Siamo a Milano, nel Centro internazionale di quartiere di zona Corvetto, dove si svolge la prima assemblea cittadina della Rete per il diritto all’abitare, nata a maggio del 2023 dopo lo sgombero dell’occupazione dell’ex stabilimento San Carlo di via Siusi, prima dell’annunciato sgombero degli ex bagni pubblici di via Esterle, avvenuto a fine agosto 2023, dove abitavano un gruppo di lavoratori immigrati, singoli e famiglie con bambini, di diverse etnie e nazionalità sostenuti dal collettivo “Ci Siamo”. Intorno all’opposizione a questi ennesimi sgomberi, diverse realtà sociali dell’area metropolitana si sono riunite per costruire una risposta collettiva di affermazione e conquista dei bisogni basilari.
“La lotta per la casa – spiegano gli organizzatori – si intreccia con le condizioni del lavoro salariato e dello sfruttamento, della precarietà nei posti di lavoro, quindi può e deve diventare terreno di crescita, consapevolezza, organizzazione”. Con la coscienza di questa necessità, è maturata l’idea di sviluppare un percorso assembleare cittadino costituito da più incontri, ognuno dei quali incentrato su temi specifici e organizzato in luoghi significativi dell’area metropolitana. Le giornate vedranno la partecipazione di diversi soggetti – sindacati, associazioni, movimenti di lotta, comitati abitanti, lavoratori e cittadini – e saranno aperte da due interventi, uno introduttivo sul tema e uno più specifico sulle questioni locali. Domenica 9 giugno si è discusso di sfratti, sgomberi e criminalizzazione delle occupazioni, intorno ad alcune domande che gli organizzatori hanno preparato per l’occasione.
Chi sono le famiglie e le persone sotto sfratto e per quali ragioni vengono sfrattate?
«Il panorama degli sfratti è cambiato dopo la liberalizzazione del mercato privato con la legge 431 del 1998 – dice Mariangela Ventura, dell’associazione inquilini e abitanti di Milano –. Prima di allora c’era l’equo canone, i prezzi degli affitti avevano dei tetti massimi in base al territorio e si riusciva a non avere troppe persone inadempienti al canone d’affitto. Dal 2001 in poi, c’è stato un innalzamento crescente della morosità e si è passati dai dodicimila sfratti per morosità del 2000 ai settantamila del 2014. Adesso sono circa trentamila all’anno. Inoltre, dal 2020 a oggi si assiste a un aumento delle disdette dei contratti vecchi. Questo sta comportando un maggior numero di esecuzioni di sfratto per finita locazione perché le persone a cui viene data la disdetta, a causa dell’aumento dei prezzi, non riescono più a rientrare nel mercato degli affitti, cioè non hanno le garanzie che vengono richieste dalle agenzie immobiliari e dalla proprietà».
«Mariangela cita giustamente gli sfratti per morosità – aggiunge Bruno Cattoli segretario di Unione Inquilini Milano – che in questi anni sono stati la grandissima parte, e gli sfratti per finita locazione che hanno comunque avuto una crescita negli ultimi anni, perché i proprietari da una parte vogliono affitti alti – 1.200 euro al mese per un bilocale –, dall’altra sanno benissimo che una famiglia normale appena ha una difficoltà non riesce più a pagare. Allora, ovviamente, diventa, oltre che conveniente, più sicuro affittare magari cento giorni l’anno su Airbnb in modo che il pagamento ce l’hai anticipato, non hai grane, non hai spese, non hai problemi di morosità. Oppure anche a nero, soprattutto agli immigrati, oppure a mezzo nero, nel senso che affitti a uno ma dentro poi sai che ci sono più persone. Per cui un problema che c’è in questo momento per gli sfrattati, ma vale per tutti, è che se tu hai una famiglia con minori, e soprattutto se non sei italiano, o ti presenti con contratti a tempo indeterminato di tre-quattromila euro al mese oppure la casa non la trovi».
Qual è l’iter che viene seguito dal Tribunale esecuzioni immobiliari?
«Bisogna distinguere – continua Mariangela – gli sfratti per morosità e gli sfratti per finita locazione. Le procedure sono diverse. Una persona si rende morosa se non paga una mensilità. Passati venti giorni dalla scadenza entro il quale l’affittuario avrebbe dovuto pagare il canone, il proprietario può richiedere l’intervento del tribunale. La finita locazione invece prevede che ci sia, sei mesi prima dalla scadenza naturale del contratto, la disdetta con raccomandata con ricevuta di ritorno da parte della proprietà nei confronti dell’affittuario. Lo sfratto può essere chiesto al tribunale quando, scaduto questo termine, la persona non libera l’alloggio».
