La finalità dell’articolo 32 della Costituzione è chiara, la Salute è uno dei diritti fondamentali garantiti: “La Repubblica tutela la Salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Dopo una decina d’anni dall’attivazione del Servizio sanitario nazionale, a fronte di uscite economiche sempre in aumento, invece di puntare sull’appropriatezza clinica e organizzativa si imboccò la via mercantilistica anche in sanità. Si copiò il modello statunitense delle tariffe ospedaliere introducendo la concorrenza in quello che diventò il mercato delle prestazioni sanitarie di diagnosi e cura.
La partecipazione di privati convenzionati con il Ssn aumentò progressivamente, le strutture sanitarie divennero aziende con la logica del pareggio in bilancio; la perequazione delle diseguaglianze in salute venne abbandonata tralasciando quanto dettava l’articolo 2 della legge 833/78: “Il Servizio sanitario nazionale nell’ambito delle sue competenze persegue il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni sociosanitarie del paese”.
La logica del profitto passò anche nelle organizzazioni che fornivano prestazioni sanitarie per la diagnosi e la cura delle persone. L’investimento sulla prevenzione pianificato nell’istituzione del Ssn venne a mancare, privilegiando la copertura dei costi storici (ospedalieri) e l’aumento della spesa derivata dai convenzionati/accreditati. L’introduzione dei tetti di spesa, nell’illusione di tenere sotto controllo le uscite, ha favorito la chiusura progressiva dei servizi sanitari grazie all’introduzione di quello sulla spesa del personale dipendente (finanziaria 2006: blocco o rallentamento del turn over dei pensionamenti), senza porre un freno all’incremento della spesa convenzionata/accreditata.
Il tetto di spesa sul costo del personale dipendente ha progressivamente aumentato le diseguaglianze di salute tra le diverse regioni. Il rapporto tra unità di personale e popolazione era già disomogeneo nel 2006 e ogni passaggio d’anno ha aumentato la forbice. Anche l’investimento sull’assistenza primaria nel territorio fu rinviato per “uscite più urgenti”, fino ad arrivare alla carenza di medici di famiglia e alla mancata attivazione dell’infermiere di comunità.
LA TEORIA DELLE TRE U
I principi guida nell’istituzione del Ssn con l’approvazione della legge n. 833/78 sono: universale, unificato e uniforme, vale a dire un sistema che riguarda la totalità della popolazione presente, un solo contributo copre l’insieme di rischi e danni alla salute senza creare discriminazioni tra gli assistibili e infine assicura a tutti le stesse prestazioni. Questi tre piedi reggono il Piano sanitario nazionale e quelli regionali.
Dagli anni Ottanta, quando si iniziò a tutelare la salute con strutture sanitarie uniche e territoriali, sono stati abbattuti due dei pilastri indicati.
Unificato: non era più solo la fiscalità generale che finanziava il Ssn, ma entrarono in scena i fondi integrativi (presenti anche nei contratti nazionali di lavoro) e le assicurazioni private. Cominciarono così le discriminazioni nell’accesso alle cure, come lo era prima della istituzione del Ssn con le cosiddette casse mutue.
Uniforme: i livelli di assistenza che inizialmente erano definiti Luea, livelli uniformi ed essenziali di assistenza, presero la dizione di Lea, cioè erano indicati solo i livelli minimi che ogni regione avrebbe dovuto assicurare alle persone presenti sul proprio territorio. Il primo strumento del sistema sanitario, il Piano sanitario nazionale e quelli regionali, subivano un grande ridimensionamento.
Le quote percentuali del Fondo sanitario, che vengono assegnate alla prevenzione, all’assistenza distrettuale e all’assistenza ospedaliera, e le ripartizioni interne a queste tre aree, non venivano mai rispettate nei bilanci delle regioni e delle aziende sanitarie. Si confondevano i limiti tra sanità pubblica e privata: tra le strutture accreditate, quelle non a gestione diretta ma amministrate da società o gruppi privati dovrebbero essere parte del Ssn, quindi far parte della stessa famiglia; perché allora non ci sono agende uniche nella prenotazione di prestazioni sanitarie tra strutture accreditate a gestione pubblica diretta e strutture accreditate a gestione privata?
