Il Gruppo di supporto psicologico per i familiari dei detenuti che si sono tolti la vita, che sono deceduti per altre cause, o che vivono un calvario all’interno del sistema penitenziario nasce nel mese di luglio, dopo un contatto tra alcuni attivisti e attiviste e i familiari di un ragazzo che si sarebbe suicidato inalando il gas del suo fornelletto, nel carcere di Modena.
È possibile seguire le riunioni del gruppo ogni venerdì, dalle 17:45 alle 20:00. Le riunioni avvengono tramite una piattaforma on-line, con il supporto del dottor Vito Totire, psichiatra, attivista e portavoce del circolo “Chico Mendez” di Bologna. Durante gli incontri ognuno può raccontare la propria storia, parlare del proprio dolore e confrontarsi con altre persone che hanno vissuto la tragica esperienza di familiari morti all’interno delle carceri. Il link per accedere alla riunione settimanale viene pubblicato qualche giorno prima dell’incontro sul gruppo Telegram “Morire di carcere” e su quello Whatsapp “Sportello di supporto psicologico per i familiari dei detenuti” .
È possibile ricevere informazioni, ma anche raccontare in forma scritta la storia propria e del proprio familiare, anche scrivendo all’indirizzo e-mail dell’associazione Yairahia Ets (yairaiha@gmail.com). Avvocati, volontari, membri di associazioni, garanti delle persone private della libertà sono invitati a unirsi e a condividere il proprio punto di vista.
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Il padre di Fabio Romagnoli ci racconta che la sera del 20 febbraio 2023 la madre di suo figlio, con dolore e tristezza, gli ha comunicato la tragica notizia tramite una telefonata che ha sconvolto la loro vita. Fabio è stato ritrovato senza vita nel bagno della sua cella, nel carcere di Modena, poco prima delle 19:15, quando il compagno con cui condivideva la stanza aveva fatto rientro in stanza (era fuori dalla cella in quanto lavorante). L’autopsia ha confermato che il decesso è stato causato dall’inalazione di gas del fornello in dotazione.
In un primo momento i genitori di Fabio si sono rifiutati di accettare la dura realtà del suo suicidio. Già in altre occasioni, tuttavia, erano dovuti intervenire per distoglierlo da pensieri di quel tipo. Erano infatti consapevoli che Fabio aveva già tentato varie volte di togliersi la vita. L’ultimo tentativo era avvenuto nella cosiddetta “camera di sicurezza” della questura di Ferrara durante un fermo di custodia cautelare, dovuto alla sua evasione dagli arresti domiciliari.
La sofferenza di Fabio era visibile e palpabile, ma sembra non aver mai ricevuto l’attenzione che meritava. I suoi problemi di salute, documentati dalle cartelle cliniche precedenti all’arresto, mostrano chiaramente la sua fragilità. Le cure di cui Fabio aveva bisogno non gli sono state garantite.
Tra le tante lettere che scriveva alla famiglia, in particolare l’ultima, l’uomo si scusava con i suoi genitori per il gesto estremo che si apprestava a compiere. Fabio assumeva in carcere, da tempo, antidepressivi. Centottanta gocce di EN al giorno (più del doppio di un dosaggio medio), un medicinale che contiene delorazepam, principio attivo appartenente alla classe delle benzodiazepine, sostanze con proprietà ansiolitiche, sedativo-ipnotiche, anticonvulsivantiche, che influiscono sugli stati d’ansia e aiutano il sonno. Tuttavia, senza il supporto di altre terapie e di un percorso di riabilitazione, questi farmaci non possono garantire un beneficio duraturo. Il precedente avvocato di Fabio aveva inviato già a dicembre 2022 una nota via pec all’istituto di detenzione chiedendo un controllo medico per il suo assistito e, qualora fosse necessario, un ricovero ospedaliero per evitare un peggioramento. A questa richiesta non è mai stata data risposta. I genitori di Fabio non riescono a farsi una ragione del fatto che si sia permesso a una persona che aveva in passato tentato numerose volte il suicidio di rimanere senza supporto psicologico in carcere, e per di più di avere costante accesso a un oggetto così pericoloso come una bomboletta del gas.
Da molto tempo si discute della possibilità che al posto delle bombolette a gas si dotino le celle di piastre elettriche per riscaldare il cibo. Un investimento importante ma non certo insostenibile, considerando anche i 132,90 milioni di euro di fondi Pnrr recentemente destinati alle carceri. Fondi che invece verranno utilizzati per interventi strutturali e per la costruzione di nuovi padiglioni, unica soluzione contemplata da chi gestisce il sistema penitenziario per intervenire sul problema del sovraffollamento, e che di certo attiverà un importante circolo economico di appalti, investimenti, guadagni per grandi imprese del settore edile.
E invece le persone con malattie e sofferenze come Fabio, così come le persone vittime di dipendenze, dovrebbero immediatamente uscire dalle carceri, per essere curate, e per veder la propria vita salvaguardata. In attesa che si raggiunga una tale fondamentale consapevolezza, è indispensabile un massiccio investimento nelle cure psicologiche e nel sostegno per tutte le persone detenute, che non sia solo farmacologico, al fine di prevenire futuri eventi tragici come questo. (luna casarotti, yairaiha ets)
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