Dopo l’Expo del 1998 e il passaggio per la crisi, Lisbona ha mutato rapidamente aspetto e ambizioni, puntando al ruolo di moderna capitale europea. Dalle start up alle università, dal turismo al mercato immobiliare, tutti i settori che trainano l’economia lusitana risentono dell’apertura agli investimenti stranieri.
A cambiare sono anche i flussi di chi frequenta la città, che mai aveva accolto una migrazione così forte della classe media brasiliana. Percorrendo il centro, lo scenario è sempre lo stesso: cantieri, gru e centinaia di palazzi abbandonati, tappezzati da manifesti immobiliari che ne pubblicizzano la vendita. Mentre i turisti ormai affollano anche i supermercati della Baixa, e la gentrificazione raggiunge i quartieri meno centrali (perfino in qualche periferia), gran parte degli abitanti si trova costretta a vivere fuori città, per l’aumento del costo delle case e in attesa dei lavori di rifacimento delle proprie abitazioni.
Di seguito un articolo, tratto dal sito Publico.pt, illustra la situazione di molti ex abitanti del centro storico espulsi dalle loro case verso la periferia e non ancora rientrati.
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A partire dal 1990 centinaia di persone hanno lasciato il centro storico di Lisbona con la promessa di ritornare in case rinnovate, ma molte di queste sono rimaste ad abitare nei quartieri di accoglienza. A oggi solo ventuno famiglie stanno per tornare in centro.
Nella stanza di Jorge Dias le pareti sono completamente bianche, quasi spoglie. La monotonia è interrotta solo da una stampa, non molto grande, affissa sopra la tavola da pranzo, che raffigura Largo do Chafariz De Dentro nel XIX secolo. «Il quartiere è sempre il quartiere. Posso dire che mi piace vivere qui, ma c’è sempre qualcosa che conservo in questo angolino», sospira portandosi la mano vicino al cuore.
È difficile dimenticarsi di Alfama (quartiere del centro storico di Lisbona, ndt), ma fuori dalla vetrata si estende la valle di Chelas, con la sua vegetazione più o meno selvatica, gli alloggi precari e i magazzini arrugginiti, mentre in cima alla collina si ergono disordinati gli edifici di Picheleira e di Olaias. Il paesaggio è diventato sempre più familiare con il passare degli anni. Jorge ha rinunciato all’idea di andarsene da Quinta do Ourives, quartiere a nord est di Lisbona, dove fu costretto a trasferirsi nel 1992.
Fino a quel momento viveva in Rua da Regueira, nel cuore di Alfama. «In quella casa è nata mia sorella, sono nato io e mia figlia. La casa era molto grande, aveva una sala da pranzo enorme e una grande cucina», ricorda, seduto a tavola con il suo amico Domingos Silva, anche lui abitante di Alfama trasferito. Entrambi sono venuti a Quinta de Ourives con la promessa di ritornare un giorno a casa, non appena fossero finiti i lavori di ristrutturazione concordati tra il comune di Lisbona e i proprietari. «Il mio palazzo fu demolito e poi non fecero più niente. Ho qui una carta con le modalità su come saremmo tornati nella nostra casa, tutte bugie», lamenta Jorge.
I due vicini abitavano in case antiche che necessitavano di urgenti lavori di ristrutturazione, come altre migliaia al centro storico. Tra la metà degli anni Ottanta e l’inizio del 1990 il comune di Lisbona istituì i primi organi tecnici locali, diffusi poi in più zone, con l’obiettivo di rinnovare i quartieri degradati. Il Comune comprò gli edifici, e per altri trattò con i proprietari. Centinaia di famiglie furono trasferite in alloggi comunali, in attesa che si facessero i lavori. La maggior parte non è mai tornata nelle proprie abitazioni.
«Fui chiamato al consiglio di quartiere e il presidente mi disse: “Te ne devi andare da lì, non hai visto come sta messa?”», racconta Domingos Silva. Lasciò la sua casa in Calçadinha de Santo Estêvão nel 1987. «Sono passati più di vent’anni senza nessuno dentro, senza nessun tipo di lavori», dice. Dopo tanto tempo non ci pensa proprio ad andarsene da Quinta do Ourives, dove sta facendo crescere un orto. Peschi, peri, aranceti, mandarini e fragole sparse sul terreno labirintico, che percorre entusiasmato, mentre mostra l’elaborato impianto elettrico che è riuscito ad istallare e che diffonde Radio Amália in ogni angolo.
