Tre ore di attesa e un nulla di fatto: era previsto per questa mattina il pronunciamento del giudice sul processo che deciderà il reintegro (o la conferma del licenziamento) per i cinque cassintegrati Fiat allontanati dall’azienda dopo aver promosso un’iniziativa sull’alto tasso di suicidi all’interno delle fabbriche e in protesta contro le politiche di cassa integrazione strategica. I magistrati della Corte d’Appello hanno però deciso di avvalersi di una norma della legge Fornero che consente di emettere sentenza e motivazioni a dieci giorni di distanza dalla fine del processo, rinviando quindi la propria decisione.
L’udienza definitiva del procedimento si era tenuta ieri mattina. In solidarietà dei cinque operai era partito, da piazza Garibaldi, un corteo che ha attraversato la zona di Poggioreale, stabilendosi poi in presidio sotto l’entrata di palazzo Cenni. Più di cento solidali e delegazioni SI Cobas e USB venute in pullman da Bologna e Piacenza hanno aspettato per ore, sotto un imprevisto sole battente, l’esito dell’udienza. Nell’attesa, numerosi interventi di migranti impiegati nella logistica e di rappresentanti sindacali sottolineavano il clima di repressione che si vive sui posti di lavoro in tutto il paese e in tutti i settori, ricordando, a pochi giorni dalla morte, Abd Elsalam e il suo tragico omicidio. Ma dopo tre ore all’esterno del tribunale, la sentenza era stata rinviata a questa mattina.
Da quanto emerso ieri nell’arringa dei difensori Fiat, le tesi accusatorie sono state costruite su tre elementi: a) che non ci fosse relazione tra l’azione dimostrativa degli operai e il suicidio di una loro collega, Maria Baratto, avvenuto pochi giorni prima; b) che non c’è connessione tra il suicidio dell’operaia e la sua condizione di cassintegrata; c) che l’azione dimostrativa avrebbe compromesso la connessione sociale tra l’azienda e i cinque cassintegrati a zero ore. Infine, la condotta dei cinque operai, colpevoli di aver esposto un burattino-Marchionne suicidato, avrebbe configurato un non ben definito caso-limite di istigazione al terrorismo e di lesione del clima di fiducia interno all’azienda, oltre a essere un’azione che non rispetta i limiti del “buon gusto”. Certo, se la satira dovesse andare a lezioni di bon-ton, se non fosse sprezzante del potere e di chi lo detiene, se non rappresentasse in modo estremizzato la realtà e le sue tragedie, che satira sarebbe?
Dopo un’altra notte di attesa, questa mattina c’è stato l’ulteriore rinvio al 30 settembre. I cassintegrati annunciano che, fino a quel momento, resteranno al presidio che hanno allestito in piazza Municipio e comunicano che in caso di parere negativo i loro legali sono già pronti ad avviare l’iter per il ricorso alla Cassazione. C’è da aspettarsi, però, lo stesso dai difensori dell’azienda, in caso di esito contrario al reintegro. L’ennesimo passo di una vicenda che sembra non avere più fine. (andrea pomella)
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