Il 9 luglio, a un anno esatto dall’arrivo delle ormai famose email di licenziamento, davanti ai cancelli della GKN si ritrova la comunità larga nata intorno alla lotta degli operai metalmeccanici fiorentini e riunita intorno al motto “Insorgiamo”. Più che una festa è un urlo di lotta, un momento collettivo che consolida il rapporto tra gli operai e i solidali, organizzati e non, che in questi dodici mesi hanno percorso insieme un cammino di rispetto del lavoro, dei diritti, della dignità. Una strada che Napoli Monitor ha seguito fin dall’inizio e che vi riproponiamo in due interviste (qui la prima parte) pubblicate nei numeri 7 (novembre 2021) e 8 (maggio 2022) de Lo stato delle città a Dario Salvetti, delegato RSU ex-GKN, nelle quali si ripercorrono le tappe dal 9 luglio 2021 al 26 marzo scorso, quando a Firenze sono scese in piazza 30mila persone. Nel frattempo ci sono stati altri incontri istituzionali, dai quali però non è emerso niente di certo: la fabbrica è ancora ferma, gli operai sono in cassa integrazione, non è stato definito il piano industriale né gli investitori e intanto si cerca in tutti i modi di accelerare la deindustrializzazione, ossia l’uscita dei materiali dalla fabbrica, senza che ci siano garanzie reali sulla reindustrializzazione.
Se c’è una cosa che inizia a cambiare in questi dodici mesi di lotta, sono i rapporti di forza, perché laddove un anno fa si consumava una delocalizzazione oggi si riunisce una comunità, pronta a difendere la fabbrica coi propri corpi, perché quello stabilimento è riconosciuto come patrimonio collettivo, simbolo delle ormai vistose devastazioni del neoliberalismo contro le quali continuare a mobilitarsi.
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A dieci mesi dall’avvio della procedura di licenziamento, alla Gkn di Campi Bisenzio, l’ex-Fiat di Firenze, la situazione è apparentemente la stessa: le bandiere sulla recinzione, le macchine ferme, la produzione inesistente, gli operai in assemblea permanente. In realtà molta acqua è passata sotto i ponti da quando, il 20 settembre 2021, il Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso basato sull’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, annullando la procedura per comportamento antisindacale. A Dario Salvetti, delegato sindacale ex-Gkn, abbiamo chiesto di ripercorrere le vicende di questi ultimi mesi.
Salvetti, cosa succede dopo la vittoria del ricorso per comportamento antisindacale?
«Il 20 settembre la vittoria dell’articolo 28 ci consegna una tempistica della lotta totalmente differente. Dal 9 luglio la nostra vita era stata segnata dal countdown della procedura di licenziamento. Adesso siamo noi a dover ricostruire le tempistiche della vertenza. Anche se, ricordiamolo, l’articolo 28 sanziona l’azienda solo per un vizio procedurale. Passati quindici giorni, e attraverso gli opportuni passaggi, l’azienda avrebbe potuto riaprire la procedura. Soprattutto, la vittoria dell’articolo 28 ci consegna un autunno da vivere, e quindi inizia la discussione su come provare a fare quello che prima avevamo potuto solo improvvisare, cioè ribaltare i rapporti di forza nel paese. Ci sono due tematiche che dominano il mese di ottobre. Quella della “convergenza” e quella dello sciopero generale. Se prima ci eravamo limitati a ricevere il mero supporto di tante realtà, adesso abbiamo il tempo per costruire dei rapporti in modo diverso. Il punto culminante è la manifestazione di Roma a fine ottobre, su cui avevamo diversi dubbi, perché pensavamo che non ci fossero le condizioni per una manifestazione nazionale imponente, però nel momento in cui le forze che avevano dato vita alle proteste contro il G20 decidono di convergere su Roma ci mettiamo a disposizione e facciamo la nostra parte facendo arrivare dodici pullman da Firenze. È anche il primo corteo che percorriamo con Fridays for Future e altri movimenti con cui abbiamo stretto legami che sono durati nel tempo. L’altro tema però è lo sciopero generale, perché più in là di dove eravamo arrivati, come singolo collettivo di fabbrica, non potevamo andare, e lo strumento principe per ribaltare i rapporti di forza nel paese è il blocco della produzione, quindi lo sciopero, lo sciopero generale. L’11 ottobre c’è lo sciopero generale del sindacalismo di base, che noi abbiamo attraversato, dicendo però che andava vissuto come una tappa verso un altro sciopero generale, che ci aspettavamo potesse convocare anche la Cgil. Per distinguerlo dallo sciopero rituale, usiamo il termine “generale e generalizzato”, cioè uno sciopero che veramente raccolga e generalizzi il fermento diffuso nei luoghi di lavoro, di studio e così via. Ottobre è anche il mese dell’assalto di Forza Nuova alla sede della Cgil a Roma. Partecipiamo anche a quella manifestazione e constatiamo amaramente come, due giorni dopo l’assalto, la Cgil soltanto dalla provincia di Firenze avesse avuto la capacità di organizzare già diciotto pullman: sacrosanti, però allo stesso tempo ci faceva capire la forza dell’organizzazione e come si intendesse utilizzarla…».
Anche la vostra proposta di legge viene presentata a ottobre in parlamento.
