L’estate scorsa Paola Imperatore ci aveva mandato una cartolina dalla Sicilia, che pubblicammo nel numero 7 de Lo stato delle città. Ci sembra un testo destinato a restare a lungo di estrema attualità, per questo lo riproponiamo a un anno di distanza.
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Quest’estate mi sono ripromessa di mandare qualche cartolina dalle vacanze. Poche righe, come vuole la prassi, dietro la solita immagine da sogno: “Ciao amica, qui è bellissimo. L’estate sembra non finire mai, c’è sempre il sole!”. E un ACAB, o qualcosa che simboleggiasse il nostro odio verso questo sistema, come al solito insomma. Poi però ho pensato che non fosse giusto mentire, ma nemmeno usare toni catastrofisti del tipo: “C’è sempre il sole! Sì! Quest’anno ha picchiato veramente duro. E le distese nere e l’odore di bruciato hanno preso il posto dei colori e degli odori che cercavo nel paesaggio. I torrenti sono quasi prosciugati. La pioggia! Quella aiuta, ma quando arriva fa paura come una bomba, lasciandosi dietro macerie. E il mare sì, è veramente bello, ma è assalito dalle trivelle e dai turisti…”.
Però la voglia, e soprattutto l’urgenza, di raccontare quest’estate mi è rimasta. Questi mesi, in cui mi sono trasferita a Catania, sono stati importanti per capire cos’è davvero la crisi climatica e per cominciare a parlarne a partire dal mio vissuto.
Fino a qualche anno fa me la raffiguravo con la classica immagine dell’orso polare sulla calotta di ghiaccio in scioglimento. Quell’immagine rappresenta l’imminenza della crisi. Al tempo stesso, finiva col farmi sentire distante dal problema. L’insorgere dei movimenti per la giustizia climatica ha stimolato una riflessione collettiva sulla crisi ecologica, evidenziando le relazioni che intercorrono tra l’orso che tenta di salvarsi e il fenomeno della migrazione climatica, tra la deforestazione e il diffondersi della pandemia, aiutandoci a mettere in relazione la crisi climatica con le condizioni materiali di vita.
Eppure, tutto questo mi sembrava ancora un problema che chiamasse in causa il futuro. Uno scenario catastrofico, ma ancora nebuloso, difficile da immaginare nei dettagli. Invece, qualche assaggio di questo imminente futuro l’ho avuto. Lo abbiamo avuto. Ed è questa la cartolina che si può scrivere da un pianeta in fiamme. Una cartolina che non può restare a invecchiare tra le pagine di un libro di un’amica, ma è destinata a ogni abitante del pianeta:
“Ciao! La Sicilia è un posto meraviglioso ma c’è troppo caldo. Il 29 luglio si sono registrati 45°C, con un forte vento di scirocco, ed era impossibile aprire le finestre. Per fortuna ho il privilegio di avere una casa, un ventilatore e un frigorifero. Nonostante ciò, la giornata è stata invivibile. Il ventilatore girava aria caldissima, l’acqua si riscaldava non appena uscita dal frigo, a un certo punto non usciva nemmeno più dai rubinetti. Mi mancava l’aria e ho iniziato a provare un forte senso di angoscia. A un certo punto ho sentito odore di bruciato. Dalla finestra ho visto una fumata nera. A Catania quel giorno si sono contati centoventi piccoli focolai di incendio, molti dei quali sono stati spenti dagli stessi abitanti o proprietari dei terreni, visto che i Canadair non arrivavano.
