Sono bastate cinque-seicento persone, sebbene molto agguerrite, a mandare in tilt per tutta la mattina il centro di Napoli, attraversato da un corteo contro l’eliminazione del reddito di cittadinanza imposta dal governo Meloni. Un corteo supportato dai militanti della sinistra antagonista, ma composto perlopiù da gente comune, che in questi ultimi anni ha potuto beneficiare di una misura di welfare minimo consolidata già da tempo nella maggior parte dei paesi europei, e che invece in Italia ha creato una polarizzazione tanto clamorosa quanto immotivata. È un movimento, questo per la difesa del reddito, che cresce lentamente ma in maniera costante – tanto che il corteo di questa mattina ha visto una partecipazione maggiore rispetto alla manifestazione di inizio agosto – e che aggrega nuove persone soprattutto attraverso i social network e le chat collettive.
«Vi ho visto sopra Tik Tok, come faccio a sapere quando ci sta il prossimo sciopero?».
Il corteo è partito da piazza Garibaldi, ha attraversato il corso Umberto ed è arrivato in piazza Nicola Amore, dove ha sorpreso con una manovra a gomito lo schieramento delle forze dell’ordine, dirigendosi verso il porto. All’altezza della rampa autostradale, i manifestanti hanno trovato altre camionette posizionatesi nel frattempo per impedire il blitz improvvisato. Una strategia poco efficace, dal momento che mentre alcuni manifestanti discutevano animatamente con gli agenti, prima un piccolo gruppo, poi uno più grande che contava una cinquantina di persone, ha cominciato a scavalcare le recinzioni metalliche e a percorrere il raccordo autostradale a piedi. Da quel momento, e per la successiva mezz’ora, solo caos.
All’ingresso della rampa, alcuni agenti antisommossa restano fermi per bloccarne l’accesso, tra spintoni e scaramucce; tra i più esagitati l’ispettrice della Digos in t-shirt Guess, che prende malissimo un colpo ricevuto da una manifestante mentre i poliziotti cercano di allontanare la folla con scudi e manganelli. Sul tracciato autostradale altri dirigenti della Digos, e poliziotti sparsi, cercano di evitare lo scavalcamento della recinzione, correndo avanti e indietro una volta che i manifestanti mettono piede a terra, in una scena che ricorda i vecchi film comici del cinema muto; la maggior parte dei poliziotti, non riuscendo a braccare uomini e donne in corsa, prova a minacciare di ritorsioni questo o quel manifestante. In strada, intanto, il resto del corteo si divide, occupando entrambe le carreggiate e impedendo il transito in tutte le direzioni. Le file di tir, camion, automobili e tram diventano lunghissime.
A mezzogiorno, quando i cinquanta avanguardisti della rampa si sono riuniti al gruppo, la Digos comunica che l’assessore regionale acconsente a incontrarli, a patto che la strada venga liberata. Una volta che il corteo giunge in corso Arnaldo Lucci, però, la polizia annuncia l’annullamento dell’incontro, “perché è passato troppo tempo”.
«Ma chest’ è ‘na protesta! Mica tene n’orario!».
Il corteo continua per almeno un altro paio d’ore a cambiare direzione senza preavviso, rincorso dalla polizia. I leader dei gruppi organizzati (alcuni collettivi territoriali, i disoccupati 7 Novembre, sindacati di base) devono confrontarsi con lo spontaneismo dei manifestanti.
«Andiamo alla Regione e facciamo bordello».
«A quest’ora alla Regione non ci sta nessuno, restiamo qua e blocchiamo fino a stasera».
«Andiamocene e convochiamo un corteo per la settimana prossima».
«Sediamoci qua a terra e vediamo che succede».
Alla fine, dopo un diluvio improvviso e qualche altra manovra di blocco tra corso Lucci e corso Garibaldi, il corteo riesce a prendere una decisione definitiva e rientra verso piazza Garibaldi per darsi dei nuovi appuntamenti. Il primo, dovrebbe essere la prossima settimana, probabilmente sotto la sede della Regione. Il secondo, entro il 20 settembre, a Roma, per protestare direttamente in prossimità dei palazzi governativi. (angelo della ragione / riccardo rosa)
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