“Sono in questo istante al teatro Les bouffes du Nord (Métro La Chapelle), tre file dietro il presidente della repubblica. Ci sono dei militanti in zona e qualcosa è in preparazione… La serata rischia di essere movimentata”.
Così scriveva Taha Bouhafs, giornalista militante, in un tweet alla vigilia dell’atto 62 dei gilet gialli, il 17 gennaio 2020. Il teatro, fino a qualche anno fa diretto da Peter Brook, è poco lontano da casa mia. Così la voce passa di messaggio in messaggio, da chiamata a chiamata. E bastano pochi minuti per ritrovarsi in un centinaio davanti al teatro. Si grida e si spinge. La sicurezza del teatro e i pochi poliziotti presenti a presidiare l’entrata sono colti di sorpresa e così con due spinte il cordone di sicurezza è forzato. Qualche poliziotto recupera e riesce a guadagnare le porte della platea ma non abbastanza in fretta. Un paio di compagni riescono a entrare, spalancare le porte del teatro e gridare un paio di slogan in platea. Quanto basta. Il “piccolo re” è costretto a lasciare la sala scortato dalla polizia, «per mettere al sicuro mia moglie Brigitte», dirà poi ai giornalisti, ma le immagini e la fuga in auto dietro un cordone di poliziotti inseguita dai manifestanti parlano da sole. Sul posto rimane una squadra di polizia in tenuta antisommossa. Taha è nel frattempo stato «immobilizzato da un agente del GSPR (Groupe de sécurité de la présidence de la République) che gli ha sequestrato il telefono», ci spiegherà qualche giorno dopo il suo avvocato, poi inquisito e messo in stato d’arresto.
«Emanuel Macron, presidente dei padroni, veniamo a prenderti a casa», si continua a cantare davanti al teatro. I CRS sono ancora disorientati e di fatto non sanno bene come reagire. «Ci vediamo domani! Cani! Venduti! Ma chi difendete? Vergogna! Per mantenere le vostre pensioni avete venduto il popolo francese! Bastardi!». E proprio così. Il maggior sindacato di polizia ha contrattato proprio alla vigilia del primo sciopero generale del 5 dicembre l’esenzione per tutti i reparti della polizia dell’applicazione della riforma delle pensioni. Il ministro dell’interno avrebbe personalmente dato garanzie alle forze dell’ordine. Non c’è solo la polizia a mantenere il proprio statuto speciale. L’altra categoria esente dalla riforma delle pensioni sono i parlamentari.
L’episodio de Le bouffe du Nord non è un caso isolato. Dall’inizio dello sciopero generale, cinquantasei giorni fa, è diventato praticamente impossibile qualsiasi intervento pubblico di qualsivoglia esponente della LREM (La Republique en Marche, il partito fondato da Macron). Le contestazioni si moltiplicano di giorno in giorno. Gli auguri del ministro dello sport, Roxana Maracineanu, sono interrotti dai lavoratori dello sport che mettono a tutto volume Parole, parole, parole! (nella versione francese di Dalidà) occupando il palco e prendendosi la parola. I pompieri abbandonano il cortile di un liceo mentre dei parlamentari prendono la parola durante la cerimonia di Sainte-Barbe, loro santa patrona, a Tours. Gli avvocati gettano le loro toghe dalla scalinata del palazzo di giustizia a Strasbourg. Degli insegnanti nella Drôme abbandonano i loro manuali scolastici davanti la sede della deputata LREM di Montelimar. Edouard Philippe (primo ministro) trova ad accoglierlo nella sua Le Havre una città in rivolta.
GLI ANGELI DEI CORTEI
Ma il sabato seguente i CRS non sono più così disorientati come la sera prima a teatro. Il prefetto Lallement ha messo in piazza un dispositivo poliziesco fino a oggi mai visto. La manifestazione è letteralmente scortata fin dall’inizio del corteo (il cui percorso è immenso). Tre file di CRS anticipano il corteo (decidendone ritmi, pause e ripartenze) e tre lo chiudono. Ai lati, un CRS ogni metro blinda il corteo da ogni possibile sconfinamento di percorso. Numerose squadre di BAC e BRAV seguono la manifestazione nelle vie adiacenti, pronte a intervenire al minimo sconfinamento. Purtroppo non siamo così numerosi come due giorni prima, quando in più di 250 mila occupavamo le strade di Parigi.
