“Te l’ho detto, stamattina non usciamo… finché non ci riconoscono i nostri diritti, di qua non ci muoviamo!”. Il ragazzo con la tuta azzurra urla nello smartphone per vincere il frastuono delle auto che gli passano accanto, ma anche sopra la testa, sul cavalcavia che sormonta via Ferrante Imparato, all’altezza dei cancelli della Gls di Poggioreale. Un collega gli passa accanto, il ragazzo lo inquadra col telefono e gli fa cenno di salutare. Poi le voci si smorzano, nel piazzale dello stabilimento sono ricominciati i cori: “Puos’ ‘e sord, puos’ ‘e sord, puos’ ‘e sord…”; “Stamattina non si entra, stamattina non si entra…”.
Non è una mattina come le altre quella di martedì 12 marzo alla Gls di Poggioreale. Tir e furgoni parcheggiati a motore spento, l’ingresso sbarrato da uno striscione eloquente: “Stop Sfruttamento”. Una settantina di corrieri, provenienti anche dalle altre sedi provinciali – Mariglianella, Nola, Frattamaggiore –, sono scesi in sciopero organizzati dal Sol Cobas. Il picchetto è compatto davanti all’ingresso, con l’azzurro delle tute e il rosso delle bandiere. Un po’ di lato, alcune delegate raccolgono le nuove adesioni al sindacato. Qualcuno si mette in fila timidamente, incitato a vincere la paura dai colleghi già iscritti. Intanto si annuncia l’arrivo di Francesco Tavassi, titolare della Temi Spa, che gestisce in franchising il marchio Gls per Napoli e provincia.
Il gruppo Temi opera da tre generazioni nei trasporti, logistica e distribuzione. Consegne su gomma, spedizioni marittime e aeree. Il titolare è impegnato nelle associazioni di categoria ed è stato vicepresidente dell’Unione Industriali di Napoli. Dichiara un fatturato di novanta milioni di euro con ottantacinque dipendenti diretti e circa trecentocinquanta nell’indotto. Sono proprio questi ultimi, stamattina, ad avergli mandato la colazione di traverso. Lavorano per lui, ma non dipendono direttamente da lui, bensì da società di trasporto che fanno capo a una trentina di “padroncini”. Tutti i corrieri lavorano per loro. C’è chi possiede un paio di camion, e chi ne detiene a decine. La differenza di volume d’affari, tra gli uni e gli altri, è notevole. Ciò che non cambia è il trattamento che tutti, senza eccezioni, riservano ai corrieri: lavoro nero o dichiarato solo a metà; niente malattia, niente ferie, niente rimborsi, permessi o indennità legate al servizio; niente tredicesima e quattordicesima. Le buste paga, quando ci sono, risultano inventate di sana pianta, partorite dalla fantasia, o meglio dagli interessi dei datori di lavoro.
«Lavoro in Gls da cinque anni, prima a Mariglianella, ora a Napoli – dice G. N. discostandosi dal gruppo che scandisce cori davanti all’ingresso –. Ho ventotto anni, dipendo da uno dei tanti fornitori che lavora per Temi. Nella mia società siamo in dieci, due datori che lavorano come noi, tre lavoratori a nero e altri quattro con contratti di quattro ore, oppure di sei ore e quaranta. Il fatto è che di ore noi ne facciamo dieci, anche undici, dodici. Questo significa cento-centoventi consegne al giorno. Nell’ultima busta paga il datore mi ha segnato dieci assenze ingiustificate, eppure non ho mai saltato un giorno. Questo trucco gli serve per non superare un certo monte ore. Io prendo un fisso di sessanta euro al giorno e se lavoro tutto il mese dovrebbe farmi una busta paga di mille e duecento euro, lui invece con le assenze fasulle ne segna solo seicento».
Intorno a G. N. si è formato un capannello. Tutti vogliono parlare. Le voci si accavallano, in una sorta di gara a chi racconta il caso più incredibile o più rivoltante. Il quadro che emerge è di un regime di arbitrio assoluto.
«Il mio padroncino è uno dei più grandi – dice un corriere giovanissimo –. Ha una cinquantina di dipendenti nelle varie sedi Gls. Alcuni lavorano a giornata, altri a bolletta. Che vuol dire a bolletta? Prendiamo ottanta centesimi a consegna fino a ottanta consegne, da lì in poi cinquanta centesimi… Ci sono giornate buone e altre meno, ma se sei malato e non scendi a lavorare di sicuro non prendi niente…».
«Ma tu quanti anni hai?».
«Ventuno, lavoro qui da tre anni, appena finita la scuola…».
«Io sto qua da sette anni – lo interrompe un collega sulla cinquantina –. Sempre con lo stesso padroncino, eppure risulto assunto da due mesi. I sette anni precedenti me li sono fatti a nero…». Non fa in tempo a finire la frase. «Ogni cosa che succede qui è colpa del corriere – dice un altro –. Se ti porto il pacco e tu dici che non l’hai ricevuto, per questi ha sempre ragione il cliente. Se ci fanno una rapina paghiamo noi, ce li scalano dalla busta paga. Se perdiamo un pacco, mica c’è una franchigia, ti addebitano il pacco più la sanzione…».
