Nel corso della primavera 2022 l’amministrazione comunale di Milano decide di celebrare pubblicamente i risultati del progetto Piazze Aperte, un programma di urbanistica tattica avviato da qualche anno con la consulenza-collaborazione di Bloomberg Associates, l’organizzazione filantropica messa in piedi dall’ex sindaco di New York Michael Bloomberg alla fine del suo mandato di governo. Nel corso di un lunghissimo show all’americana sfilano sindaco, assessori, funzionari, esperti, membri di associazioni; vengono elencati numeri, mostrate fotografie di molti spazi liberati dalle auto parcheggiate, con l’asfalto dipinto a strisce o a pois, arredati di tavoli da ping-pong, piante in vaso e panchine; si tratta di sistemazioni pedonali temporanee, esperimenti low cost: se hanno successo, si popolano di persone felici di usarle, diventano permanenti, altrimenti tutto torna come prima.
Il caso presentato con maggiore orgoglio è piazza Arcobalena, fino a qualche anno fa un incrocio difficile da attraversare di fronte a una scuola elementare e ora colorato spazio di ritrovo per i bambini. Il motivo per cui è tanto importante mostrare proprio questa piazza come un successo risiede nella sua collocazione a NoLo, ossia North of Loreto – un quartiere situato tra piazzale Loreto e Turro, Gorla, Precotto, Crescenzago – gentrificato in pochissimo tempo a tavolino, il miglior prodotto milanese di un marketing urbano aggressivo giocato sui valori della multietnicità e della comunità Lgbtqi+. Il più riuscito dal punto di vista della rendita, naturalmente; gli abitanti poveri espulsi avranno una percezione sicuramente diversa.
La piazza “con i tavoli da ping-pong”, altrimenti detta “quella accanto a piazza Morbegno”, è andata a installarsi, nel settembre 2019, in una zona che aveva già l’aspirazione a gentrificarsi, come testimoniano i progetti che da anni si susseguivano su piazzale Loreto. Diventata da subito attrattiva per le sue dimensioni ridotte, per la presenza di molte panchine e per il suo essere idealmente isolata, quindi un luogo intimo e in effetti godibile, ha contribuito a far diventare più appetibili zone dove fino a dieci anni prima nessuno, potendo scegliere, voleva abitare. Punteggiandosi di locali, si è intessuta una rete che ha fatto cascare la Zona 2 nella trappola della speculazione, come emerge dai dati che periodicamente evidenziano il graduale aumento dei prezzi al metro quadro degli immobili della città. Tutto ciò che si trova a nord di piazzale Loreto, dal cuore pulsante di NoLo alle profondità di viale Monza e via Padova, si attesta su un tragico quaranta per cento in più in sette anni, che a cascata significa: sfratti, sgomberi, aumento dei prezzi ai supermercati e zone di consumo economicamente inaccessibili agli abitanti.
In ogni modo, la forza retorica delle immagini che mostrano il passaggio da un parcheggio disordinato a un’oasi popolata di giovani e giovanissimi che corrono e giocano e socializzano è potenziata dalla simbolica diversity di cui NoLo si è autoproclamato epicentro milanese: come in una pubblicità ben costruita, la folla che si riunisce in questo spazio appare una rappresentazione perfetta del più rassicurante dei melting pot, senza distinzioni di genere e culture. Il messaggio è chiaro: con l’aiuto dell’urbanistica tattica, che libera spazi pubblici per la socialità, la città pubblica e quella privata collaborano a espandere i quartieri più vibranti di Milano, valorizzando ogni metro quadro nella più perfetta inclusività.
Nell’autunno del 2022 il Comune tenta di istituire a piazza Arcobalena uno dei tanti Patti di collaborazione attivati a Milano negli ultimi anni: una sorta di delega diffusa della gestione di piccole porzioni di spazio pubblico a esponenti della cittadinanza attiva, prevalentemente piccole associazioni di quartiere o enti no profit di maggior rilievo, che offrono il vantaggio di liberarsi dell’onere materiale della manutenzione e dell’animazione di porzioni di territorio mantenendone il controllo (esercitato dalle reti del terzo settore coinvolte) e simulando, a beneficio dei media più collaborativi, la pratica della partecipazione.
In questo caso però il Patto non viene attivato per la manutenzione, ma perché è sorto un problema. I residenti della piazza non hanno apprezzato la socialità notturna animata da un paio di locali – urla e schiamazzi prodotti dalla folla fino a ore molto tarde, musica da stereo portatili, sporcizia.
Pedonalizzare una piazza in un quartiere “vibrante” ha in effetti una probabilità altissima di produrre eccessi di vibrazioni, è più una tautologia che una conseguenza logica. Un bar prima insignificante si trova all’improvviso a fatturare come non aveva mai osato sperare, e gli abitanti da un giorno all’altro perdono il sonno. La privazione di sonno, si sa, è una tortura, e chi la subisce diventa nervoso. E così miti residenti si trasformano in attivisti. Ma le loro proteste guastano l’immagine dell’armonia universale. Il quadretto allegro della piazza multiculturale e multigenerazionale va in pezzi. La piazza diventa uno spazio pubblico conteso, un terreno di scontro. L’urbanistica tattica divide invece di unire, produce violenza invece che gioiosa cooperazione.
