Questa è la prima parte dell’articolo. La seconda parte verrà pubblicata domani.
Uno pensa che le sanno fare così bene perché in Africa si vive in capanna e quindi lo imparano da piccoli, come una cosa naturale, come per noi a Nicotera Marina era imparare a varare i gozzi di sopra le falanghe [1] lungo la spiaggia fino alle onde della battigia, quando eravamo un villaggio di pescatori, cento anni fa, ma forse ancora cinquanta… per alcuni ancora oggi.
Quei telai di legno, su cui poi si stende e si fissa carta e plastica per isolare, hanno decisamente un che di tribale, per non parlare di quanto sono esotiche e suggestive le baraccopoli… Potrebbe immaginarsi, uno che ci fa un giro in mezzo, di essere sceso dalla nave da crociera sulle coste del West Africa ed essersi avventurato in tour nei bassifondi di Dakar, Banjul, Bissau, Conakry, Freetown, Monrovia, Abidjan, Accra, Lomé, Porto-Novo, Malabo… Libreville. Fa proprio sorridere, quasi più di Freetown, forse perché si capisce pure dall’italiano… Libreville. La ribattezzerei così la capannopoli di San Ferdinando, tanto del Gabon mi pare che non c’è nessuno e quindi così non si fa torto agli altri eleggendo una nazionalità in rappresentanza. Certo agli anglofoni rode il culo sicuro, perché la grande distinzione culturale/etnica è questa: anglofoni/francofoni, seguita da quella cristiani/mussulmani, due insiemi che si possono quasi sovrapporre, non proprio del tutto ma fino a un certo punto sì. Comunque sia, Libreville il nome se lo merita proprio e la cittadinanza spetta a tutte quelle e tutti quelli che resistono là dentro a dispetto della criminalizzazione e delle intimazioni di prefettura e forze dell’ordine, a dispetto degli incendi e dei morti, a dispetto delle aggressioni di notte, quelle compiute tra il 2015 e il 2016 da una banda composta per lo più da minorenni.
Quelli che restano là sono un po’ obbligati, se sono irregolari, sono quasi eroici se sono regolari, perché vuol dire che hanno rifiutato di farsi deportare nella tendopoli nuova, quella che inaugura una nuova gestione, con i badge all’entrata, il coprifuoco, il divieto a fare riunioni o assembramenti, il divieto a portare ospiti senza avvertire… E sono anche quasi invidiosi, quelli che hanno scelto la sistemazione nuova, e anche un po’ opportunisti. Si pigliano il meglio di entrambe. A dormire in tende più comode e con le docce calde nel campo ufficiale; nella tendopoli-ghetto vecchia a bere qualcosa la sera, a guardare la partita, a cercare una donna, a fare un po’ di vita sociale e anche qualche spesa. Per tendopoli vecchia s’intende quella che prima era un campo di stato con annessa e progressiva escrescenza di baraccati, a circondarla, a ingoiarla, e ora è semplicemente una baraccopoli abusiva, clandestina, “libera”… Libreville.
Se Zavattini fosse vivo, ci scriverebbe il seguito di Miracolo a Milano. E invece della vecchia zia morta, anima protettrice, a donare la magia a Totò in difesa degli abitanti del villaggio di baracche milanese contro gli speculatori e i loro sbirri, ci sarebbe una Mami nigeriana a fare una specie di Vou Dou, e i ragazzi davvero riuscirebbero a usare i loro amuleti protettivi anche contro i proiettili. «Funziona solo se tu ti comporti come si deve…», il mio amico Mamadou ha ribattuto così all’obiezione che gli ho fatto una volta mentre raccoglievamo pomodori, gli chiedevo come mai spesso non funziona. E io sinceramente non avevo niente da rispondere. Però mi domandavo: ma chi è che può dire di comportarsi sempre bene?