Il sottofinanziamento della prevenzione, che da un prescritto cinque per cento del Fondo si è attestato negli anni fra il due e il tre per cento (superando solo in qualche regione più finanziata il tre), ha prodotto negli anni l’aumento dei malati, quindi dei costi in sanità, invece che dei sani, vero obiettivo della prevenzione primaria.
Il sottofinanziamento dell’assistenza distrettuale/territoriale, praticato in quasi tutte le regioni, ha ridotto la possibilità di individuare precocemente le patologie e quindi la presa in carico assistenziale a livello ambulatoriale e domiciliare. La poca efficacia degli screening e delle cure sul territorio ha tenuto sempre alto l’afflusso di pazienti nei Pronto soccorso e nei reparti ospedalieri, incrementando i costi nelle strutture ospedaliere. Parimenti i servizi di salute mentale sono stati sottofinanziati rispetto a quanto prescriveva la pianificazione, riducendo l’assistenza sociosanitaria basata sulla inclusione dei sofferenti psichici negli ambienti di vita per assicurare una deistituzionalizzazione costante.
Gli ospedali hanno subito l’afflusso di pazienti che più correttamente dovevano essere curati in servizi a minore intensità assistenziale e con impegno di risorse molto più contenuto. Gli stessi ospedali hanno subito la progressiva separazione dalla struttura territoriale, inficiando il principio della continuità della presa in carico delle persone e aumentando la spesa complessiva, anche per l’afflusso di persone affette da malattie cronico-degenerative che non erano state curate in ambulatorio e al domicilio.
La promozione della Salute come interesse della collettività richiede il rispetto e la verifica del reale utilizzo di un finanziamento e la conseguente allocazione di risorse di almeno il sei per cento del Fondo sanitario assegnato per il primo Lea Prevenzione, almeno il cinquanta per cento per il secondo Lea assistenza distrettuale/territoriale e del quarantaquattro per cento per il terzo Lea assistenza ospedaliera.
I limiti posti a questo finanziamento delle macroaree sono, per il primo: l’impegno a coprire con un terzo dei fondi campagne educative e formative su stile di vita e alimentazione a partire dalle scuole elementari e medie; l’uso dei risultati dello studio PASSI per la riduzione degli squilibri territoriali; per il secondo: l’impegno ad attivare nell’arco di tre anni una equipe di comunità (medico, infermiere e operatori sociosanitari) ogni cinquemila abitanti per la presa in carico assistenziale, a partire dalle persone con malattia cronico-degenerativa e dalle persone con evento acuto curabile in sede ambulatoriale e/o domiciliare; il limite invalicabile di un settimo del finanziamento da usare per la spesa relativa al convenzionamento/
GESTIONE UNICA DEI LEA
Il servizio sanitario che tutela la salute come benessere psicofisico e sociale si dota di una struttura erogativa dei servizi nella quale un unicum assistenziale continuo permette il passaggio semplice e diretto dalla prevenzione, primo livello essenziale di assistenza, all’assistenza distrettuale, secondo livello essenziale di assistenza, e all’assistenza ospedaliera, terzo livello essenziale di assistenza.
La messa in opera degli interventi previsti nel secondo livello essenziale è la diretta conseguenza di una mancata efficacia delle azioni del primo, così come l’attivazione di prestazioni previste nel terzo è conseguente alle azioni inefficaci e alla scarsa appropriatezza organizzativa del secondo.
L’equipe di comunità, presente ogni cinque-diecimila abitanti, coordina e accompagna nel percorso sanitario la persona assistibile assicurandosi che gli attori dell’assistenza (medico di medicina generale, specialista territoriale e ospedaliero) parlino tra loro del percorso assistenziale del paziente. Separare l’amministrazione e la gestione operativa dei diversi Lea, per esempio l’ospedale e il distretto, determina la carente e difficoltosa comunicazione tra gli attori assistenziali, con grave danno all’assistito e alla collettività.