Ora sono giorni piuttosto sereni, ma l’arrivo qui è stato duro. Dopo aver lasciato Alfama, sia Jorge che Domingos hanno dovuto abitare in case prefabbricate, non lontano da qui, fino a quando i nuovi lotti non vennero terminati. «Ci entrava acqua», dice Jorge. «Sono stato lì due anni. Un giorno ho ricevuto la visita di un assessore che disse che quel posto era inadatto per gli animali, figurarsi per le persone», ricorda Domingos. Il giorno in cui gli diedero le chiavi della nuova casa già non abitava più nel prefabbricato. Si era precipitato a smontare il letto e a trasferirsi subito, anche senza la corrente elettrica.
Diversamente rispetto alla zona dove abitavano Domingos e Jorge, conclusa solo alla metà degli anni Novanta, la parte più alta di Quinta do Ourives fu edificata durante gli anni Settanta. In uno di questi palazzi vivono Filomena e Mário Rodriguez, anche loro ex-abitanti di Alfama. «Il comune obbligò il proprietario a fare urgenti lavori di ristrutturazione e io gli dissi che volevo una casa. Partecipammo a delle riunioni e concordammo che, in attesa che si facessero i lavori, noi saremmo venuti qui per cinque anni. Ne sono passati quindici», racconta Filomena.
Nel 2002, quando la coppia lasciò la casa in Travessa São João da Praça, l’amministrazione comunale aveva cambiato strategia riguardo alla riqualificazione urbana. Si concentrò, infatti, su interventi di larga scala, molto spesso obbligando i proprietari a eseguire i lavori. Quando questi si rifiutavano o mostravano difficoltà nel sostenerli, ci pensava il comune. Fu in questo periodo che avvenne la famosa riqualificazione di Rua da Madalena.
Tra il 1990 e il 2008, il comune ha investito più di quattrocentocinquanta milioni di euro in riqualificazione urbana, la maggior parte attraverso gli organi tecnici locali. Nonostante ciò, alla fine dello scorso decennio, molti quartieri continuavano a cadere a pezzi. Il conto era sostenuto dalle casse comunali. Dei settantasette edifici che il Comune avrebbe dovuto ristrutturare entro il 2007 solo trentatré hanno ricevuto interventi. Sono stati spesi trentadue milioni in lavori d’urgenza fino al 2010, ma le istituzioni locali non hanno mai visto la maggior parte di quel denaro: fino a quella data i proprietari hanno pagato solo quattro milioni.
Nel frattempo, le persone si sentono abbandonate. «Nel soggiorno della mia casa, questa qui c’entrava tutta intera. Lì avevo una tavola per otto persone, divani e un angolo bar», racconta Mario. La rabbia cresce mentre parla, perché non gli piace Quinta do Ouvrives, né la casa; dovrebbe già essere tornato ad Alfama. Anche un suo vicino, che viveva nei pressi del Castello, reagisce con irritazione. «Qui non mi piace, non mi è mai piaciuto. Se potessi, me ne andrei via domani», dice.
L’attuale assessore all’Abitazione dice che ci sono ancora cento e ottantasette famiglie sparse per la città che prima vivevano nel centro. «L’indicazione che ho dato agli uffici è stata quella di discutere con ogni famiglia, chi vuole tornare al centro storico può tornare; chi vuole restare dov’è, resta», spiega Paula Marquez. Ci sono ventuno famiglie che hanno mostrato interesse nel tornare. «A Quinta do Ourives sono cinque. Abbiamo altre persone a Marvila, Campo de Ourique, Olivais», precisa l’assessore. Nessuno tornerà nella propria casa d’origine, ma in un’altra abitazione che il comune sta ancora ristrutturando.
«Sono nata a Mouraria, ma da cinquanta anni vivo ad Alfama. Praticamente sono di Alfama», afferma Filomena, come se non vivesse lontano dal centro da quindici anni. «Questo posto non mi dice niente. Vorrei scappare da qui, è un quartiere che non mi dice niente».
«Mio padre è morto a novanta anni. Tutti i giorni andava col bastone fino ad Alfama per stare con gli amici e per poi tornare solo di notte. Per lui, era normale. Un’abitudine. E continua a essere così», racconta Jorge. «Lì non ci mancava niente», commenta Domingos – e la nostalgia gli ferma lo sguardo per un istante. (joao pedro pincha, traduzione di dario cotugno)
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