Vabbè, comunque è un problema loro. In tutti i sensi. Perché qua nessuno è razzista, ma loro devono comportarsi bene, sennò si meritano solo calci in culo. Noi bianchi autoctoni possiamo fare le nostre cazzate, ma loro no, loro devono essere tutti santi, sennò a casa, quelli che sbagliano e pure i loro amici. Se Soumaila aveva un amuleto non è il caso di domandarselo. Sennò poi uno va a finire che pensa “se aveva la coscienza pulita a Soumaila non gli succedeva niente, l’amuleto che aveva addosso sicuramente funzionava”. A parte il dubbio se ce l’avesse o no, e a parte che gli amuleti sono tanti, di tanti tipi e forme, tutti belli ma con funzioni diverse, da quel che ho capito, nel senso che non proteggono allo stesso modo… Ma poi, oltre tutto, ho pure il sospetto che qui da noi non funzionino come in Africa. E non lo dico con ironia, perché io davvero sono agnostico e davvero non escludo possibilità ai fenomeni incomprensibili che a questo mondo accadono nonostante le pretese d’onnicomprensione della nostra demiurgica scienza capitalistica. Comunque, tornando al proiettile che è finito dentro la testa di Soumaila, quello che non si capisce è perché gli hanno sparato. I magistrati dicono che è stato per impedire accessi nella discarica “La tranquilla”, in cui sono atterrati abusivamente rifiuti altamente tossici. Giusto! Cosa meglio, per evitare occhi indiscreti, che scatenare un caso nazionale con un omicidio, per lo più di un sindacalista maliano? Non fa una piega no? Una signora di mezz’età del posto, che ho letto su Facebook, ha invece una sua teoria da non sottovalutare:
“Condanno l’accaduto perché vita umana, condanno perché figli dello stesso Dio e non figli di un Dio minore… non sono razzista perché ho aiutato nel mio piccolo e aiuterò ancora (anche quando ero incinta e con minacce di aborto ho cucinato per loro non mi sono tirata indietro) ma benedetto Dio se non facevano nulla di male perché gli hanno sparato? Se si stavano nella tendopoli e non si spostavano parecchi km a S. Calogero non succedeva niente… ma anche se era fabbrica dismessa era proprietà privata… da S. Ferdinando a S. Calogero non ci sono circa venti km? Dico io se non si va per rubare di notte che cosa si va a fare? In paese abbiamo parecchi furti di notte e anche con persone in casa e più di una volta hanno visto persone di colore… all’inizio non uscivano di notte adesso escono a tutte le ore… ci sono razzie sia in case che nelle campagne… allora di che si parla???”
Già appunto, ma perché cazzo si sono fatti sta strada senza macchina e al buio (ché sulle provinciali in questi anni più di uno c’è morto, mentre tornava dal lavoro, spiaccicato sull’asfalto, ricordo Diabe il guineano…), perché sono andati a infilarsi in quel cazzo di posto di merda, che è una discarica dismessa che nei decenni è stata riempita di materiali tossici? E d’altronde, che volete, il terreno è proprietà privata e a casa sua ognuno fa quello che vuole. Però ora è sequestrata, la discarica, pare che atterrata là sotto c’è roba da far crescere bambini con sei braccia tra qualche generazione… I ragazzi che erano con lui hanno detto che era andato ad aiutarli a raccogliere lamiere per fare una baracca. Qualcun altro ha scritto che era un lavoretto che faceva per arrotondare, il raccatta-lamiere… Posso immaginare che, nel passaggio tra le lingue e le mentalità, con quell’“aiutare” intendessero questo, i suoi amici, anche se chi non vive quel contesto non può che aver travisato quel verbo. E io stesso, quando ho letto la prima volta, ho voluto comprendere in quel modo che pare sia errato, ho voluto vestire Soumaila di un altruismo sovrumano e incomprensibile, simile a quei misteri che avvolgono sempre i martiri. Già perché Soumaila, se per qualcuno deve essere un ladruncolo e il suo omicidio una cosa banale, per altri deve diventare un eroe. D’altronde era un sindacalista, tra l’altro di un sindacato di base, l’USB, e per farlo, il sindacalista nero, in mezzo alle baracche della piana, che non ti pagano e corri quantomeno il rischio di non trovare lavoro perché tingiutu… per farlo, dicevo, ci vuole coraggio e generosità. Generosità qua non vuol dire il “darsi per gli altri” ma piuttosto avere forza d’animo a sufficienza, anche nella disperazione, per trascendere, per agire in direzione di un oltre verso cui possono procedere tutti. Invece, leggendo che era andato ad aiutare i suoi fratelli, io volevo proprio capire che lui era andato nella fabbrica per “darsi agli altri”, senza tornaconto. Invece ci era andato per arrotondare. Era andato là per sopravvivere… eroicamente.
