«Appena la vedi dici: è facilissimo intervenire a Trieste. Poi dopo un quarto d’ora dici: andiamoci piano, perché i guai che uno può fare possono essere enormi». La frase è del famoso architetto Massimiliano Fuksas ed è stata pronunciata nella scorsa primavera durante una conferenza stampa con il sindaco Roberto Dipiazza in cui si annunciava il coinvolgimento dell’architetto romano nella progettazione delle stazioni della cabinovia (spesso “ovovia” per chi abita a Trieste) che il comune di Trieste ha previsto di costruire fra il porto vecchio e l’altopiano del Carso.
Secondo il comune, la cabinovia dovrebbe collegare due dei livelli su cui si articola Trieste: il Carso, con la comunità di Opicina, e il porto vecchio, con il centro città nelle vicinanze. Di solito abbastanza prudente, la giunta guidata da Dipiazza (al quarto mandato come sindaco) ha deciso di fare di tutto per realizzare il progetto e sta procedendo a tappe forzate per rispettare i tempi imposti da Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che dovrebbe finanziare l’opera con circa quarantotto milioni di euro.
L’idea ha suscitato all’inizio una certa incredulità in città: la prospettiva di costruire un sistema di trasporto a fune sospeso in un posto noto per le frequenti giornate di vento forte sembrava inverosimile. Invece il Comune è andato avanti e a dicembre è stata approvata una variante del piano regolatore con successivo bando di gara per individuare un’impresa che dovrebbe curare sia la realizzazione del progetto esecutivo sia la costruzione dell’opera.
Chi si oppone al progetto – collettivi, singoli cittadini e il comitato No Ovovia, di cui fanno parte anche associazioni come il Wwf e Adesso Trieste – si sta muovendo da tempo per ostacolare l’opera: all’inizio del 2022 ha in pochissimo tempo raccolto le firme necessarie per proporre un referendum cittadino sul tema. Il Comitato dei garanti composto ad hoc ha però dichiarato inammissibile il quesito, perché la costruzione della cabinovia andrebbe oltre la competenza comunale. Inoltre, essendo fra i progetti finanziati dal Pnrr, la cabinovia deve essere realizzata in tempi stretti e il referendum, anche se solo consultivo, avrebbe rappresentato un ostacolo. Il comitato ha però continuato a darsi da fare, sostenendo che i conti economici presentati dal Comune prevederebbero l’utilizzo dell’ovovia da parte di un numero di passeggeri sovrastimato e che quindi l’opera, una volta terminati i soldi del Pnrr, finirebbe per causare delle ingenti perdite alle casse pubbliche, a fronte di un beneficio minimo in termini di riduzione del traffico automobilistico e con un forte impatto sull’equilibrio ambientale del territorio. Si sta anche valutando la possibilità di ricorrere al Tar per verificare la regolarità di alcuni atti amministrativi alla base del progetto.
Dopo essere stata accusata a lungo di opacità nella gestione del progetto, lo scorso 5 dicembre la giunta comunale ha accettato di parlare dell’opera durante un consiglio straordinario chiesto dalle opposizioni. In contemporanea, e nonostante una giornata piovosa e ventosa, alcune centinaia di persone si sono riunite in piazza Unità, sotto alle finestre della sala del consiglio comunale, per ascoltare gli interventi. Le osservazioni proposte non hanno però ricevuto risposte nel merito da parte del sindaco Dipiazza che, prima di abbandonare la seduta, si è limitato a far notare che Trieste secondo la classifica annuale del Sole 24 ore risulta spesso una delle città italiane con la migliore qualità di vita.
Roberto Dipiazza ha caratterizzato la vita politica negli ultimi venticinque anni di Trieste e della vicina Muggia, dove è stato sindaco prima di vincere per la prima volta le elezioni nel capoluogo regionale nel 2001: da allora è sempre rimasto sindaco, a parte una parentesi fra il 2011 e il 2016. Con alle spalle diversi anni di gestione di un’attività commerciale, Dipiazza ha dimostrato un certo talento nel riuscire a ottenere il consenso di una città con un’età media alta e con uno spirito abbastanza conservatore, proponendo un atteggiamento rassicurante da buon padre di famiglia, sempre preoccupato di far quadrare i conti. La Trieste di Dipiazza è una città incline ad accontentarsi di quello che ha: il mare, il Carso, una stupenda piazza centrale e un’area limitrofa elegante e ordinata, dove si può andare per fare compere e bere un caffè. L’idea di costruire la cabinovia va quindi in controtendenza. Nella stessa conferenza stampa richiamata all’inizio di questo testo, il sindaco aveva d’altronde dichiarato che «Trieste è una città che sta correndo come poche altre in Italia» grazie agli investimenti di alcune aziende e al forte aumento del numero di turisti, dovuto anche alla deviazione delle rotte delle grandi navi che hanno ora delle limitazioni per l’attracco a Venezia.
Questo quadro ottimistico presentato dal sindaco mostra però alcune crepe: la macroarea triestina è caratterizzata da una marcata deindustrializzazione a cui il comune sembra voler rispondere proprio inserendo la città all’interno di percorsi turistici di massa, senza tenere conto che la diversità degli impieghi renderebbe difficile ricollocare in questo settore chi perde il lavoro in fabbrica. I prezzi delle abitazioni, di solito abbastanza bassi, stanno nel frattempo crescendo e un aumento della presenza di turisti rischia di complicare ancora la ricerca di case in affitto. Bisogna notare infine che il Porto vecchio, un’area abbastanza centrale ma utilizzata solo in piccola parte e piena di antichi magazzini, è al centro di un progetto più ampio che prevede la realizzazione di un nuovo museo del mare e di un’area verde.
Dando le spalle al mare si può notare bene quanto la città si sia estesa negli anni, spesso in modo disordinato, lungo le pendici di quello che, dopo qualche centinaio di metri di salita, diventa l’altopiano del Carso. Trieste occupa alcune delle vallate che congiungono l’altopiano al mare. Rimane intatta una fascia di vegetazione sotto la strada napoleonica, una passeggiata realizzata nel XIX secolo facendo saltare una parte della montagna con la dinamite, e il bosco Bovedo. A quest’ultimo si può accedere dalla ripida via Bonomea, uno dei collegamenti fra il Carso e il mare. Ci si lascia alle spalle un piccolo gruppo di case e poi ci si trova in mezzo ad alberi fitti e non molto alti. Un sentiero permette di superare la vallata e di raggiungere uno spazio da cui si vedono bene il mare e il faro della Vittoria, costruito negli anni Venti. Proprio al lato del faro e poi all’interno del bosco dovrebbe passare il tracciato della cabinovia: il Comune, anche tramite uno studio di impatto ambientale datato dicembre 2022, garantisce che l’alterazione dell’area sarebbe minima, ma calcolando la posa dei piloni e la necessità di avere delle vie di accesso per i lavori e per i soccorsi, questa affermazione desta perplessità.
Al di là dell’analisi del progetto della cabinovia, infine, viene da chiedersi come l’enfasi sulla sostenibilità (un concetto di cui si fa sempre più fatica a tracciare i contorni) si possa coniugare con l’incentivazione di un settore a forte impatto come l’accoglienza delle grandi navi da crociera. Camminando lungo i sentieri che congiungono la costa triestina all’altopiano torna in mente la frase di Fuksas: intervenire senza aver valutato tutti gli elementi in un contesto come quello triestino può provocare enormi danni. È bene tenerlo a mente. (alessandro stoppoloni)
Leave a Reply