Elemento essenziale è il controllo democratico sui servizi di tutela della salute individuale e collettiva. Il potere di verifica delle singole persone riunite o meno in associazioni si potrà esercitare in una organizzazione sanitaria unitaria, fino al controllo di legittimità democratica e costituzionale sulla partecipazione solamente ausiliaria delle esternalizzazioni di servizi di supporto e preferibilmente non di tipo prettamente sanitario.
I diritti fondamentali, come quello di tutela della salute, sono garantiti dallo Stato direttamente e non possono essere appaltati a terzi, siano essi profit o non profit, pena l’illegittimità democratica della erogazione degli stessi servizi. Inoltre, si rende estremamente difficoltosa la verifica democratica delle persone. La collettività, non vedendo più come diretto erogatore lo Stato, si disaffeziona e perde fiducia nelle istituzioni.
Si contrappongono due visioni, una liberista che vuole esautorare lo Stato dalla erogazione diretta di servizi essenziali come quello di tutela della salute e rendere mercantile la fornitura dei servizi sanitari, l’altra di legittimità democratica che intende confermare lo Stato nella sua funzione di principale erogatore e tutore dei diritti fondamentali previsti in Costituzione.
LA SALUTE COME BENESSERE FISICO, MENTALE E SOCIALE
Obiettivo del servizio sanitario è la promozione della salute individuale e collettiva, il suo mantenimento e il suo recupero quando lo stato di benessere psicofisico risulta danneggiato. Lo stato di salute è influenzato dai determinanti sociali, che contribuiscono in modo diretto al mantenimento della salute personale di individui e comunità. Le diseguaglianze sociali sono intense, regolari e crescenti. Gli operatori di sanità pubblica non possono prescindere dal confronto con le origini sociali della malattia. Esse determinano una diversa tutela della salute: condizione sociale più disagiata, carenze nell’organizzazione regionale e locale, servizi sociosanitari, stili di vita, stato occupazionale, relazioni diseguali tra donne e uomini, livello di istruzione, esperienza migratoria, distribuzione del reddito, disparità nella disponibilità della casa e nella situazione abitativa. Poiché tale condizionamento non è eludibile, diventa ancora più importante l’intervento di azioni operative di tipo preventivo.
La prevenzione primaria fornisce elementi utili a ridurre le diseguaglianze presenti della società. Gli interventi educativi, a partire dalla scuola materna, sugli stili di vita adeguati favoriscono i cambiamenti del comportamento e quindi la riduzione del rischio di contrarre malattie cronico-degenerative e le loro complicanze. L’attività fisica, il sovrappeso e l’obesità, la sedentarietà, il consumo di frutta e verdura, il consumo di alcool, l’abitudine al fumo, il livello di istruzione e le difficoltà economiche sono variabili associate dall’analisi scientifica all’insorgenza delle malattie cronico-degenerative. L’effetto negativo delle diseguaglianze sociali è evidente nello studio della prevalenza del diabete, malattia emblematica della nostra società.
È possibile intervenire per ridurre la prevalenza delle persone affette da diabete. Le attività di prevenzione primaria, se realmente attivate su larga scala, determinano la riduzione degli ammalati di patologie cronico-degenerative. Gli interventi in grado di individuare la malattia in fase preclinica o nelle prime fasi, come gli screening e alcuni esami diagnostici, hanno un elevato grado di efficacia, riducendo la numerosità di interventi chirurgici complessi e costosi oltreché di grande disagio per i pazienti. È evidente che il costo delle risorse da impegnare in attività di prevenzione primaria secondaria e terziaria, non solo è limitato a pochi punti percentuali, ma ha una ricaduta molto positiva sulla riduzione della spesa nei livelli e settori di assistenza sanitaria più complessi, come le cure domiciliari e la salute mentale, che possono così dedicarsi ai pazienti garantendo un buon livello di appropriatezza clinica e organizzativa. (vincenzo caporale – continua…)
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