Nell’ambito del ciclo di incontri “Lo stato della polizia”, organizzato da Acad, I fiori blu e Monitor, sarà presentato sabato 1 aprile, a Roma, il libro Polizia e migranti in città. Negoziare il confine nei contesti locali, di Giulia Fabini.
Del libro si parlerà alla libreria I fiori blu (via Antonio Raimondi, 35), a partire dalle ore 18:30. Con l’autrice intervengono Yasmine Accardo, Michele Colucci ed Enrico Gargiulo.
Pubblichiamo a seguire La produzione di (quale?) ordine, estratto dal secondo capitolo del libro.
LA PRODUZIONE DI (QUALE?) ORDINE
La ricerca sulla polizia negli studi dei classici ha smontato l’idea per cui la polizia servirebbe la lotta alla criminalità. Ci dice, invece, che la polizia esercita il proprio potere discrezionale al fine del mantenimento dell’ordine, agendo sulla base di una concezione di quali siano i valori dominanti della società in cui opera. Una società caratterizzata da rapporti di forza di dominio e subordinazione. Ciò che viene imposto non sarebbe l’ordine in sé, ma un ordine ben preciso, che corrisponde a quello ritenuto tale dalla classe dominante (Stott, 2016).
In Policing citizens, Waddington sostiene che il potere di polizia si definirebbe per l’esercizio dell’autorità. Differentemente da Bittner, che aveva sostenuto che questo si distinguerebbe per la possibilità di ricorrere in ogni momento all’uso della forza, Waddington ritiene che ciò che la polizia fa, in ogni momento, è di esercitare autorità: la polizia esercita autorità in ogni attività, laddove decida di agire o di non agire (almeno in apparenza), di utilizzare la forza o meno.
Pensare alla polizia come esercizio di autorità permette di collegare le pratiche ad un livello più elevato di analisi, ovvero ad un ragionamento intorno al ruolo che più in generale l’istituzione poliziale riveste all’interno della società in cui opera. Infatti, il principio di autorità individuato da Waddington lega il concetto di Polizia a quello di Stato e, dunque, si aggiunge qui, a quello di Cittadinanza: la polizia esercita autorità nei confronti dei cittadini. Per poter utilizzare la violenza legittima contro i cittadini, la polizia ha bisogno di una fonte di legittimazione: presentarsi come colei che contrasta la criminalità fornisce quella legittimazione necessaria.
L’idea di base, infatti, è che chi commette reati – i “criminali” – si autoescluda dalla comunità dei membri e che, come tale, può diventare ricettore anche dell’utilizzo della forza da parte della polizia – è la necessità di questa fonte di legittimazione il motivo per cui la polizia spenderebbe così tante risorse già solo nel tentativo di mostrarsi attiva ed efficace nella lotta alla criminalità. Mentre il potere militare viene utilizzato contro i non-cittadini, i cittadini sono sottoposti al potere di polizia: non devono temerlo ma devono rispettarlo. Quindi, non è solo la possibilità dell’utilizzo della forza, così come postulato da Bittner, a caratterizzare il potere di polizia, ma il fatto che questa forza venga utilizzata contro i cittadini.
Nel decidere su chi, tra le varie persone presenti in un territorio, esercitare il proprio potere e la propria autorità e nel valutare come farlo, la polizia svolge anche la delicatissima funzione di sorvegliare i confini della cittadinanza. Il potere esercitato nei confronti dei cittadini è differente da quello esercitato nei confronti dei non-cittadini. Ma chi decide dell’appartenenza? Si potrebbe pensare che, in qualche misura, il potere di polizia sia anche performativo: esercitare il potere in un certo modo implica anche l’appartenenza o non appartenenza di un dato soggetto alla cittadinanza. Non solo: “come l’autorità verrà esercitata riflette la relazione tra stato e cittadino” (Waddington, 1999). Infatti, i diritti del cittadino pongono un limite all’autorità di polizia, ma questo significa anche che l’autorità di polizia incontra limiti più blandi laddove abbia a che fare con certi individui che non siano completamente cittadini:
The extent that the civil population are regarded as citizens with rights, the exercise of state authority by the police is restrained. However, policing is not simply restrained or unrestrained per se, but tends to be restrained when dealing with some members if the civil population and less so when dealing with others. This draws our attention to how citizenship develops unevenly amongst the civil population and is contested by those seeking or denying this status.¹
Il comportamento della polizia nei confronti dei diversi soggetti presenti in un territorio diventa una lente prospettica da cui guardare alla cittadinanza, nel senso di appartenenza. Anche in questo senso diventa allora importante osservare l’utilizzo della discrezionalità. Ma se non è il diritto che guida l’utilizzo del potere discrezionale da parte della polizia, cos’è che lo guida? È “la concezione che i poliziotti hanno di quali siano i valori sociali che vanno autoritativamente imposti, se necessario, su chi è ricalcitrante”. Ma i poliziotti non sono individui che impongano valori individualmente scelti. La discrezionalità non è operata da “lone individuals on a case-by-case basis” (ivi): “The exercise of police discretion is intrinsically discriminatory, because it imposes dominant social values upon subordinate sections of the population – it is the imposition of respectability”² (ibidem).