Anzi, pensandoci bene per me là sono tutti eroi, tutti. Belli e brutti. Compresi caporali, puttane e spacciatori. Compresi ubriaconi e imam. Compresi padri di famiglia che vogliono solo lavorare e ragazzi che stanno a Bergamo o a Milano o a Torino e scendono a farsi una stagione, «perché volevo vedere», come mi riferivano qualche anno fa con la parlata del nord. Tutti eroi. Sono eroi perché raccattano tutta sta merda di scarto del ciclo di consumo di massa che riempie queste tre zone industriali a ridosso del porto di Gioia, dove le fabbriche funzionanti si contano sulle dita di una mano e i capannoni abbandonati invece non si contano proprio, o peggio uno di quei paesi come San Calogero, dove appunto c’è rimasto Soumaila… Sono eroi perché pigliano sta plastica e sto cartone e ste specie di fibbie, quelle che tengono insieme i pancali, e ci fanno dei ricoveri in qualche modo solidi e abitabili. E sviluppano agglomerati in cui riescono a restare umani, che vuol dire che non gli passa la voglia di comprarsi gli spiedini di pecora appena arrostiti su una griglia di frigorifero, anche se spendono un po’ di più che per cucinarsi da soli, e non gli passa la voglia di sedersi al bar tenuto da qualche grassa signora ghanese o nigeriana, e non gli passa la voglia di pregare nella chiesa capanna, nella moschea capanna, e non gli passa la voglia di scopare, e per quello ci sono le puttane. Che pure loro mi dico… ma come fanno? Per le strade nella canicola ad aspettare qualche vecchio vedovo di paese magari sporco e bavoso che manco parla italiano e poi pulirsi coi fazzoletti e tornare sulla cassetta di plastica appoggiata contro il guard-rail… e chiacchierano, e ridono tra di loro! E se le saluti ti rispondono allegre! E ormai lo sanno che io non sono un cliente, perché da anni ci incontriamo tutti i giorni e io gli mando un bacio e mi rispondono con un bacio. E se alcune di queste fanno la lap-dance in qualche ricovero/bar della baraccopoli, anche questa è una cosa eroica… Insieme alla ferocia, insieme allo sfruttamento nella carne, insieme allo sfruttamento delle carni, che manco quelle sono più tue, insieme alla violenza che ha bruciato viva Becky Moses proprio in quella baraccopoli là solo qualche mese fa, che se rimaneva a Riace a quest’ora era viva, ma la burocrazia del ministero lo dice chiaro e tondo, dopo TOT mesi te ne vai a morire come le altre nel fango, qua non si ammettono favoritismi o deroghe.
E io non ci credo, non mi risulta, che lo imparano in Africa, questo modo di sopravvivere insieme e di costruirsi baracche e di restare umani. Lo imparano qua, perché è un’arte della sopravvivenza da profughi in territorio ostile che s’è sviluppata in decenni e quando arrivano uno la trasmette all’altro. Poi, certo, capita pure quello che sclera, che ruba il portafogli a un altro… uno come Sekine Traore, che ne so… che c’aveva quello sguardo dolce e una simpatia, a quanto dicono, che un bambino cresciuto tra quelle baracche lo piangeva inconsolabile, mentre gli altri che avevano chiamato i carabinieri, perché era sclerato… che dovevano fare, mica lo potevano ammazzare… e appunto non si capacitavano… erano tre carabinieri, nella baracca, lui pesava sicuro meno di settanta chili e pure se aveva un coltello… ma proprio a morte lo devi colpire? Sì, i giudici dicono che effettivamente il carabiniere ha esagerato. Gli poteva sparare alle gambe, che so… In ogni caso il carabiniere che l’ha ucciso è sotto processo per “eccesso di legittima difesa”. Ecco qua: dice incontrollabile, la situazione del ghetto è incontrollabile, “esplosiva”, intanto per anni vivono così, in condizioni di miseria indicibile, felici quando qualcuno li sfrutta… e non si mangiano tra loro come i cani! Devono arrivare i carabinieri per farci scappare il morto. Devono passare con una Punto di notte a sprangarli, per farci scappare i feriti. Succedeva qualche anno fa, però a Rosarno dicono che non è vero e che si inventavano tutto loro per avere la scusa di rifare la rivolta. Deve arrivare uno in Panda col fucile che si apposta e li aspetta… A Soumaila non lo hanno ammazzato i caporali. No. Lo ha ammazzato uno che dice: “A casa mia comando io”. A casa sua dove ci ficca tutta quella schifezza che ci fa venire i tumori a noi paesani, che però non gli possiamo dire niente, perché quella è “casa sua”.