«Dal punto di vista della convalida – spiega Bruno – abbiamo dunque due possibilità, sfratto per morosità, in cui si può chiedere il termine di grazia in tribunale, che praticamente vuol dire saldare il debito entro tre mesi – ultimamente anche solo due. Passato quel termine, se non è stato saldato il debito, viene fissata la data dell’esecuzione. Nel caso invece dello sfratto per finita locazione, c’è il discorso della disdetta che ha fatto prima Mariangela. La disdetta può essere fatta al termine dei primi quattro anni solo per necessità del proprietario legate all’uso o alla vendita dell’immobile, se ha meno di due immobili, compreso quello dove abita; e può essere fatto senza nessun tipo di motivazione al termine degli otto anni; anche lì il giudice dà un termine, è un termine di rilascio, la legge prevede da due mesi a un anno, una volta era sempre un anno adesso il Tribunale di Milano difficilmente dà quei cinque, sei, sette mesi anche alle situazioni più critiche».
Le procedure sono diverse fino all’esecuzione dello sfratto, spiegano Mariangela e Bruno. Da quel momento in poi si omogenizzano; c’è un avviso di sloggio che è il primo accesso dell’ufficiale giudiziario, in cui non c’è mai forza pubblica: è un accesso conoscitivo; poi ci sono altri accessi al termine dei quali, di solito dopo due, tre, quattro volte, viene fissato l’accesso con forza pubblica, che spesso viene comunicato con un telegramma ma non è assolutamente necessario che venga preannunciato.
«Nel momento di esecuzione dello sfratto – precisa Bruno –, se l’ufficiale giudiziario non è ancora salito in casa, ma aveva sempre fatto dei rinvii, c’è l’ultima chance che è il cosiddetto Protocollo Manunta, anche in fase di esecuzione di sfratto con forza pubblica e senza altri motivi di rinvio. Con Protocollo per l’esecuzione della procedura di rilascio in presenza di minori, sottoscritto dalla Corte d’Appello e dal Tribunale Civile di Milano, si ottiene un rinvio ultimativo da uno a due mesi; l’ufficiale giudiziario deve verbalizzare che lo sfratto verrà comunque eseguito la volta successiva e che la famiglia in presenza di minori può rivolgersi ai servizi sociali. Questa è una delle cose che quasi sempre utilizziamo nell’ultimo accesso possibile, dove si riesce a rinviare la cosa».
Cosa offre l’amministrazione comunale a chi viene sfrattato?
«Quando arriva la persona che ha lo sfratto – dice Bruno – oppure gli sta arrivando, la prima cosa che faccio è il bando di casa popolare, che dovrebbero essere almeno due all’anno, ma è data facoltà ai comuni di farne uno, di fatto ne fanno uno, che rimane aperto per un certo numero di mesi. Con questo bando tu hai un punteggio legato allo sfratto, che però è estremamente basso e non ti porta di per sé ad avere l’assegnazione di un alloggio, a meno che non concorrano altre situazioni, come invalidità, persona sola, eccetera. In più, i punteggi legati alla residenza contano tantissimo. Quindici anni di residenza in Lombardia e dieci a Milano valgono quattordici punti e mezzo. Lo sfratto eseguito pesa quattro punti. Questo per darvi un’idea della differenza… Ovviamente, non è casuale, c’è una volontà politica precisa di valorizzare il criterio della residenzialità contro il bisogno. Tutti i punteggi legati alla condizione abitativa oggettiva, se sei in sovraffollamento, se sei in coabitazione, se sei sfrattato, pesano molto poco rispetto a quelli della residenza e ai punteggi soggettivi, per esempio la persona anziana, l’invalido, che hanno sempre intorno ai dieci punti. Questo serve a escludere il più possibile i poveri e gli immigrati, un discorso prettamente ideologico».