Lo scontro esplode, diventa visibile: il Comune deve scegliere tra l’ammissione del fallimento della Piazza Aperta e l’adozione di misure sanzionatorie – inibizione del consumo e commercio, polizia, multe, ripristino dell’ordine pubblico, tutte cose che sfigurano, contrastano con l’immagine cool e giovane che tenta ogni giorno di costruire. E allora sceglie la terza via, il Patto di collaborazione, un dispositivo progettato per soffocare i conflitti per mezzo del nudging, cioè una “spinta gentile” verso la collaborazione volontaria.
Coordinato da Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà – un’associazione che promuove attraverso consulenze, formazione e pratiche l’attivazione dei cittadini nella società, ovvero le partnership pubblico-privato-terzo settore –, la costruzione del patto prende avvio per la “fase di ascolto” con Piperà, un’altra associazione che si occupa di psicologia della comunità e psicologia sociale, intese come “promozione dell’empowerment” e “riduzione dei pregiudizi, degli attriti tra gruppi e tra persone”. Per i due incontri di negoziazione tra i partecipanti Labsus ha invece scelto di avvalersi di A Better Place, un’organizzazione legata alla diffusione dell’economia comportamentale in tutti i campi, costola del centro di ricerca Iescum e in rete con l’università Iulm e l’agenzia di neuromarketing Ogilvy.
Gli ultimi due incontri di “co-progettazione” sono invece gestiti direttamente da Labsus alla presenza degli attori coinvolti: oltre ai mediatori – o “facilitatori” – l’istituzione pubblica, gli abitanti, il comitato residenti NoLo, il comitato genitori della scuola Ciresola, l’Off Campus NoLo del Politecnico (uno spin-off per “fare ricerca sul campo”), l’associazione Fas (che da anni è attiva per valorizzare i Magazzini Raccordati vuoti sotto i binari della stazione centrale, a due passi dalla piazza), Legambiente e NoLo Fringe Festival (un’associazione che promuove teatro sperimentale molto attiva nel quartiere). In tutto una dozzina di persone. Tra cui, incredibilmente, mancano i commercianti della piazza, e, in maniera più prevedibile, i suoi frequentatori notturni.
Quale può essere la credibilità di un processo di mediazione se al tavolo è assente una delle controparti? Che tipo di negoziazione è quella messa in campo? Quale può essere il suo scopo?
Per capirlo bisogna ricostruire la filosofia del nudge, della “spinta gentile”, titolo del libro fondativo di Thaler e Sunstein che sta plasmando linguaggi e pratiche della partecipazione contemporanea: l’assunto di fondo è che occorre usare a fin di bene l’irrazionalità umana, indirizzando le decisioni in termini migliorativi e spingendo gentilmente l’individuo a scegliere ciò che è meglio per sé e per la società. Prendendo le mosse da questa incapacità strutturale della gente di riconoscere il Bene, delle persone evidentemente superiori (i facilitatori) dovrebbero quindi sfruttare i loro bias cognitivi e le loro pulsioni creando delle cornici narrative alternative entro le quali creare delle scelte condizionate. È una specialità che prende il nome di architecture of choice, architettura della scelta, e guarda caso le agenzie-associazioni che se ne occupano spesso lavorano sia sul fronte del marketing che della partecipazione. Il principio che la anima è che bisogna rifuggire la regolazione esplicita, e ancora di più il piano delle sanzioni dirette.
Applicando la tecnica alla specifica situazione della piazza Arcobalena, i facilitatori sono partiti dal ridurre le proteste dei residenti insonni allo status di pregiudizi, posizioni ostili alla socialità e alla condivisione della piazza con le altre comunità. La mossa successiva è stata quella di classificare i reclami come “bisogni”, e trascriverli su dei post-it (strumenti rituali di ogni processo partecipativo contemporaneo) raggruppandoli insieme ad altri “desideri” espressi da altri gruppi di partecipanti: quindi “più controlli” e “regolazione degli orari”, per dire, insieme a “più piante” o “più panchine” o “nuove attività per bambini”. Voilà, come per magia il conflitto è già scomparso. Non ci sono antagonisti, i desideri non competono tra loro. Si tratta a questo punto solo di armonizzarli e assegnare a ognuno i compiti e le responsabilità per “prendersi cura tutti insieme” del bene comune, la piazza così com’è. E come?
Dando prova di scarsa fantasia, la soluzione degli esseri superiori è: costruendo tutti insieme (tranne i commercianti che, assenti, possono continuare beatamente a vendere tale e quale a prima) una nuova narrazione della piazza, esponendo dei cartelli con delle regole condivise (non si sa da chi) e organizzando spettacoli ed eventi per bambini o altri avventori, ovviamente in orari diurni, in modo da “riappropriarsi della piazza” e “mostrare che non è una terra di nessuno”.
L’epilogo di questa patetica commedia non è ancora scritto: il Patto non è stato ancora chiuso e celebrato, e difficilmente gli abitanti e i comitati accetteranno di rinunciare alle proprie richieste in cambio di qualche didascalico show. Ma qualunque sia l’esito di questo conflitto, il diffondersi della spinta gentile è un fenomeno molto insidioso. A livello territoriale, per esempio, il grande intervento di rigenerazione di piazzale Loreto, destinato a dare la botta finale alla gentrificazione di via Padova-viale Monza fino a Gorla-Crescenzago è già impostato su un programma di partecipazione-nudging a grande scala. E il “dibattito” sull’abbattimento-
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