In questa intervista concessa al portale d’informazione catalano VilaWeb, l’antropologo dell’Università di Barcellona Manuel Delgado analizza il momento politico attuale, con l’insediamento del PSOE e la smobilitazione ormai conclusa del “processo” catalano. Era difficile prevederlo mentre si susseguivano gli eventi, ma già a dicembre alcune forze interne alla coalizione indipendentista avevano deciso di far svuotare le piazze, di riportare il conflitto all’interno delle istituzioni: la situazione corrente è il risultato di questa infausta decisione.
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Che valutazione fa del governo Sánchez?
Non mi ha suscitato alcun interesse: dubito molto che contenga qualche variabile che possa cambiare qualcosa. È assolutamente insignificante, tranne che come alibi. È l’alibi perfetto perché sia gli uni che gli altri ci facciano credere, insieme, che il problema era il PP. Tutto sarebbe una conseguenza diretta della perfidia del Partido Popular e di Rajoy. Un alibi.
Ma bisognava mandare via il PP!
Certo. Perché se il PP va via, si riapre la prospettiva di una riforma dello stato in Spagna. E questo serve perché i Comunes continuino a credere a questa specie di carota appesa al bastone, perché la sinistra indipendentista di ERC prenda in considerazione la proposta di Tardà di ricreare il vecchio tripartito, e perché i centristi del PDECat tornino a essere quello che erano prima, cioè Convergència. Grazie a quest’alibi, tutto può tornare a essere quello che era, prima di questa parentesi che alcuni hanno considerato quasi come un sogno. È la conclusione del processo di smobilitazione: bisogna ricominciare a fare politica dall’alto, e questo fanno sia gli uni che gli altri. Si vedeva che stava per succedere: quando c’è stata la dichiarazione d’indipendenza, alcuni hanno deciso che era arrivata l’ora che la gente tornasse a casa. Adesso ne vediamo le ultime conseguenze: dobbiamo piegare le vele, e limitarci a chiedere la liberazione dei prigionieri politici.
Questa è la tesi di Cebriàn: se li chiudete in prigione, smetteranno di parlare di indipendenza, parleranno solo di liberare i detenuti.
Chiaro. Siccome adesso il punto principale è la scarcerazione di questi ostaggi, abbiamo qualcosa per cui lottare. La prospettiva della Repubblica Catalana diventerà un orizzonte simile a quello della repubblica socialista per la sinistra tradizionale: sempre presente, ma per definizione irraggiungibile, e in quanto irraggiungibile, giustificazione ideale perché nulla cambi.
Cosa ne pensa del governo di Torra alla Generalitat?
Alcuni hanno creduto che con la sua elezione sarebbe cambiato qualcosa, che sarebbe stato un elemento di rottura. Ma è chiarissimo che anche questa prospettiva è stata frustrata in modo vergognoso. Hanno vinto loro! È andata così. Siamo un popolo sconfitto, ancora una volta.
Per sempre?
Possiamo aspettare lustri, secoli o millenni: era un momento imperdibile. Pensate che nei prossimi cinque anni cambierà qualcosa? Si sono tutti accomodati. A proposito, Puigdemont è vivo o no? È praticamente sparito. Il nuovo governo di Sánchez è stato strategico per far sgonfiare Puigdemont. La retorica repubblicana si manterrà, come un’immagine ideale, ma la dinamica con cui si alimentava l’aspettativa che avevamo sottomano, per ora è finita. Non c’è più l’ambiente. Può sempre esserci qualche sorpresa che faccia risalire la speranza, ma non credo che ci porti ad altro che a ristabilire l’autonomia regionale che avevamo prima. Questo è l’obiettivo che abbiamo raggiunto: e ne siamo quasi contenti! Ora manca solo la liberazione dei prigionieri politici. Ma non mi pare che nessuno creda che ci sia bisogno di me, come di tutte le persone qualunque che hanno occupato le strade pensando che fossero loro. È chiarissimo.
Nessuno sa cosa fare.
La chiave è stata sempre la mobilitazione. Quello che dava forza a tutto il processo, la materia prima, era la gente nelle piazze. Tutto è iniziato nelle piazze, e doveva finire nelle piazze. Ma qualcuno ha pensato che questa non era più una buona idea. Non sapremo mai cosa sia successo davvero: però era molto rischioso fidarsi delle cosiddette “masse”, dar loro un protagonismo. Forse non hanno voluto, non hanno osato. Non avevano paura dei morti: avevano paura dei vivi. Avevano le vertigini, vedendo che le strade non erano né loro né dei loro nemici. Guardando tutte queste mobilitazioni dai balconi della Generalitat, dalla loro prospettiva, hanno avuto paura.
Parliamo della CUP. Cosa ne pensa Manuel Delgado?