«In attesa della casa popolare – continua Mariangela – ci sono i Servizi Abitativi Transitori, cioè alloggi pubblici per l’emergenza abitativa. La domanda viene fatta dall’inquilino presso un ufficio comunale. Le domande seguono un ordine cronologico e non c’è nessun tipo di deroga per casi urgenti. Inoltre, il problema fondamentale è che erano stati previsti 670 alloggi SAT nel triennio 2021-2023, ma ne sono stati assegnati solo 478. Quindi c’è una carenza nell’assegnazione. Un’altra cosa poco chiara è cosa intendono loro per emergenza, perché assistiamo a provvedimenti di rigetto da parte dell’ufficio che non capiamo. Per esempio, una persona che è ospite da un amico, per loro quello non è un caso di emergenza perché lei ce l’ha la soluzione, oppure la persona ospite nel dormitorio, anche lei ce l’ha una soluzione. In più ci sono tutte quelle persone che hanno avuto magari l’idoneità al SAT, hanno firmato un patto di servizio con l’assistente sociale, però non gli viene consegnato l’alloggio. Si tratta soprattutto di persone singole, perché i gestori Aler e MM non hanno messo a disposizione degli alloggi mono-nucleo, e quindi ci sono persone che attendono l’assegnazione dal 2022».
«Nel frattempo – dice Bruno –, quando vieni sfrattato ci sono altre due soluzioni. Il SAT dovrebbe essere visto entro tre mesi, in realtà viene visto dopo sei, sette mesi e vengono usati dei criteri assurdi, quelli che diceva Mariangela per la valutazione, quindi tantissimi vengono bocciati. Nel frattempo, tu vieni sfrattato e a quel punto le alternative sono due, o le RST (Residenze Sociali Temporanee), tramite i servizi sociali, o l’albergo, oppure prima l’albergo poi l’RST in attesa del SAT. In realtà la vera alternativa è niente, perché le RST sono state usate in qualche modo per tamponare quelle che erano le carenze del sistema SAT. Teniamo presente che le RST sarebbero nate per altri tipi di emergenze: la donna maltrattata, la persona che ha bisogno di un percorso genitoriale, robe di questo tipo, in realtà molti di questi alloggi sono stati tolti da quegli usi per darli all’emergenza abitativa. Ora come ora ci sono 115 nuclei con sfratti eseguiti in attesa di alloggi temporanei RST. Le RST vengono date quasi sempre in condivisione, e questo è il vero motivo per cui poi vengono lasciati fuori i mariti. L’albergo viene dato per trenta giorni a compartecipazione ridotta, dopo di che ti dicono: “Noi ti diamo anche un altro mese però te lo diamo al cinquanta per cento”: questo per un nucleo da quattro vuol dire ottocento euro per dieci giorni, quindi di fatto il Comune non ti dà un termine sull’albergo, te lo devi dare tu. Tu ti devi sfrattare, perché devi vedertela con l’albergatore, il quale se non hai ottocento euro ti dice: “Ciao, ciao”».
Come il sindacato sostiene le famiglie sotto sfratto, quali rivendicazioni e iniziative politiche promuove, quali sono i risultati che si riescono a raggiungere con le vertenze sindacali?
«Una delle cose su cui stiamo cercando di battere dal punto di vista politico – dice Bruno –, è che all’interno dei bandi venga ridotto il punteggio per la residenza e vengano invece aumentati i punteggi per le situazioni di effettivo bisogno, in particolare per lo sfratto. Due, che ci siano dei meccanismi più agili che facilitano il passaggio da SAT a SAP perché questa cosa fa sì che si liberino i SAT e che quindi siano disponibili per le famiglie che vengono sfrattate. L’altro ambito è quello delle accoglienze temporanee e degli alberghi perché è totalmente inqualificabile che a una famiglia al termine dei trenta giorni in albergo gli dicono: “Ti devi arrangiare fino a che arriverà il SAT”, e li lasciano sulla strada, materialmente sulla strada. Siccome ormai queste famiglie sono tante, noi abbiamo già cercato di fare un presidio ad aprile insieme alla Asia e al Sicet».
Con l’appello di Bruno a mobilitarci contro le accoglienze temporanee si conclude la mattinata assembleare di confronto sugli sfratti, per poi continuare nel pomeriggio con altri interventi su sgomberi e criminalizzazione delle occupazioni. Dopo questo primo appuntamento, il percorso della Rete prevede altri incontri, ognuno dei quali incentrato su temi specifici come povertà abitativa, gestione patrimonio pubblico, politiche immigratorie, politiche del lavoro, obiettivi vertenziali-politici a breve e lungo termine. (a cura di salvatore porcaro)
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