Le provocazioni iniziano fin da subito. La polizia approfitta del suo dispiegamento massiccio per procedere lungo tutto il percorso ad arresti e identificazioni. Durante il tragitto si cammina in una gabbia gigantesca e mobile con un dispositivo poliziesco che ci costringe più volte a fermarci e a non avanzare più, compattando la folla fino a livelli insostenibili. È a questo punto che cominciano alcune azioni dei manifestanti per potersi portar fuori dalla trappola soffocante della polizia. Alla Gare de l’Est qualcuno cerca di farsi largo tra i CRS stufo dell’umiliazione che il dispositivo poliziesco porta con sé. Scene simili si ripeteranno sul boulevard Richard-Lenoir. La BRAV e la BAC intervengono subito con la violenza vista nei peggiori atti dei gilet gialli. Violenza che trova il suo culmine a fine corteo quando i manifestanti sono ingabbiati davanti alla Gare de Lione e, senza vie di fuga, gassati e caricati per ore.
Un ragazzo è portato a braccia da quattro Street Medic fuori dalla folla intrappolata davanti la stazione. Un enorme incendio divampa al centro dell’incrocio che accoglie la fine dell’atto 62 dei gilet gialli. Le cariche e i lanci di lacrimogeni son ritmati dagli scoppi delle granate assordanti. La Gare de Lione è diventata la trappola che si temeva e ora nessuno può uscire. Il ragazzo è privo di sensi. Una giovane Street Medic gli si avvicina al volto, cerca di sentirne il respiro… non lo sente… subito un collega gli applica al dito una sonda per monitorare i battiti cardiaci. Arriva un pompiere in aiuto. Il ragazzo è messo sul fianco e avvolto in una coperta termica. La Street Medic si riavvicina, resta a lungo con la faccia incollata alla bocca del ragazzo come in un lunghissimo bacio. Scuote il capo. C’è silenzio. «Un canto! Ci vuole un canto!», grida un gilet giallo ubriaco che assiste alla scena scioccato. Ma nessuno canta. C’è silenzio. Il pompiere cerca i documenti nelle tasche del ragazzo. Adesso il silenzio è insopportabile. Io filmo. Un po’ per calmare dei CRS che si avvicinano al corpo, un po’ perché scioccato anch’io e reso impotente dall’attesa. Poi all’improvviso un lungo respiro, il ragazzo apre gli occhi, si tocca la bocca. La Street Medic sorride rassicurandolo mentre tenendolo tra le mani ne impedisce possibili movimenti bruschi del collo. Poi ci guarda e sente il bisogno di rassicurare anche noi con un sorriso. Adesso sì. Adesso cantiamo forte sui caschi dei CRS immobili sul marciapiede.
I Medic sono gli angeli del corteo. Formazioni mediche autorganizzate che esistono da quando la polizia ha avuto carta bianca nei cortei parigini. Casco bianco con un asterisco rosso scocciato sui due lati, materiale di primo soccorso, maschere antigas e protezioni (neanche i soccorritori sono risparmiati dalle cariche, dai lacrimogeni e dalle manganellate). Ogni loro passaggio in manifestazione è accompagnato da applausi, canti, grida di riconoscenza e abbracci.
«Monsieur dov’è il vostro RIO (matricola di identificazione delle forze dell’ordine)? Non sa che è un reato coprirlo o rimuoverlo? Perché porta il passamontagna sotto il casco? Dov’è il capitano della vostra sezione? Voi siete quelli che dovrebbero garantire la legalità? Lo sa che è un reato penale rimuovere o occultare la matricola?». Ma il CRS non risponde. «Indietreggiate!». «Ma chi difendi? Ma non c’hai famiglia? A che mondo stai condannando tuo figlio? Che pensi, che farà la guardia come te?». «Indietreggiate!».