Il capannello si è infoltito. Le testimonianze si incrociano, si sovrappongono; concitate, disordinate, quasi gridate, perché intanto dieci metri più in là continuano i cori.
«Noi stavamo a quattro ore per ottocento euro – dice un ragazzo indicando un collega –. Adesso ci hanno messo a sei ore e quaranta, ma sulla busta paga c’è scritto sempre ottocento».
«Io lavoro nella sede di Nola. Non so qual è il mio contratto lavorativo, non ne ho mai firmato uno. Per me sto lavorando a nero. L’ultima busta paga l’ho vista a dicembre».
«Sto qua da nove anni, sempre con lo stesso padroncino: due anni a nero, cinque anni a posto e adesso di nuovo a nero. Sono stato licenziato perché mi hanno rubato dei pacchi dal furgone. Lui dice che non era assicurato e così l’ho dovuto pagare con la mia disoccupazione. Da un anno lavoro per 250 euro al mese, a cui aggiungo i seicento della disoccupazione… E non parla ancora di mettermi a posto, dice che sono grande, tengo cinquantacinque anni, e lui pagherebbe troppo di contributi».
«Ho ventidue anni, lavoro qui che ne avevo diciassette. Stavo a nero, prendevo venticinque euro al giorno, volevo andare a migliorare: cambiai padroncino. Lui mi disse, non lo puoi fare, devi dare il preavviso, io ti blocco, non ti faccio più scendere al lavoro. Non mi sono fatto intimorire. Ora vado a cottimo, a bolletta: sessanta centesimi a consegna, devo farne cento per prendere sessanta euro al giorno. La mia zona è Posillipo, non è facile».
«Io gliel’ho detto in faccia al masto mio – si accalora un uomo sulla trentina parlando del suo datore di lavoro –, ho i colleghi per testimoni. Si è preso il 730 mio, le detrazioni della famiglia mia, e quando gliel’ho detto ha fatto orecchie di campana, e sai perché ha fatto orecchie di campana? perché lo sa che io non tengo fatica, tengo famiglia e aggia fatica’». Tira il fiato e riprende: «Mi disse: ma tu da me che vuoi? Voglio i diritti miei, questo voglio. Dopo dodici anni così mi tratti? La corda si è tirata troppo assai…».
All’improvviso tutte le teste si voltano, anche i cori smettono di colpo. È arrivato Tavassi. Un signore alto, elegante, sulla settantina. Il gruppo degli scioperanti lo risucchia immediatamente al suo interno. Lui non perde l’aplomb. Si fa silenzio. La testa canuta svetta sul mare delle tute azzurre. «Molti di voi mi conoscono da un sacco di tempo, non è vero? – domanda girando la testa tutto intorno – Chi di voi mi conosce?». Diverse braccia si alzano. «Tu – punta il dito –, da quanto mi conosci, dieci anni? E tu? E tu?». I militanti sindacali, per un momento incuriositi più che sorpresi, ora annusano il pericolo. Partono urla di disapprovazione, il filo del monologo si rompe. Gli operai si riscuotono, le urla diventano boato. Ora il mare è in tempesta, il padrone è diventato un fuscello. Fallita la carta paternalista, cambia bruscamente registro. La minaccia è esplicita, diretta. Fin troppo grossolana. Un evidente passo falso, perché lo espone al rifiuto, all’indignazione di tutti. Le distanze vengono ristabilite. La rabbia rischia di tracimare, ma i delegati invitano alla calma. Ancora qualche parola di fuoco, poi Tavassi si ritira nel perimetro dello stabilimento, attorniato dai suoi.
Venti minuti dopo si è già rassegnato a trattare.
Adesso nel piazzale regna la calma. La temperatura si è raffreddata, il negoziato va avanti. È stato chiesto esplicitamente di interrompere cori e fumogeni. Come segno di distensione, il picchetto acconsente a far entrare i tir in attesa su via Ferrante Imparato. Le trattative si svolgono in un prefabbricato all’interno, distante poche decine di metri dai cancelli. Davanti alla porta, in attesa, si addensa la “controparte aziendale”: una dozzina di padroncini, poche tute azzurre che hanno disertato lo sciopero, alcuni vigilanti e componenti dello staff di Temi. Gli operai, dall’altro lato del cancello, se li indicano a vicenda facendo brevi commenti. Li conoscono tutti. Nel frattempo T. B., ventisette anni, racconta come tutto è cominciato. «Abbiamo fatto quello che altri colleghi non erano mai riusciti a fare. Sono stato io a contattare il sindacato due settimane fa. Non ce la facevo più, volevo iscrivermi da solo. Poi ne ho parlato con altri e siamo andati tutti insieme. Già in passato se n’era parlato…».
«Si parlava ma non si agiva!», lo interrompe uno, ancora carico di adrenalina.