La polizia esercita il potere discrezionale di “keep people in their place” e il principio in base al quale lo fa è la rispettabilità. Ma c’è un problema, che coincide proprio con la definizione di rispettabilità. Che a sua volta si lega anche con la concezione di cittadinanza. Il patrolling inizia a diventare sempre più incerto a partire dagli anni Sessanta, perché ciò che inizia a diventare precaria è la definizione stessa di rispettabilità: chi definisce cosa sia rispettabile e cosa no in una società in continua trasformazione? In una società sottoposta a cambiamento, la cittadinanza stessa, intesa nel senso di appartenenza, inclusione, cittadinanza sostanziale e non già formale, non è data una volta per tutte, ma è in continua evoluzione. Secondo Waddington, la polizia compie il primo passo nel processo di criminalizzazione dei gruppi “il cui stile di vita offende i valori rispettabili prevalenti”, una criminalizzazione che legittima la loro esclusione e subordinazione, poiché il criminale è una persona che è “oltre i confini morali di una società” (ibidem).
La polizia, più che controllare la commissione di un reato, fa opera di contenimento della criminalità tenendo gli esclusi a loro posto e, allo stesso tempo, raggiunge anche un altro scopo: mandare un messaggio rassicurante a chi si trova in una posizione dominante all’interno della società che non deve temere i custodi del monopolio legittimo della forza da parte dello Stato né di perdere la propria posizione di privilegio. Nel frattempo, concentrano la propria attenzione verso i marginals and dispossessed, perché pongono una minaccia ai valori dominanti della società e, nel farlo, di fatto li privano proprio della loro cittadinanza.
In questo senso, la polizia sorveglia i confini della cittadinanza: la cittadinanza dei “rispettabili” è assicurata, mentre coloro che in varie maniere attaccano lo Stato escludono sé stessi da questa. Tra questi estremi, ci sono coloro la cui cittadinanza è insicura e deve essere rinegoziata continuamente: questi sono “proprietà di polizia” e gli operatori di polizia sono de facto arbitri della loro cittadinanza.
Una categoria di persone diventa “proprietà di polizia “when the dominant powers of society (in the economy, polity, etc.) leave the problems of social control of that category to the police”³ (Lee, 1981). Tale categoria è costituita dai soggetti che fanno parte dei gruppi più marginali e senza potere all’interno di un dato contesto sociale. Esempi di police property sono i vagabondi, gli “alcolizzati”, i “tossicodipendenti”, i “disoccupati”, i “giovani devianti”, le minoranze etniche, i “gay”, le “prostitute”, gli attivisti politici radicali: “the prime function of the police has been to control and segregate such groups, and they are armed with a battery of permissive and discretionary laws for this purpose”⁴ (Bowling et al., 2019).
La maggioranza della popolazione è preparata a lasciare alla polizia la libertà di gestire la propria “proprietà” come ritiene più opportuno, chiudendo un occhio di fronte ad atteggiamenti discriminatori o illegali. In generale, altri autori avevano osservato che la polizia divide la popolazione in categorie allo scopo del mantenimento dell’ordine. Oltre alla police property, ci sono: i good-class villains, ovvero criminali di professione, di alta classe, colletti bianchi; rubbish, cioè coloro le cui chiamate e richieste di intervento non sono importanti e anzi non sono considerate che una perdita di tempo; challengers, ovvero coloro che hanno il potere di mettere in difficoltà la polizia, come ad esempio dottori, avvocati, giornalisti, ricercatori; disarmers, soggetti già vulnerabili, come anziani e bambini, verso cui la società possiede un’alta sensibilità e che in ogni caso sono di difficile gestione per la polizia (come vittime, accusati, o testimoni) e la espongono a critiche da parte dell’opinione pubblica (Holdaway, 1991); do-gooders, cioè coloro che monitorano l’attività di polizia, come chi fa parte dei movimenti per i diritti civili; politicians, sempre guardati con sospetto, o perché idealisti o perché corrotti (Bowling et al., 2019). A questi non si può non aggiungere la categoria degli assholes (Van Maanen, 1978), ovvero di coloro che non riconoscono l’autorità della divisa – chiunque può diventare improvvisamente uno “stronzo” nel corso di un’interazione, non importa di quale categoria faccia parte in origine (Gargiulo, 2015).
In conclusione, ciò che preme rilevare è il paradosso per cui l’applicazione e la riaffermazione della legislazione sull’immigrazione irregolare viene massimamente affidata ad un’istituzione il cui compito principale non è quello di applicazione della legge ma di mantenimento dell’ordine. Anzi, se riaffermazione della legge avviene, avviene più che altro per via incidentale. La legge, cioè, nell’attività di controllo del territorio, viene usata dalla polizia più che altro come “strumento per risolvere certi urgenti problemi pratici” (Bittner, 1967) e non come fine in sé. Il compito di order-maintenance – o di mantenimento del disordine entro certi confini di tollerabilità (Palidda, 2000) – non richiede la compresenza dell’attività di law-enforcement, ma può comunque utilizzare il diritto per produrre e riprodurre un certo ordine.
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¹ Nella misura in cui la popolazione civile è considerata un insieme di cittadini con dei diritti, l’esercizio dell’autorità statale da parte della polizia è limitato. Tuttavia, l’attività di polizia non è semplicemente “limitata di per sé”, ma tende a essere limitata quando ha a che fare con alcuni membri della popolazione civile e meno quando ha a che fare con altri. Questo richiama la nostra attenzione su come la cittadinanza si sviluppi in modo diseguale e sia contestata da coloro che negano questo status. (traduzione di napolimonitor)
² L’esercizio della discrezionalità della polizia è intrinsecamente discriminatorio, perché impone i valori sociali dominanti alle fasce subalterne della popolazione – è l’imposizione della rispettabilità. (traduzione di napolimonitor)
³ […] quando i poteri dominanti della società (nell’economia, nella politica, ecc.) lasciano alla polizia il controllo sociale di quella categoria. (traduzione di napolimonitor)
⁴ La funzione principale della polizia è stata quella di controllare e segregare tali gruppi, e a questo scopo è stata armata di una serie di leggi permissive e discrezionali (traduzione di napolimonitor)
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