La CUP è diventato un partito come tutti gli altri, niente di più. Nonostante il suo discorso radicale, la CUP ha deciso di dedicarsi alla politica: fa politica. La sensazione che alcuni di noi hanno, per delle ragioni storiche, è che sta succedendo di nuovo la cosa peggiore che potesse succedere: hanno vinto i nostri. È successo durante la transizione dopo il franchismo, è successo con l’euforia iniziale dei Comunes e i cambiamenti nei municipi; succede di nuovo adesso.
Non la vedo molto ottimista…
Se mi vuoi vedere ottimista, offrimi tre whisky. Dammi una ragione per essere ottimista. Qualcosa che non sia il nuovo governo di Pedro Sánchez, qualcosa che in un modo o nell’altro mi crei un’aspettativa. Sbagliamo di molto pensando al ruolo che può svolgere il PSOE! C’è un malinteso storico dal quale non si riesce a uscire.
Quale?
Si crede che il nazionalismo spagnolo fanatico e radicale sia quello del PP o di Ciutadans. Non è vero: il PSOE è l’erede storico della Falange spagnola, neanche del franchismo. Posso citare nomi e cognomi: Francisco Vázquez, Alfonso Guerra, Rodríguez Ibarra, José Bono. Se dico che sono gli eredi della Falange, parlo di quel nazionalismo “di sinistra”, come lo era quello della Falange: con una forte componente sociale, ma con il patriottismo sopra ogni altra cosa. Non so cosa ci aspettiamo che possa fare il PSOE di tanto diverso dal PP o da Ciutadanos. Il PSOE incarna lo stesso patriottismo sociale che era stato della Falange. È chiaro che la prospettiva di un governo del PSOE è tutt’altro che tranquillizzante.
Manuel Delgado, come vede adesso il mondo dei Comunes?
Io mi sono sentito molto vicino ad Albano Dante Fachin e ad Ángel Martínez. Come loro, non sono mai stato indipendentista, ma ho creduto che ci fosse un orizzonte, un’opportunità. Ci abbiamo provato. I Comunes adesso sono il vecchio PSC, il partito socialista catalano, e a livello municipale sono il neomaragallismo. Tutto qui.
[…]
Cosa ne pensa di Torra?
Malissimo. Non possiamo negarlo: esiste un catalanismo essenzialista, culturalista, che crede che la cultura catalana sia un prodotto non umano creato da chissà quale dio, oppure un fatto naturale. È una tradizione che è sempre esistita. Quest’idea che il processo ci ha fatto diventare tutti buoni, è falsa, questo processo ha coinvolto gente come me, che proveniva dalla sinistra storica, che credeva nell’uguaglianza degli esseri umani, che ha dovuto condividere gli spazi con gente che credeva che il nostro popolo fosse un prodotto divino, come diceva Folch i Torres. Credono che la Catalogna e la catalanità siano fatti naturali. Per noi che veniamo da sinistra, la gente come Torra è un bel problema. Nelle discussioni interne, ci scontriamo contro un fatto che non possiamo controbattere, che è inaccettabile. Un vero problema, che ci ha lasciato con il culo di fuori. Ci sono stati sempre aspetti razzisti nel catalanismo, e ce ne sono ancora. Non c’è bisogno di fare nomi. Ti dico una cosa: alcuni di noi hanno partecipato a questa storia proprio per affrontare finalmente queste persone. Dal punto di vista della sinistra storica, abbiamo detto: volete l’indipendenza? bene, facciamola, così la sinistra indipendentista non avrà più nessuna scusa per non essere una vera sinistra, e tutti gli altri, che già sappiamo chi sono, li potremo smascherare.
Un milione di voti a Ciutadans in Catalogna.
Alla fine, si è imposta una ripartizione identitaria nella distribuzione dei voti. Ciutadans si è preso tutto il voto patriottico spagnolo che si è sentito minacciato. La storia di “Tabarnia” sì che è davvero grave.
Perché?
È un argomento pericoloso. Implica l’idea che esista una sacca di spagnolità isolata in mezzo alla Catalogna, cosa che giustificherebbe a un certo punto un’operazione di riscatto. Si ripete lo schema delle enclave serbe in Croazia e in Bosnia che ha giustificato l’intervento dell’esercito jugoslavo. Terribilmente pericoloso. Ciutadans è diventato lo sfogo dell’estrema destra nazionalista spagnola: non lo era in sé, ma è diventato il luogo dove si è rifugiato quest’odio. Questo lo rende inquietante. È un partito che nasce dal rancore. In Catalogna c’è l’estrema destra catalanista, e anche quella spagnolista: per alcuni è difficile crederci, perché considera che questo non si combina bene con il nostro modo di essere. E invece vedete.
Anche i Comitati di Difesa della Repubblica sono silenziosi adesso. Forse hanno paura?
La paura non può mantenere questa situazione bloccata per sempre. Non basta, serve la complicità di tutti quelli che si sono chiesti perché ci siamo dovuti complicare tanto la vita. Dicono: quanto stavamo bene prima, no? E ora vogliono abbassare la testa, accettare la ramanzina, e riuscire a far liberare i prigionieri politici. E basta. (andreu barnils / traduzione di -sp)
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