«I facchini – riprende T. B. –, quelli che fanno lo smistamento dei pacchi, stanno peggio di noi. Dipendono da un’unica cooperativa, ma prendono 6 euro l’ora e lavorano più di noi. Purtroppo non siamo riusciti a parlarci. Abbiamo dovuto fare tutto in segreto, altrimenti sarebbero cominciate le minacce. Ed è andata bene, non se l’aspettavano proprio… Adesso siamo settanta ma diventeremo di più, stamattina molti colleghi si sono iscritti».
Si inserisce un lavoratore di Nola. Racconta la stessa storia dal suo punto di vista. «Un ragazzo che lavora con noi ci ha detto: guardate che a Napoli stiamo parlando con il sindacato. C’era già stato un tentativo in passato, ma il giorno prima si ‘cantarono’ a tutti quanti. Stavolta abbiamo lavorato sotto traccia. Di nascosto. Ieri mattina sembrava la guerra fredda: nessuno parlava, nessuno scherzava. C’era una grande tensione. Oggi siamo venuti in venti. Su cinquanta. Molti non vogliono metterci la faccia… Stamattina è venuto pure il padroncino, lui ha molte macchine, fattura anche altri padroncini più piccoli, che hanno uno o due camion. Domani mattina non faticate più, ci ha detto. Non vogliamo faticare più così, gli abbiamo risposto. Allora ha cambiato tono. Se volevate fare una cosa buona dovevate essere tutti quanti, così non risolvete niente. Levat’ ‘a nanz’ e facci fare a noi, gli abbiamo risposto… Io non penso che non stiamo risolvendo niente, già il fatto che si sono seduti a parlare con Salvatore è una cosa importante».
A mezzogiorno, Salvatore Annuale, uno dei tre delegati del Sol Cobas che hanno discusso per circa due ore con i rappresentanti di Temi, esce dal prefabbricato dove si è svolta la trattativa e attraversa il cancello, stringendo alcuni fogli tra le mani. Subito i lavoratori gli sono intorno. Quasi sommerso dalle tute azzurre, accende il megafono e comincia a parlare: «È finita adesso la prima trattativa. La tenuta dipenderà da loro. Su due punti siamo stati chiari: nessuno viene licenziato; chi lavora a nero deve essere contrattualizzato… La Gls è stata avvertita. Se domattina un solo lavoratore torna a casa per un licenziamento o una ritorsione fermiamo in tutta Italia. Se toccano a uno toccano tutti… Adesso vi leggo l’accordo.
«La società Temi, detentrice delle attività di distribuzione merci nella provincia di Napoli per conto della Gls, rispetto alla quale opera in franchising, assume il ruolo di supervisore e garante della piena applicazione del contratto collettivo e nazionale trasporto merci spedizioni e logistica, con particolare riferimento ai punti seguenti che non trovano allo stato attuale corretta applicazione: verifica della corretta stipula dei contratti full time trentanove ore settimanali per tutti i lavoratori che operano già come full time in tutti gli impianti; erogazione degli istituti contrattuali previsti: tredicesima, quattordicesima, permessi e Tfr. [Ovazioni interrompono la lettura]. Riconoscimento dell’intero periodo lavorativo presso le sedi di lavoro succitate al fine della corretta erogazione degli scatti di anzianità spettanti a ciascun lavoratore; retribuzione delle attività lavorative prestate oltre le trentanove ore settimanali con le maggiorazioni previste per lavoro straordinario; riconoscimento al cento per cento delle indennità di malattia e infortunio. [Ovazioni]. Riconoscimento della indennità giornaliera spettante ai corrieri, riconoscimento dell’indennità di maneggio denaro come previsto dall’art… [Altre ovazioni]».
È stata una mattinata movimentata e sicuramente il lieto fine non è dietro l’angolo, ma per questi lavoratori anche solo ascoltare l’elenco dei loro diritti, uno in fila all’altro, scandito in faccia a chi glieli ha sempre negati, è una prima sonante vittoria. Le acclamazioni che accompagnano la lettura, gli sguardi raggianti e gli abbracci lo testimoniano. Nondimeno, qualche ora dopo sono ricominciate le pressioni, le minacce velate, le ritorsioni. Era stato messo in conto, non si spazza via nell’arco di un mattino un sistema incancrenito da anni, fondato sull’ambiguità, la dipendenza, lo stato di necessità. Così il giorno seguente uno sciopero ha bloccato non più solo Poggioreale, ma tutte e quattro le sedi provinciali del gruppo. L’azienda ha chiesto tempo per sistemare le cose. Nelle nuove condizioni, le società di trasporto più piccole sembrano avere il destino segnato. È un percorso di emersione avviato da tempo in tutto il settore logistico del centro-nord. L’esperienza dei corrieri Gls potrebbe innescare una reazione a catena anche a queste latitudini. In ogni caso, un incontro tra le parti per negoziare l’indennità di trasferta è in calendario alla fine di marzo. Nelle prossime settimane apparirà con più chiarezza il verso che prenderà la vertenza. (luca rossomando)
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