Hanno ordini precisi i CRS e tra questi c’è quello di non aprire nessun dialogo coi manifestanti (in piena coerenza con la linea del governo d’altronde). Ma i cellulari e le camere dei manifestanti sono sempre puntati su di loro. E così di giorno in giorno, nonostante le menzogne del governo e dei media di regime, nonostante i grossolani tentativi di far passare l’azione per reazione, viene fuori la gratuità e la premeditazione della violenza. Tanto che Castaner (il ministro dell’interno) e lo stesso Macron sono obbligati a richiamare la polizia “ad attenersi al proprio codice di deontologia”. Ma qui sappiamo tutti che è una farsa. Sappiamo che terrore e violenza sono precise direttive politiche. E sappiamo che la polizia e in particolare i CRS hanno carta bianca perché il governo si regge esclusivamente grazie alla loro forza brutale. E questo crea una pericolosa spirale che sta portando alcuni corpi di polizia a uscire da qualsiasi controllo “democratico”. Prima era toccato a noi gilet gialli. Oggi anche a insegnanti, infermieri, spazzini, avvocati, macchinisti, ferrovieri, autisti, lavoratori dello spettacolo, pompieri, studenti, lavoratori della pubblica amministrazione, privati. Per il governo siamo noi a essere “antirepubblicani, faziosi, violenti, antidemocratici”.
Mentre c’è un’inchiesta aperta dall’Onu a seguito delle violenze poliziesche e un dossier di Amnesty International a seguito delle mutilazioni e delle due morti (quelle di Zineb e di Steve) negli scontri dell’ultimo anno. Le mutilazioni sono decuplicate nell’ultimo anno. Si pensi solo che in Spagna, dopo cinque occhi persi nelle manifestazioni in Catalogna, il governo ha deciso che l’uso di LBD non poteva più essere ammesso sulla popolazione civile. Gli LBD, come le granate GliF4, sono classificate come armi da guerra. Ovvero armi che possono causare menomazioni gravi fino alla morte.
ARRIVANO I POMPIERI
«Allons enfants de la patrie le jour de gloire est arrivé!». Cantano i pompieri nel loro corteo del 28 gennaio. Cantano perché stremati da condizioni di lavoro sempre meno sostenibili. Cantano la marsigliese i pompieri mentre spingono i CRS e i gendarmi e li costringono alla ritirata. Una folla immensa di caschi e divise rosse, petardi, fumogeni e grida. La polizia è violenta come sempre ma più prudente del solito (i pompieri qui hanno una formazione militare ed è richiesta per entrare nel corpo una prestanza fisica importante). Martedì i pompieri si sono presi la strada, in migliaia a gridare il loro scontento tra petardi, sirene, razzi di segnalazione lanciati in aria. “Professione a rischio”, ha scritto sulla sua divisa un vigile del fuoco. “Morire senza salvare nessuno”, è scritto su un altro striscione.
Ma come nell’atto 62 dei gilet gialli il corteo è “scortato” da un cordone di CRS che ne impongono l’andamento e ne umiliano la legittimità. «Aux armes citoyens! Formez vos battaglions! Marchons, marchons…». Non è la prima volta che sentire la Marsigliese in questi giorni mi emoziona. Era già successo alla fine dell’anno, il 31 pomeriggio, quando l’orchestra dell’Opera, in sciopero sulle scale del teatro in piazza della Bastiglia, l’ha suonata alla fine del concerto per noi manifestanti. Una folla di duemila persone canta proprio nella piazza dove tre secoli prima tutto è cominciato, come a volersi riprendere l’inno, scippandolo alle istituzioni che non riconosce più e rimettendolo lì dove deve stare, in mezzo alla gente. Non so se sia populismo e non mi preoccupo di derive sovraniste, le mie carni reagiscono all’unisono con la piazza e questo è. Appena finito l’inno la folla intona quasi naturalmente all’unisono l’Internazionale.
