Domenica 4 febbraio, nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria a Roma, Ousmane Sylla si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo a una grata. Aveva solo ventidue anni.
Di nazionalità guineana, era arrivato in Italia da minorenne e aveva ottenuto un regolare permesso di soggiorno che però poi non gli è stato rinnovato. E così è finito nel Cpr di Milo (Trapani) dove ha trovato una situazione critica. A fine gennaio i reclusi sono insorti nell’ennesima protesta contro le condizioni di vita indegne in cui sono costretti a vivere: in centoquaranta effettivi a fronte di una capienza di quaranta posti. La protesta ha reso la struttura inagibile e Ousmane, nonostante mostrasse già un peggioramento delle sue condizioni di salute, è stato trasferito al Cpr di Ponte Galeria a Roma “in attesa di essere rimpatriato”.
Nonostante il suo rimpatrio fosse praticamente impossibile, in assenza di un accordo di riammissione tra l’Italia e la Guinea, avrebbe potuto “attendere” ancora a lungo. Il decreto n. 20/2023 convertito in legge a maggio 2023 ha infatti esteso il periodo massimo di trattenimento da tre a diciotto mesi. Ousmane era recluso da quattro mesi: senza quest’ultima norma, sarebbe dovuto uscire già da un mese.
La famiglia è stata informata di quanto gli è successo dieci giorni dopo la sua morte, solo grazie alla collaborazione dal basso tra l’associazione Memoria Mediterranea, la campagna LasciateCIEntrare e Diallo, attivista guineano che ha raggiunto la famiglia con una piccola delegazione. La famiglia vuole il rimpatrio della salma di Ousmane e vuole raccontare la persona che era davvero, perché quando è partito non aveva nessun disturbo psicologico.
Contro la disumanizzazione che lo ha ridotto a “clandestino indesiderabile”, a recluso, a un codice identificativo che sostituiva il suo nome nelle interazioni con il personale del centro, Ousmane ha disegnato il suo autoritratto su una parete prima di togliersi la vita. Ha lasciato anche un messaggio in francese che è un vero e proprio testamento: chiede che il suo corpo venga riportato alla sua famiglia e che la sua anima riposi in pace.
“Non c’è bisogno di aspettare le indagini per poter dire che luoghi come Ponte Galeria sono totalmente disumani. Non c’era bisogno di aspettare la morte di un giovane ragazzo per dire che questi posti vanno chiusi”, scrive in un post la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale per il territorio di Roma, Valentina Calderone.
IL CONTO DEI MORTI
A venticinque anni dalla loro esistenza, sono trenta le vittime dei Cpr in Italia, trentuno con Ousmane. Secondo quanto ricostruito in “Corpi reclusi in attesa di espulsione”, tra il 1998 e il 2020 sono morte ventiquattro persone a cui, in base alla lista fornita dal Dipartimento di pubblica sicurezza alle associazioni milanesi, vanno aggiunte altre sei persone, cinque delle quali morte nel solo 2022, come segnalato anche dal Garante nazionale nella sua Relazione al Parlamento del 2023. Di queste vittime, sette rimangono senza nome: morti rese invisibili, per le quali non è possibile ricostruire una storia, rintracciare una famiglia, chiedere verità e giustizia.
Il Cpr di Torino era il più grande d’Italia, con una capienza effettiva di centoquaranta posti, dove nel solo 2022 erano transitate ben 806 persone. Oltre a quella di Moussa Balde nel maggio 2021, questo Cpr aveva visto la morte del trentatreenne Hossain Faisal, deceduto l’8 luglio 2019 dopo quasi sei mesi di ininterrotto isolamento. Prima ancora, nel maggio 2008, era toccato al trentottenne Hassan Nejl “Fathi”, morto dopo una giornata di sofferenze, senza che ricevesse le cure mediche necessarie. Il Cpr di Torino, nonostante queste morti, è stato chiuso solo a marzo 2023 grazie a una rivolta, ancora una volta, delle persone recluse, che sono riuscite a danneggiare la struttura al punto da renderla del tutto inagibile.
Ora, con la chiusura di quello di Torino, il Cpr più grande d’Italia è quello di Ponte Galeria, a Roma, con centoventicinque posti di capienza effettiva (Garante Nazionale). Le condizioni di vita all’interno sono riprovevoli e da tempo note a politica e magistratura, già oggetto di un esposto alla Procura della Repubblica da parte della senatrice Ilaria Cucchi. Anche in questo Cpr, infatti, Ousmane non è l’unica vittima. Il 13 novembre 2018 era deceduta una donna ucraina di quarantasei anni, di cui tuttavia non sappiamo nemmeno il nome. Nel novembre 2021, moriva legato al letto di un ospedale psichiatrico Wissem Abdellatif, ventisei anni, sempre durante il periodo di trattenimento a Ponte Galeria. Ancora, nell’agosto 2022, fu il caso di un uomo di trentaquattro anni del Bangladesh, un’altra morte senza nome.