“Ho provato a lavorare, a leggere, a fare qualcosa, ma non avevo le energie sufficienti. Mi sono chiesta se un giorno i padroni ci riconosceranno il diritto di restare a casa e non lavorare a causa delle temperature. Perché mentre io ho chiuso il pc e ho rimandato il lavoro ai giorni seguenti, la stragrande maggioranza delle persone erano nei rispettivi luoghi di lavoro, a servire per quattro euro l’ora la granita ai turisti, a vendere la frutta al mercato, a lavorare nelle cucine dei ristoranti, a raccogliere frutta e ortaggi nei campi, a sistemare le auto, a cambiare la bombola del gas in qualche casa facendo su e giù per le scale…
“I giorni successivi non sono stati migliori. Gli incendi hanno continuato a proliferare, in Sicilia sono bruciati migliaia di ettari, una superficie pari a centomila campi di calcio. E non si capisce bene quanti di questi incendi siano dovuti a condizioni ambientali, e quanti invece non siano frutto di precise strategie economiche. Diversi gruppi, tra cui Coldiretti, hanno denunciato il ruolo delle aziende interessate alla realizzazione di impianti agro-fotovoltaici nell’ondata di incendi che ha colpito la Sicilia. Pare che, bruciando i terreni e abbattendo la loro capacità produttiva, sia più facile convincere i contadini a venderli e modificarne la destinazione d’uso. Inoltre, la gestione privata dei mezzi di soccorso come i Canadair rende non solo costose ma anche poco trasparenti le operazioni di spegnimento degli incendi.
“L’11 agosto a Floridia, in provincia di Siracusa, si è arrivati a 48.8°C, la temperatura più alta mai registrata in Europa. Le ondate di calore stanno diventando sempre più frequenti e la loro durata più estesa. Durante una di queste ondate, il ministero della sanità ha pubblicato delle linee guida per fronteggiare il caldo estremo. Si tratta, più o meno, delle solite dritte che danno nei tg ogni estate: non uscire nelle ore più calde (valido solo per chi ha il privilegio di poter non lavorare), pasti leggeri, non bere alcol e caffeina, e così via. Riferendosi all’ambiente domestico, il ministero scrive: ‘Quando la temperatura interna supera i 32°C, l’uso del ventilatore è sconsigliato perché non è efficace per combattere gli effetti del caldo’. Con 45°C all’esterno, e pochi meno all’interno, il ventilatore è completamente inutile. Ho pensato, di nuovo, a come il caldo colpisse in modo differenziato in base allo status sociale. E chi può permetterselo un sistema di aria condizionata? Io no di certo! Insomma, grazie governo per queste informazioni, ma puoi fare di meglio.
“Così, mentre mi agitavo insofferente nel letto bestemmiando contro i devastatori del pianeta e quelli che ora si presentano come i nostri salvatori, leggevo dei 52°C raggiunti in due città: Jacobadad in India e Ras Al Khaimah negli Emirati Arabi. In entrambi i casi, le elevate temperature sono state accompagnate da tassi di umidità del novanta per cento. Questo significa che il sistema di termoregolazione dell’essere umano entra in cortocircuito, non riuscendo a sudare e a mantenere così la regolare temperatura corporea. Se il corpo non disperde il calore vi possono essere gravi conseguenze, fino alla morte. A Ras Al Khaiman sono state provocate piogge artificiali – il cosiddetto cloud seeding – per combattere l’ondata di calore. In Canada, tra fine giugno e inizio luglio, si sono registrate temperature altissime e ogni giorno veniva battuto il record di temperatura del giorno prima: 46,1°C, 47,9°C, 49,6°C. Circa venti gradi sopra la media stagionale. Sono nati e si sono propagati in pochissimo tempo incendi devastanti. Sono morte centinaia di persone, più di settecento in una settimana, una parte significativa connessa all’aumento delle temperature. I più fortunati si sono chiusi nelle proprie case dotate di tutti i comfort necessari, per gli altri le istituzioni hanno messo a disposizione spazi pubblici con aria condizionata e allestito centri di emergenza, seppure con ritardo. Questo ha causato il sovraffollamento di alcune strutture, aumentando il rischio di contagio da Covid-19 tra i presenti.