“Non capiamo perché si debbano attuare misure di impoverimento dei ceti medi e bassi gridando alla crisi, quando le casse delle imprese francesi non sono mai state così piene”, recita un editoriale di Liberation firmato Collettivo degli infiltrati, trecento alti funzionari usciti dalle Grandes Ecoles, quadri dirigenti nel settore pubblico e privato, disgustati dal progetto ideologico che dietro questa riforma si nasconde (assumendo la manifesta contraddizione con la loro appartenenza di classe): “Dimenticate i ferrovieri, i funzionari, i professori, perché i veri privilegiati siamo noi!”. Chi come questi funzionari guadagna più di 120 mila euro l’anno vedrebbe con la nuova riforma delle pensioni un abbattimento dei propri contributi dal 28% al 2,8%: un regalo all’alta borghesia che costerebbe più di quattro miliardi l’anno alla cassa delle pensioni. Ma governo non si preoccupa delle ineguaglianze che per denunciare i supposti privilegi del regime speciale e mettere i francesi uno contro l’altro. Questo progetto di legge non è un semplice aggiustamento tecnico a una legge ormai datata ma un profondo cambiamento strutturale. La “Macronie”, come la chiamiamo qui, è il liberalismo più selvaggio, cinico e arrogante il cui programma è lo smantellamento sistematico di tutte le forme di solidarietà sociale iscritte nel sistema francese dal Consiglio Nazionale della Resistenza nel dopoguerra.
Le “concessioni” del governo, come il momentaneo ritiro dell’età minima di pensionamento a 64 anni (finta contrattazione messa in piedi con la complicità della CFDT, il sindacato “collaborazionista”) sono solo fumo negli occhi. Dalle stesse proiezioni del governo, pubblicate da Le Monde qualche settimana fa, si calcola che l’età media di pensionamento senza “malus” sarebbe già a 67 anni. Con i 43 di contribuzione obbligatoria introdotti dal governo Sarkozy per andare in pensione agli attuali 62 anni e mezzo bisognerebbe, infatti, cominciare a lavorare a 19 anni senza interruzioni. Un laureato che avesse la fortuna di trovare un lavoro appena uscito dalla facoltà potrebbe avere una pensione piena solo a partire dai 67.
Chiedere il ritiro totale della riforma significa tenere in piedi un argine a tutta una serie di misure ultraliberiste già pronte e in coda a quella delle pensioni. Questo è chiaro a tutti quelli che in piazza scendono ogni due giorni nel quasi silenzio dei media. Per questo la settimana del 13 gennaio è stato un succedersi di cortei, assemblee e azioni. Oltre all’atto 62 (del sabato 18) dei gilet gialli, eravamo in corteo giovedì in oltre 250 mila solo nella capitale e ancora il martedì. Per questo nell’unico grande appuntamento della settimana scorsa, venerdì 24 gennaio, si sono toccati nuovi record di partecipazione a Parigi: circa 350 mila persone. Per questo il 29 gennaio stavamo ancora in strada.
Ma la sensazione è che negli interventi dei lavoratori che hanno spinto e voluto questa convergenza oltre le sigle, le categorie e i partiti, risuoni, dopo cinquantasei giorni di sciopero, quella fatica, mista alla voglia di non mollare, che vivemmo noi gilet gialli a fine novembre 2019. Qui si aspetta, per dare il testimone della staffetta, il movimento studentesco. Non a caso la prefettura ha fatto chiudere d’ufficio tutta una serie di università nel mese di dicembre. Non a caso la repressione nei licei è stata di una violenza mai vista: la polizia è entrata negli istituti tirando LBD contro ragazzini ed effettuando fermi e arresti di studenti minorenni e professori di liceo. Il governo sa benissimo che se alla lotta dei lavoratori in sciopero si unisce quella degli studenti, si troverebbe in enorme difficoltà. È per questo che nelle ultime tre settimane i ferrovieri in sciopero hanno fatto il giro dei licei. È per questo che nelle università sindacati e lavoratori in sciopero moltiplicano la loro presenza. La recente scandalosa riforma dell’esame di maturità è un grosso regalo del governo al movimento che sta accelerando quella mobilitazione che nelle scuole non riusciva a prendere la giusta velocità.
La lotta ingaggiata da due mesi a questa parte è per tutta la società francese. Se smetteranno di essere ricondotti gli scioperi e si preferirà concentrare la lotta in singole grandi giornate di mobilitazione, la partita sarà persa. La settimana che viene sarà decisiva. Non siamo stanchi. Fino alla vittoria. (felice, un gilet giallo italiano)
Leave a Reply