponibile, che il Livorno riesce a contendersi con Bologna e Chievo più che per propri meriti per i continui scivoloni degli avversari. Appaiono lontani gli avvincenti campionati degli anni Novanta, in cui a inizio torneo erano sei o sette (le famose “sorelle”) le squadre che avrebbero potuto lottare per la vittoria finale. Preistoria gli anni Settanta e Ottanta in cui il Cagliari e il Verona potevano vincere lo scudetto fondando i propri successi sulle capacità di un grande tecnico, una buona organizzazione societaria, una squadra combattiva e al massimo tre o quattro campioni. Altri tempi, altro calcio.
Oggi Benitez racconta ai giornalisti che nei principali campionati europei a vincere è sempre chi ha più soldi, portando l’esempio del Chelsea filorusso e delle due squadre di Manchester, in Inghilterra. Nel frattempo il presidente De Laurentiis, abilissimo a guadagnarsi la luce dei riflettori nei momenti vincenti, punta il dito contro il fatturato della Juve, come se questo fosse frutto di rapine in banca che i bianconeri esercitano in altre sedi. Due osservazioni imprecise ed evitabili.
La prima, perché è vero che la Juve costruisce i suoi successi su un numero di campioni di cui le altre squadre non dispongono, ma è anche vero che molti di questi sono stati presi grazie all’abilità del direttore Marotta a prezzi stracciati o quasi: Pirlo, Pogba, Tevez, Vidal e Llorente su tutti. E sono proprio questi a fare la differenza: ha voglia, il tecnico spagnolo, a sottolineare la mancanza nella sua squadra di rincalzi, rispetto a quelli bianconeri, all’altezza della situazione. Ma in una classifica della Gazzetta che fa la media tra i gol segnati e quelli “decisivi” (quelli che hanno portato punti) dei calciatori di serie A, la Juve ne ha ben due nelle prime cinque posizioni (Tevez è primo, Vidal quarto). Appare, insomma, assai più decisivo l’argentino portato a Torino per pochi soldi, che i vari Isla, Ogbonna, Osvaldo & co., che Benitez non ha, ma che tra l’altro Conte non fa giocare quasi mai.
In quanto alle questioni riguardanti il fatturato, le parole del presidente sono imbarazzanti. Nella rincorsa ai fattori che fanno esplodere il fatturato di una azienda calcistica, il Napoli è clamorosamente dietro rispetto a tutte le grandi europee. Uno: nonostante le fanfaronate, le chiacchiere e le inchieste giudiziarie, lo stadio di proprietà (rinnovamento del San Paolo più che un nuovo impianto) è ancora un miraggio. E lo è soprattutto a causa delle eterne bagarre con l’amministrazione comunale, verso cui è debitore. Due: il merchandising e la cosiddetta “valorizzazione del marchio”. Il Napoli va fortissimo da questo punto di vista, nel senso che riesce a vendere ai suoi tifosi qualsiasi prodotto che abbia sopra la “N” più celebre della città. Non ci sono, però, meriti della società. I napoletani hanno da sempre amato comprare maglie, tute, cappellini, orologi, accappatoi, pantofole della squadra, indipendentemente dai risultati di quest’ultima, tanto che memorabili sono anzi alcuni prodotti (il glorioso K-way blu con sponsor Polenghi) associati ad annate fallimentari sul rettangolo di gioco.
È anche vero che questi tifosi-fanatici (in senso inglese del termine) sono gli abitanti della città di Napoli, e che nonostante i buoni risultati della squadra, l’appeal internazionale della società è praticamente pari a zero, o comunque irrilevante rispetto a quello delle società al cui livello De Laurentiis millanta di ambire. Nessuno a Monaco di Baviera, a Manchester, a Lione, a Milano (se non immigrati napoletani), e forse nemmeno a Foggia o Caltanissetta, compra la tuta del Napoli perché affascinato dal marchio. E così, rispetto agli anni precedenti, il fatturato della società aumenta ma non di molto. Terzo: i diritti televisivi. Proprio in considerazione di questo scarso appeal internazionale, il Napoli (che pure può contare su un bacino di utenza di napoletani sparsi per il mondo) vende malissimo i propri diritti, a cifre irrisorie rispetto a quelli delle grandi europee, Juventus compresa. Questo, il calcio moderno ci insegna, è un tallone di Achille enorme per i guadagni di una società. Chi è causa del suo mal, insomma, pianga se stesso.
In ultimo, bisognerebbe far notare a De Laurentiis e Benitez che c’entra poco il fatturato con il fatto che tanti punti, sul campo, quest’anno il Napoli li ha persi a causa di clamorosi errori individuali di giocatori (talvolta scarsi, talvolta sopravvalutati) che il sempre disorientato Bigon ha pagato non poco. La lista è lunga, menzioneremo qui solo i più eclatanti: Britos, Dzemaili, Fernandez e Inler. Per le stesse cifre, insomma, e senza bisogno di chissà quale fatturato, si potevano prendere giocatori migliori di questi e non perdere, con buone probabilità, punti preziosi contro il Sassuolo, il Chievo, il Parma, il Genoa e così via.
Un peccato, perché il campionato si chiude con un Napoli che avrebbe potuto recitare (considerando i buoni colpi fatti, da Callejon e Mertens fino allo stesso Benitez) tutt’altro ruolo. Gli azzurri invece hanno da giocare solo per tenere salvo l’onore e allenate le gambe, in vista della finale di Coppa Italia e del mondiale brasiliano. Un mondiale al termine del quale ci aspetta, con ogni probabilità, un mercato di tribolazioni. Colpi sensazionali il Napoli non ne piazzerà, almeno fino a quando la squadra non si assicurerà il passaggio del turno preliminare in Coppa dei campioni. I nomi che si fanno, è vero, sono quelli di cosiddetti top player, ma anche a gennaio mentre la stampa invocava Skertel e Vermaleen arrivavano Ghoulam e Reveillere. In tal senso, l’unica garanzia è proprio Benitez. Accetterà il tecnico di vincolare il mercato ai tempi e alla eventuale partecipazione in Champions, o presserà il presidente perché costruisca una squadra che possa finalmente giocarsi lo scudetto? Lo sforzo necessario, non sarebbe sovrumano. Basterebbero, buttandola lì, un paio di difensori centrali e di esterni difensivi, un buon centrocampista centrale e un attaccante. Non serve molto, lo insegna la Juve che trionfa in campionato ma zoppica in Europa, per fare la voce grossa in un campionato che, tra i grandi tornei europei, è diventato il più brutto e noioso. (pazzaglia)
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