Ma quello che mi fa incazzare e per cui non li tollero tanto, pure se restano eroi, è che oltre a restare umani restano pure civili! Nel 2010 hanno fatto la rivolta, hanno messo a ferro e fuoco le strade colpendo però unicamente le cose, solo una signora purtroppo è rimasta ferita… una cosa brutta. Ma una, dico prima dei linciaggi e della deportazione, ovviamente. Là poi i feriti non si contavano, ma erano tutti neri. E dopo la rivolta e tutti quei casini comunque le aggressioni si sono fermate! Poi, pian piano, qualche anno dopo, sono ricominciate… Fino a questo ultimo tiro al bersaglio dell’altra sera. E loro continuano a fare manifestazioni pacifiche, civili, a chiedere controlli d’ordine pubblico da parte di polizia e carabinieri, a chiedere educatamente udienza in delegazione al sindaco, al prefetto, al ministro! E a gridare: “Tocca uno, tocca tutti”. In cento, che dice sono pochini, tra l’altro pure sfottuti dalle macchine di passaggio… Ai paesani miei però questo “tocca uno, tocca tutti” non l’ho sentito gridare mai, né in cento e né in dieci, quando qualcuno viene minacciato o aggredito da quelli che sparano.
Comunque da allora, dal 2010, Rosarno è diventata famosa, e con Rosarno sono diventate famose “le varie Rosarno d’Italia”. E ci siamo mossi, attivisti, giornalisti, sindacalisti… sono nati percorsi di autorganizzazione e di alternativa… nell’ordine del discorso pubblico la causa dei braccianti immigrati ha raggiunto un successo dopo l’altro e ha prodotto anche qualche star. Il caporalato è diventata per la coscienza nazionale bipartisan una piaga da estirpare e fioccano leggi e protocolli ministeriali ad hoc. Il mondo ha scoperto che la colpa di tutto ciò è individuabile nei vertici dell’agroindustria e della Grande Distribuzione Organizzata. I progetti dell’altraeconomia e dell’agricoltura sostenibile crescono e si diffondono. Addirittura manifestazioni di braccianti autorganizzati si moltiplicano tra Foggia e Rosarno passando per la Sicilia, la Lucania, la Campania, fino al Piemonte di Saluzzo e Castel Nuovo Scrivia. Nell’ordine retorico del discorso i compagni e le compagne, i sindacalisti, gli attivisti, ci siamo presi delle belle soddisfazioni. Anche carriere cinematografiche e giornalistiche si sono costruite sull’esistenza dei ghetti e la denuncia delle condizioni di questi “nuovi schiavi”, che poi perché dei lavoratori salariati ancorché super-sfruttati debbano essere definiti schiavi non lo capisco ancora… a meno che non lo si faccia nel senso in cui scriveva Marx della “schiavitù del lavoro salariato”. Tutta la coscienza civica nazionale resta confortata, rassicurata, auto-confermata nelle proprie convinzioni dalle testimonianze su questi inferni e dalla disapprovazione generale a cui per comoda edificazione personale si può partecipare vedendo un documentario o comperando le arance giuste. Magari, se uno vuole esagerare, anche andando a qualche manifestazione. Oggi poi, dopo l’ennesima provocazione di cui è rimasto vittima Soumaila, fanno tutti a gara a chi grida di più. Io ci provo a tapparmi le orecchie ma li sento lo stesso, la Coldiretti, il presidente della Regione, tutti i sindacati confederali, i Cinque Stelle, il Vescovo… Tutti d’accordo, l’unico cattivo è Matteo Salvini. Che poi è l’unico che dice la verità. Dice sostanzialmente che i morti neri non valgono quanto i bianchi. Dice quello che fa e che vuole fare, al contrario degli altri come Minniti che fanno uguale dicendo bugie, o di altri ancora che si autoconvincono che “qualcosa sta cambiando”…
Fuori dall’ordine retorico del discorso, passando al piano dei processi reali, tutto continua come prima e le iniziative a cui per anni ho partecipato non fanno che accumulare un fallimento dopo l’altro:
– l’economia solidale serve solo a gratificare la buona coscienza della borghesia progressista di città, da una parte, e a mantenere in vita qualche gruppetto di piccoli imprenditori agricoli onesti (nulla di meno e nulla di più) dall’altra;
