Tre anni e quattro mesi. È questa la pena chiesta dal pubblico ministero Manuela Persico per il carabiniere Giovanni Macchiarolo, che il 5 settembre scorso uccideva con un colpo di pistola il sedicenne Davide Bifolco, al termine di un inseguimento per le strade del Rione Traiano. Il ragazzo era incensurato e disarmato. Il motorino su cui si trovava, assieme ad altri due amici, non si era fermato alla segnalazione di una volante perché aveva l’assicurazione scaduta.
La richiesta del pm è arrivata questa mattina intorno alle dieci e mezza, nel corso della seduta con rito abbreviato all’interno dell’aula 111 del Palazzo di giustizia, provocando la rabbia dei familiari presenti in aula e di quelli rimasti in attesa nel corridoio antistante. Ne è seguita una bagarre durata qualche minuto, durante la quale il procedimento è stato interrotto, prima di riprendere dopo circa mezz’ora, ancora una volta a porte chiuse. Dopo, la parola è passata ai legali della famiglia Bifolco, che pur considerando “congrua” la richiesta rispetto all’imputazione (praticamente il massimo previsto, considerando l’accusa di omicidio colposo, le attenuanti generiche e la decurtazione di un terzo della pena conseguente alla scelta del rito abbreviato) hanno contestato proprio la definizione del capo d’accusa.
Il nodo di questo processo, infatti, è apparso fin da subito la scelta di considerare l’assassinio di Bifolco un omicidio colposo, frutto dell’inciampo del carabiniere Macchiarolo e della sua “imperizia nell’uso delle armi”. Appariva evidente, però, dalle ricostruzioni fatte fin dai giorni successivi all’assassinio di Bifolco, nonché dalle varie testimonianze rilasciate alla Procura, la presenza di almeno due versioni del fatto.
La prima è quella dell’imputato – in contraddizione in alcuni punti persino con quella del suo collega di pattuglia, Giosuè Del Vecchio – che parla di inciampo nel corso di una colluttazione (laddove per colluttazione Macchiarolo intende l’atto o il tentativo di immobilizzare i fuggitivi), successiva al tamponamento del motorino da parte della volante. La seconda, frutto di almeno tre testimonianze, racconta del braccio del carabiniere teso, arma alla mano, verso un bersaglio, e nega categoricamente ogni ipotesi di contatto fisico tra l’agente e i ragazzi che erano a bordo del motorino. Fondamentale è poi l’ascolto delle registrazioni delle comunicazioni avvenute quella notte tra le volanti e la centrale operativa, dalle quali si evince chiaramente che i due carabinieri, Macchiarolo e Del Vecchio, erano certi di trovarsi all’inseguimento di tale Arturo Equabile (ladruncolo venticinquenne, latitante per essere stato scoperto in una sala giochi quando era agli arresti domiciliari) e addirittura millantavano la presenza di un’arma tra le mani dello stesso Equabile, circostanza mai verificata in alcun modo. L’ascolto di questi audio dimostra che Macchiarolo, inseguendo Bifolco, era sicuro di stare inseguendo – in uno stato di particolare eccitazione – Equabile, verso il quale diversi agenti dimostrano (talvolta ammettono) di serbare un particolare rancore, essendogli questi sfuggito in numerose occasioni.
Intorno alle 13,30 il giudice ha decretato l’aggiornamento a una nuova seduta, prevista per il primo ottobre, durante la quale prenderà parola il legale di Macchiarolo, e nel corso della quale si dovrà avere anche una risposta in merito alle questioni riguardanti il capo d’accusa sollevate invece dall’avvocato Anselmo. Il giudice, infatti, potrà comunicare di aver bisogno di ulteriore materiale per prendere una decisione, e in questo caso l’omicidio potrebbe assumere una configurazione giuridica diversa dal colposo. Se il giudice, invece, dovesse ritenere sufficienti gli atti a sua disposizione, ma avere ugualmente un parere contrario rispetto al capo di accusa, potrebbe accettare le eccezioni sulla costituzionalità del procedimento, dal momento che il rito abbreviato non prevede la possibilità di un cambiamento, a meno di integrazioni probatorie.
Resta, tuttavia, grande incertezza sull’esito del processo. Le possibilità che le richieste di supplemento di indagine, le obiezioni sul capo d’accusa e l’incostituzionalità del procedimento possano essere accolte, non sembrano tantissime. In questo caso sarà il giudice, Ludovica Mancini, a decidere sulla morte dell’adolescente e a stabilire una condanna per il carabiniere che l’ha ucciso, che non potrà andare oltre i tre anni e quattro mesi chiesti dal pubblico ministero. «Qualche mese in meno – raccontava oggi la signora Flora, mamma di Davide Bifolco – di quella subita dall’altro mio figlio, per il reato di tentato furto». (riccardo rosa)
Leave a Reply