Moussa Balde, Wissem Abdellatif e Osmane Sylla hanno tutti qualcosa in comune: arrivati in Italia giovani e sani, si sono ammalati di un sistema che ha economizzato sulla tutela dei loro diritti fondamentali, che li ha ostacolati nel loro percorso, li ha legati, detenuti, sedati e infine spezzati.
Recenti inchieste giornalistiche hanno finalmente portato all’attenzione pubblica ciò che era già noto a politica e magistratura dagli esposti dei e delle parlamentari a seguito degli accessi nei Cpr di via Corelli a Milano, di Ponte Galeria e di Palazzo San Gervasio (Pz). I dati riportati in un’inchiesta di Altraeconomia evidenziano come in tutti i Cpr d’Italia si registri una spesa sproporzionata per l’acquisto di psicofarmaci, la cui somministrazione non corrisponde praticamente mai a una presa in carico dei trattenuti da parte di specialisti. Nell’ispezione della senatrice Cucchi a Ponte Galeria l’infermiera e la dottoressa del centro ammettevano che a prendere psicofarmaci erano più del novanta per cento delle persone internate.
In un intervento a un presidio sotto la prefettura di Milano contro gli ultimi decreti in materia di espulsioni e detenzione, Majdi Karbai, ex parlamentare tunisino in esilio a Milano dal 2021, evidenziava come tanti deportati tunisini tornino in patria con un grave disagio psichico e di fatto tossicodipendenti: “In tanti hanno provato il suicidio, alcuni si sono proprio suicidati perché hanno trovato una situazione bruttissima, complicata, marginalizzata. Calcoliamo poi che in Tunisia c’è solo un ospedale psichiatrico che può curare solo venticinque pazienti mentre l’Italia ogni anno rimpatria più di mille persone in Tunisia”.
Alle morti accertate vanno quindi aggiunte quelle impossibili da rilevare: quelle che avvengono lontano dal territorio italiano, come causa diretta del disagio psichico indotto dai Cpr ed esacerbato dopo il ritorno nel paese di origine. Un numero destinato a crescere, anche considerando come morti mancate i tentativi di suicidio e i gravi atti di autolesionismo che si verificano ogni giorno in tutti i Cpr d’Italia.
UN CPR COMMISSARIATO
Lo stesso giorno in cui Ousmane Sylla veniva trovato morto e proprio durante le proteste scaturite in seguito nel Cpr di Ponte Galeria, è circolato sui social il video di un ragazzo che ha tentato di impiccarsi alle inferriate del centro e che si è salvato solo grazie all’intervento di altri reclusi che lo hanno tirato giù. Il giorno precedente, nel Cpr di Gradisca d’Isonzo è scoppiata una protesta, sempre per le condizioni di vita insostenibili e degradanti. Alcune persone sono salite sul tetto della struttura e una di loro è precipitata da un’altezza di sei metri, ferendosi gravemente. Ancora, il 13 febbraio scorso dal Cpr di Milano sono giunte le immagini di due “corde”, due tentativi di suicidio per impiccagione, in pochi minuti. Segnalazioni di tentati suicidi e autolesionismo vengono regolarmente pubblicate sulle pagine social della rete Mai più lager – No ai Cpr, che riceve le immagini e i video direttamente dalle persone recluse nel Cpr di via Corelli a Milano e di Gradisca d’Isonzo (Go) tramite il centralino “SOS Cpr Naga”. Si tratta degli unici due Cpr in cui, grazie a una sentenza sul ricorso Asgi del 2021, i trattenuti possono detenere i propri telefoni cellulari.
Le immagini e i video che trapelano a fatica dagli altri Cpr, come quelli da Ponte Galeria e da Pian del Lago a Caltanissetta pubblicati da Meltingpot, sono il frutto di atti di coraggio e sacrificio da parte dei reclusi, che approfittano di rare occasioni anche a costo di minuti preziosi sacrificati ai colloqui con gli avvocati e di ritorsioni da parte delle autorità e dell’ente gestore. Grazie a questo contatto diretto all’interno dei centri, le realtà milanesi hanno potuto monitorare con continuità le condizioni dei trattenuti e restituire un quadro dettagliato del sistema Cpr di via Corelli, che è in larga parte rappresentativo del sistema Cpr di tutta Italia.