– i percorsi di autorganizzazione raccolgono l’acqua del mare con un cucchiaio, perché i braccianti come classe organizzabile non esistono. I braccianti sono gli sfigati della massa operaia immigrata e chi di loro può non vede l’ora di abbandonare sto lavoro di merda. Se uno sciopera, cento sono contenti di rubargli il lavoro. Chi è arrivato fresco ha bisogno di un caporale, perché sennò il lavoro che troverà sarà molto più discontinuo e anche più esposto a eventuali abusi di un’eventuale prepotenza padronale. D’altronde:
– tutto il percorso contro il caporalato è una sonora ipocrisia discriminatoria, visto che in altri settori da tempo il caporalato è legalizzato per il tramite delle agenzie interinali;
– le conquiste “strappate” dai sindacati nei contratti provinciali servono solo alle sigle per mettersi le medagliette e giustificare la propria esistenza, poiché qualunque diritto fatto d’inchiostro non è esigibile. Non lo era prima, coi rapporti in nero, non lo è ora, coi contratti finti, che prevedono accordi sottobanco con retribuzioni che non superano i trenta euro al giorno, quando non prevedono la raccolta a cassetta. Delle condizioni di sicurezza e dei carichi di lavoro, non ne parliamo proprio. E d’altronde anche il cottimo qualche tempo fa veniva legalizzato in provincia di Lecce, a tutta risposta del famoso e celebratissimo, ed effettivamente enorme ed eroico quanto inconcludente, sciopero di Nardò;
– le organizzazioni di categoria come la Coldiretti urlano che è arrivata l’ora di superare la logica del ghetto e intanto si tengono in pancia le aziende locali più grosse che da tutta sta schifezza traggono i profitti che lasciano loro in elemosina l’agroindustria e la Grande Distribuzione. Si tratta dei grandi magazzini dei commercianti che accumulano anche sempre maggiori estensioni in conduzione diretta. Altro che i due container doccia “regalati” di cui si vantano, le associazioni di categoria come la Coldiretti hanno un conto salato da pagare… E intanto continuano a blaterare in difesa dell’industria del succo, l’economia della miseria che degrada un territorio e foraggia solo i maneggioni;
– il presidente della Regione si batte il petto ma pensa alle “eccellenze regionali” e si guarda bene dall’imporre un’imposta regionale progressiva sul fatturato delle aziende del settore che ipso facto finanzierebbe, coi soldi di chi lucra su questa situazione, politiche adeguate di residenzialità per gli stagionali;
– i legalisti giacobini come i pentastellati chiedono giri di vite e fanno finta di ignorare che masse di irregolari o di irregolarizzati sono di carne e ossa come gli altri mentre di fatto non sono tutelati dalle leggi e tantomeno dai loro giri di vite. Anzi, se si riuscisse per miracolo a imporre la legalità i disperati irregolari, ma anche molti dei regolari, non troverebbero manco le poche giornatine che scagliano così, ci sarebbero pochi con un lavoro stabile, molti senza possibilità di impiego, tante aziende chiuse perché non reggono i costi di produzione e pochissime aziende ad accrescersi magari un po’ meccanizzate. Come in quei posti dove una specie di trattore/gru sposta il bracciante, nel suo abitacolo in cima al braccio meccanico, tra le fronde di agrumi e questo deve andare velocissimo a raccogliere secondo il ritmo di spostamento della macchina. Sai che bellezza. La sottomissione completa, perfezionata, del lavoro vivo al lavoro morto anche in mezzo ai giardini d’agrumi;
– gli attivisti si fanno la guerra tra gruppi e gruppetti, anteponendo gli uni la propria improduttiva immagine da duri e puri alle esigenze di un fronte ampio di lotta, gli altri la sopravvivenza dei propri progettini alla conduzione di un conflitto proporzionato alla durezza dello scontro di classe. Gli uni e li altri seguono il proprio copione, giocano la propria parte, riproducono i propri ruoli senza riuscire a determinare avanzamento alcuno, dato che procedono senza prospettiva né strategia;
– e intanto Salvini è l’unico che dice la verità: la vita dei neri non vale come quella dei bianchi. E io farò leggi che consentano a ciascuno a casa sua di atterrare a fucilate chiunque si permetta di infilarci il naso non invitato. Sull’estensibilità del concetto di “casa mia” e quindi sull’ampiezza sconfinata delle possibili degenerazioni lungo questa china è inutile soffermarsi.
