È andata male, è andata così. La rovesciata di El-Yamiq e la palla che si stampa sul palo è l’immagine che mi resterà di questa semifinale mondiale, almeno della sua parte televisiva. Il difensore marocchino colpisce la palla quasi con la tibia, il pallone svirgola leggermente, si alza poi si abbassa mentre si avvicina alla porta difesa da Lloris, poi rimbalza sul palo. La partita non l’ho potuta vedere più di tanto, perché ero in giro per gli Champs-Elysées con la telecamera, a fare dirette per la tv. Quell’immagine l’ho vista allo schermo di un ristorante, poco prima di una diretta, mentre la giornalista si preparava.
Oltre alla rovesciata, resta di questa serata una marea di polizia. Fin dal calar del sole, gli Champs-Elysées sono occupati, metro quadro per metro quadro, da un profluvio di agenti antisommossa, camionette di Crs e Gendarmerie, cannoni ad acqua e tutto quanto si possa mettere in campo in termini di crowd control. Per giorni e giorni, editorialisti, esperti e politici hanno allertato la popolazione sui tremendi rischi che i potenziali festeggiamenti avrebbero potuto comportare per la democrazia e il quieto vivere, in-periodo-natalizio-signora-
L’intera lunghezza degli Champs, da un lato e dall’altro della carreggiata, è ricoperta di camionette, cosa che rende a malapena identificabili le insegne dei negozi di lusso. Una chilometrica fila di Crs forma una barriera tra il marciapiede e la strada. Pattuglie di gendarmi in antisommossa sono schierate perpendicolarmente ai marciapiedi, pronte a intervenire. Sembra un contro-summit, invece è una partita di calcio.
La folla comincia ad arrivare pian piano, già prima del fischio finale. Tanti ragazzini, qualche famiglia. Bandiere varie: ovviamente tanti tricolori francesi, un bel po’ di stelle marocchine, qualche drapeau algerino. Atmosfera da festa popolare: si sventola la bandiera, si urla, si ride, s’insulta. C’è chi è molesto e chi no. Appena accendo la luce della telecamera per prepararmi ad andare in onda, la folla si aggruma alle spalle della corrispondente, partono i cori, c’è una ragazza che le molla un bacio sulla guancia.
Poi andiamo in giro a fare domande, allora la gente urla, ci prendono per il culo perché ai mondiali noi non ci siamo andati, c’è la mamma marocchina, c’è la ragazza con le guance bleu-blanc-rouge, c’è il tizio mezzo algerino gasato a mille, ci sono i coatti nella Twingo a farsi le canne, sul boulevard il gippone col bandierone francese che sventola, botti che esplodono qua e là, fuochi d’artificio in lontananza con l’Arc de Triomphe sullo sfondo. C’è baldoria e c’è molestia, l’aria invasa dai clacson, cerco disperatamente di seguire la giornalista che fa zig-zag tra gli esaltati per sguainare il microfono a quel gruppetto di ragazzi, a quella famiglia, a quello col bandierone, a quello che si fa la canna. Puntualmente, appena accendo la luce, è un putiferio di urla e cazzeggio.
All’improvviso un odore mi arriccia il naso: lacrimogeni. La folla corre verso di noi, ci spostiamo di lato. Una mezza carica dei gendarmi ha creato un momento di panico, come un punto in una frase. Subito, la festa riprende – d’altronde, c’è troppa gente, troppo casino. La gente ricomincia a fare festa, poi un’altra carica smuove un po’ di folla, l’aria si satura di gas in un settore, ed ecco che in un altro la festa continua imperterrita. Si va avanti così per tutta la notte.
Quello dell’utilizzo del pugno di ferro in queste occasioni tutto sommato innocue, del mettere in mostra il peggio che il maintien de l’ordre può offrire davanti a una folla, è un aspetto profondamente rivelatore della società francese, o almeno, di come una parte di questa società prepara e affronta questo tipo di evento. Invece di accettare una festa che non ha niente di pericoloso, né dal punto di vista simbolico, né dal punto di vista, diciamo, logistico, si sceglie di militarizzare un’arteria della città, e darci dentro di mazzate finché non esplode.
Poliziotti e gendarmi pretendono di controllare manu militari una folla gigante e festosa, lanciando lacrimogeni e caricando alla cieca, creando movimenti di folla improvvisi e violenti, alimentando rabbia e frustrazione che rendono la folla ancora meno governabile. Puntualmente, la situazione inevitabilmente degenera.
Nel frattempo, in varie città si verificano aggressioni razziste: a Lione (roccaforte dell’estrema destra) gruppi di neofascisti armati di spranghe hanno girato la città aggredendo supporter del Marocco, preferibilmente isolati; a Nizza altri gruppi di ex-identitari hanno caricato dei tifosi del Marocco; a Montpellier un adolescente tifoso del Marocco è stato ucciso investito da una macchina, dopo una serie di aggressioni da parte dei neonazi locali; a Parigi, quaranta militanti d’estrema destra sono stati fermati all’ingresso degli Champs, armati, con, immagino, poco lodevoli intenzioni.
La repressione poliziesca e quella fascista, il panico mediatico che precede l’evento, sono tutti elementi ormai caratteristici delle partite di calcio festeggiate sugli Champs-Elysées e nelle piazze francesi. Guarda caso, sono anche tra i pochi momenti in cui le frazioni più emarginate della società occupano questi spazi altamente simbolici, li rendono per così dire inagibili, anche se per un tempo limitato.
Le autorità poliziesche francesi non possono, o non riescono, a tollerare questo fatto. Innanzitutto per ragioni simboliche, di prestigio, mediatiche. E se non si può tollerare, bisogna reprimere – ma non per ottenere vantaggi di piazza, logistici e tangibili, bensì per mostrarsi forti, flettere i bicipiti: perché queste strade un po’ meticce e un po’ popolari, ma insomma del tutto francesi, non si possono permettere certe cose. O meglio, possono: ma allora se la sono cercata. Classico retaggio coloniale, nella migliore tradizione francese, da gustare in salsa lacrimogena davanti alle vetrine degli Champs-Elysées.
Peccato per El-Yamiq. C’avevo mezzo creduto. (filippo ortona)
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