Il Cpr di Milano è situato all’interno della città, in una via dove ci sono ristoranti, bar e negozi. Eppure, una cortina di mura, filo spinato, telecamere e una moltitudine di forze dell’ordine (esercito, guardia di finanza, polizia) rendono questa struttura un carcere a tutti gli effetti. Il Cpr di Macomer (Nu), per la verità, nasceva proprio come carcere di massima sicurezza, poi dismesso perché le celle, come anche gli spazi esterni, erano troppo opprimenti persino per tale funzione.
Quel che emerge dal rapporto di Naga e rete Mai più lager – No ai Cpr su via Corelli è un vero e proprio inferno: centri lontani, se non fisicamente comunque psicologicamente dalla società civile, a cui viene consentito l’accesso solo a fronte di lunghe e dispendiose schermaglie legali; ostruzionismo e opacità ingiustificate e illegittime riguardo la fornitura di dati importanti ai fini del monitoraggio, che quando vengono conquistati dimostrano gravissime irregolarità su cui la Prefettura stessa dovrebbe vegliare e di cui invece si fa complice; visite di idoneità svolte all’interno del Cpr in violazione della normativa vigente e/o criminosamente superficiali, che dichiarano idonee anche persone con gravi patologie e tossicodipendenti; locali non idonei, degradati, con condizioni igienico-sanitarie allarmanti; sistematici impedimenti di accesso al diritto di difesa per le persone trattenute, che si vedono ostacolate nella nomina di un legale di fiducia e assegnate a un legale d’ufficio “usa e getta”, il cui incarico si limita a una singola udienza; udienze di convalida che durano pochi minuti, spesso in videoconferenza con gravi problematiche legate alla comprensione di quanto stia accadendo; consulenze legali in presenza di agenti di polizia, in violazione del diritto alla privacy; e ancora, i pasti distribuiti sono spesso scarsi, a volte con vermi, scadenti o scaduti; gli avvocati parlano di una progressiva “zombizzazione” degli assistiti, anche a causa della massiccia somministrazione di sedativi; le forze dell’ordine impiegano spesso pratiche umilianti e non necessarie, come la denudazione per ispezioni integrali e la contenzione durante l’intero viaggio di deportazione nel paese di origine.
Le operazioni di espulsione sono spesso violente. Nel pomeriggio di venerdì 16 febbraio un cittadino straniero detenuto in via Corelli ha resistito alla sua deportazione e, di fronte alla sua agitazione, il pilota dell’aereo si è rifiutato di decollare. Il deportando, ancora ammanettato, è stato trascinato per metri sull’asfalto della pista dell’aeroporto di Malpensa, malmenato violentemente anche sui genitali e riportato nel Cpr di via Corelli, senza che ricevesse un’adeguata visita medica.
Anche se i Cpr sono sotto responsabilità della Prefettura, i servizi sono affidati a privati, che sul taglio dei costi ricavano anche ingenti profitti. Il rapporto di Naga e No Cpr aveva evidenziato come nessuno dei “servizi migliorativi” presentati nell’offerta tecnica con cui l’ente gestore, Martinina s.r.l., si era aggiudicato l’appalto dalla Prefettura erano effettivamente erogati. I primi di dicembre del 2023, dopo la pubblicazione del report e dell’inchiesta su Altraeconomia, che smascherava come falsi molti dei protocolli “siglati” da Martinina con diverse cooperative per la fornitura di tali servizi, la Guardia di finanza irrompeva con un’ispezione a sorpresa nel Cpr di via Corelli, svelando l’esistenza di un’indagine in corso da parte della Procura per turbativa d’asta e falsa documentazione a danno della società e dei suoi responsabili, Alessandro Forlenza e Consiglia Caruso.
Domenica 11 febbraio, più di un mese dopo l’affidamento del Cpr a un amministratore giudiziario, una delegazione della rete milanese ha effettuato una visita d’urgenza insieme al consigliere regionale Luca Paladini. La visita era motivata dalle allarmanti segnalazioni ricevute dai reclusi: ancora cibo avariato, escoriazioni pruriginose riconducibili a un’intossicazione alimentare, a un’epidemia di scabbia o a cimici; pestaggi punitivi da parte delle forze dell’ordine, in particolar modo a danno di un ragazzo appena diciottenne che aveva protestato per il cibo immangiabile. Alla delegazione è stato impedito di accedere ai moduli abitativi, in violazione delle norme di riferimento secondo cui il consigliere regionale aveva pieno diritto di accesso. Hanno comunque potuto rilevare gravi irregolarità nel servizio di assistenza medica e denunciare ancora gravi violazioni del diritto alla salute dei reclusi. Tutto questo avviene anche sotto amministrazione giudiziaria, in uno dei Cpr più attenzionati, ma è quanto si segnala dai Cpr di tutta Italia. (nicoletta alessio – melting pot)
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