Provo a questo punto a chiarire meglio a me stesso qualche altra verità, o almeno quelle che a me sembrano tragicamente tali.
I percorsi di autorganizzazione conflittuale del bracciantato non hanno alcuna speranza, perché non possono contare su una continuità soggettiva – la gente circola e scappa appena può e se ne fotte dei propri fratelli rimasti sul campo – e non hanno nessuna possibilità di giocare dei rapporti di forza, perché l’arma dello sciopero non è praticabile dato che c’è sempre una maggioranza, in questa massa, pronta ad approfittare del posto lasciato libero dal fratello che sciopera. La “sindacalizzazione” necessaria sbandierata dai sindacati, tutti, ognuno a modo suo, quale più ipocrita e traffichino, quale più onesto e volenteroso (no, non sono affatto tutti uguali), dicevo, quale che sia la sigla che la sbandiera, questa sindacalizzazione è una sonora bufala, non fa il conto dell’inesigibilità da parte del singolo delle conquiste realizzate sulla carta e della reale indisponibilità della gente ad affrontare vertenze. L’unica richiesta realistica sono diritti di soggiorno indifferenziati per regolari e non, garantiti con strutture residenziali gratuite e accesso ai servizi, tra cui la mobilità, da finanziare coi soldi dei padroni, che vanno estorti con una tassazione ad hoc.
L’unica arma di cui i braccianti dispongono per imporre una cosa del genere è la violenza. L’obiettivo da colpire, i grandi magazzini di lavorazione, che sono lo snodo locale della filiera. Come pure le industrie conserviere per quello che riguarda il pomodoro, e via dicendo. Colpire questi snodi, bloccarli con picchetti che usino la forza, è l’unica possibilità. L’unica forma di lotta che sia praticabile anche da nutrite minoranze combattive. A questo punto gli imprenditori agricoli piangeranno che loro non hanno colpa, che è colpa del sistema agroindustriale delle grandi catene che li strozza coi bassi prezzi sul campo. Bene, allora la violenza fatta agli imprenditori agricoli servirà per imporgli un bivio e magari una spaccatura: o attuare forme le più varie, statali e non, di repressione contro i braccianti, o lottare in modo deciso contro l’agroindustria e la GDO. In questo modo la lotta assumerà mediatamente anche un contenuto economico verso la controparte padronale reale, le grandi catene, TUTTE, della distribuzione organizzata e l’industria alimentare. Si tratta di una prospettiva di lotta molto cruenta, e non sono sicuro che un numero sufficiente di stagionali sia disposto o trovi il senso di rischiare la pelle per tutti invece di tentare la lotteria della fuga dalle campagne e magari addirittura dall’Italia. Ma al di là di questo, io domando a me stesso: nel regime di internazionalizzazione dei mercati come sarebbe possibile una simile vertenza solo sul piano nazionale? Semplice: è impraticabile. Perché se puntano i piedi i calabresi o anche tutti i produttori meridionali di agrumi, ci sono gli spagnoli che canalizzano i frutti del nord Africa, per i kiwi arrivano i turchi e gli egiziani e via dicendo, nella giostra della sovrapproduzione strutturale mondiale. Quindi, posto che questa prospettiva di lotta sia messa in atto, la sua concludenza è quantomeno incerta. Però in Spagna esiste il SOC e in Marocco i sindacati dei braccianti, come pure in Francia un sindacato contadino come la Confédération Paysanne… magari un giorno tutti insieme coordinati chissà… (arturo lavorato)
Leggi la seconda parte dell’articolo…
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