“Sempre durante la prima metà di agosto, ogni giorno c’era un servizio di Local Team (che persevera nel chiamare maltempo ciò che si chiama cambiamento climatico, ma come glielo dobbiamo dire?): incendi in Sardegna, Calabria, Abruzzo, alluvioni e frane nel comasco, violente grandinate nel parmense, acqua alta a Venezia. Ho pensato: ‘Ah bè, piove sul bagnato’. Se colleghiamo gli effetti congiunti di anni di politiche di devastazione ambientale – che hanno prodotto condizioni di grave dissesto idrogeologico – e gli eventi climatici estremi legati al surriscaldamento del globo, il risultato è a dir poco drammatico. Forse sbaglio a usare la parola eventi, perché non si tratta di eventi isolati ma di un processo consapevole di devastazione le cui manifestazioni possono essere improvvise, ma di certo non imprevedibili. Forse dovrei iniziare a chiamarle manifestazioni della crisi climatica.
“In quei giorni mi sono chiesta ‘chissà se esiste un genere narrativo legato alla crisi climatica?’. Sono andata in libreria e ho chiesto, specificando che cercavo libri che raccontassero l’esperienza della crisi climatica ma non fossero distopici. Il libraio mi ha detto: ‘Ah, hai fatto bene a specificare che non ti interessano quelli distopici. Allora niente, non mi viene in mente niente’. Così mi sono chiesta ‘perché inventare uno scenario catastrofico e distopico quando l’inferno è qui, ora? Perché non raccontare di questo? Perché non partire dai nostri vissuti, non cogliere l’insegnamento femminista del partire da sé per parlare di cosa è la crisi climatica, di come è un corpo contaminato? Perché, in un paese in cui si registrano sessantacinquemila morti all’anno per l’inquinamento dell’aria, andiamo a cercare il film, il libro, la storia catastrofista? La catastrofe è qui, sulla nostra pelle’.
“Ho avuto l’occasione di leggere un lavoro scritto da Agata Mazzeo, un’antropologa che si è occupata di corpo e disastro, e nello specifico della contaminazione dovuta all’amianto. Lei scrive: ‘Il corpo che soffre è attraversato da una carica eversiva […], l’esperienza di sofferenza, mettendo in crisi l’abituale essere-nel-mondo, ha un effetto detonatore di nuove pratiche e nuovi significati’. In quei giorni sentivo crescere dentro di me una nuova rabbia, una nuova spinta. Sentivo che mettevano radici le premesse per una lotta ancora più radicale e determinata alla devastazione del pianeta e delle nostre vite. Quando fai fatica a respirare, quando quello che respiri è velenoso, quando quello che bevi è nocivo, quando una pioggia può travolgere te e la tua casa, per cosa stai lottando se non per il tuo stesso diritto a vivere? Credo che dalla nostra paura, dalla nostra rabbia e dalla nostra vulnerabilità possano nascere le premesse per un futuro migliore, come ci ha insegnato il movimento femminista. Ci vogliamo vive! Sì, ci vogliamo vive, in un pianeta dove la vita sia possibile, e non solo per alcuni che hanno potere di vita o di morte su di noi”.
Un po’ lunga come cartolina, lo so. Il fatto è che non sapevo come scrivere tutte queste cose. Forse, però, ora saprei che cartolina scrivere alla mia amica. Sì, credo che potrebbe essere questa:
“Ciao amica mia! La Sicilia è bellissima! C’è caldo, caldissimo, ma c’è tanta gente che lotta per il futuro della propria terra e del pianeta. Chi lotta per la salvaguardia dei boschi, chi in difesa dell’acqua pubblica, chi si mobilita contro le basi militari, chi si ribella all’idea di far diventare la Sicilia una grande discarica a cielo aperto, chi lotta contro vecchie e nuove trivellazioni e chi mette in guardia dal rischio di trasformare la regione in una distesa di impianti fotovoltaici, sfruttando la retorica sulle rinnovabili per imporre progetti di sfruttamento del territorio. È stata un’estate calda, ma si prepara un autunno altrettanto caldo sul piano delle lotte socio-ambientali, ed è bello sapere che da ogni angolo della terra si leva un grido di lotta e di resistenza al grande tritacarne chiamato progresso. Da un pianeta sano e rigoglioso spero di poterti scrivere la prossima cartolina. Ma questo dipende dalla forza della nostra lotta! Per questo, però, abbiamo bisogno anche di te, in qualunque angolo del pianeta tu sia.
“E tu come stai? Raccontami la tua estate! Intanto ti abbraccio”.
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