«La portiamo alla Camera insieme a senatori di Potere al popolo e del gruppo misto, e ai giuristi che l’avevano seguita. Siamo consapevoli che verrà calendarizzata nelle discussioni parlamentari per febbraio-marzo, ma di fatto quella legge non è ancora stata discussa. Poi a dicembre, quando Borgomeo acquisirà Gkn, si sentiranno abbastanza tranquilli da discutere in parlamento un emendamento alla legge di bilancio, in cui verrà contenuta anche una norma sulle delocalizzazioni; allora lì prendiamo la palla al balzo per presentare dentro l’emendamento un contro-emendamento con parti della nostra proposta di legge…».
Che però verrà bocciato, mentre verrà approvato quello governativo. Perché quello governativo non vi rappresenta?
«La proposta governativa non è solo insufficiente, è proprio un’altra cosa rispetto a quello che abbiamo richiesto noi. Crea una procedura “per delocalizzare”, e per di più lo fa solo per lo 0,1% per cento delle aziende italiane, cioè le aziende con più di 250 dipendenti, un numero irrisorio. La legge dice che un’azienda che vuole delocalizzare, senza chiarire giuridicamente cosa questo voglia dire, deve annunciarlo novanta giorni prima alle istituzioni, alle organizzazioni sindacali e fare un piano, sia di vendita ma anche di accompagnamento alla disoccupazione. Se però non presenta questo piano, o non lo rispetta, rischia di pagare una multa equivalente al raddoppio del ticket sulla Naspi. Il ticket è di circa 1.500 euro a lavoratore, che l’azienda deve versare per contribuire anche lei ai costi della disoccupazione. Quindi una multa irrisoria. Con la legge del governo, Gkn sarebbe stata chiusa, con una procedura anche difficile da contestare in sede legale perché a quel punto l’azienda delocalizza a norma di legge».
La vostra legge invece prevede un sistema di garanzia nel quale deve entrare anche lo stato.
«La nostra legge è stata scritta nel contesto normativo vigente, in cui i rapporti di forza non sono dalla nostra parte. Non c’è un intervento automatico dello stato ma solo il fatto che se un’azienda non può dimostrare di essere in crisi e procede a una chiusura accedendo alla procedura di licenziamento pensata per le aziende in crisi, a quel punto lo stato ha due strumenti: il più importante è dichiarare nulli i licenziamenti, cosa che attualmente non può fare; in seconda battuta l’azienda deve presentare un piano di continuità occupazionale e produttiva, e se alla fine di questo processo non trova un acquirente, o anche in caso di vendita, la prima opzione di acquisto spetta alla cooperativa dei lavoratori oppure a organismi statali».
Si arriva a novembre. C’è un’assemblea in fabbrica molto partecipata, e una convergenza anche con gli studenti.
«Il 20 novembre facciamo un corteo con gli studenti fiorentini. Fin da fine agosto abbiamo inseguito la convergenza con il movimento studentesco, facendo assemblee con studenti e lavoratori. Poi a fine novembre e a inizio dicembre facciamo due assemblee in azienda, dove tiriamo fuori il nostro piano industriale e il progetto del Polo della mobilità sostenibile. A quel punto abbiamo chiaro che l’azienda riaprirà la procedura di licenziamento, facendo cadere i settantacinque giorni nel periodo peggiore dell’anno. Proprio in quei giorni ci conquistiamo un ulteriore tavolo con l’advisor di Gkn, Francesco Borgomeo, che ci comunica di essere diventato l’acquirente dello stabilimento… Noi riteniamo che l’arrivo dell’acquirente in questo momento non sia casuale: evidentemente qualcuno comincia a farsi due conti e non è più sicuro che la nuova procedura di licenziamento ci piegherebbe, anzi ipotizza che stiano convergendo troppe cose e che si possa creare un effetto domino che parte da Gkn».
Nell’assemblea di fine novembre è risultato chiaro, dalle voci dei lavoratori, il fallimento delle politiche del lavoro degli ultimi trent’anni; e poi una forte crisi della delega, non c’era fiducia in nessuno durante quella assemblea.
«Sì, noi questa impressione l’abbiamo avuta fin dall’inizio. Abbiamo sempre rifiutato l’idea che questa lotta avvenisse nel vuoto. Le strutture sindacali ci hanno appoggiato, soprattutto ai tavoli. Nella prima parte, almeno fino ad agosto, c’è stata anche una presenza della Cgil, però lo sviluppo di Insorgiamo, la freschezza e la vivacità della lotta sono avvenute attraverso un costante protagonismo dal basso, che ci ha permesso di cambiare gli schemi e iniziare a far capire che c’era una vertenza diversa, in cui la sconfitta non era l’unica possibilità in campo. E questo continua tutt’oggi, perché ora è difficile dire chi ha organizzato il corteo del 26 marzo, di fatto non c’era un organizzatore, non c’era nessuna grossa struttura dietro a quel corteo; e quindi un corteo, un movimento del genere si può dare solo perché c’è un’assenza di delega. Mi spingo a ipotizzare che il cambio di strategia non sia arrivato da Gkn Melrose ma da un pezzo della politica di questo paese, perché in realtà Melrose a metà novembre continua a provare con il ricatto della cassa integrazione per cessazione dell’attività, poi quando anche questa tattica rimbalza miseramente, ci comunicano: abbiamo delle manifestazioni di interesse urgentissime, ma perché si possano palesare dovete firmare la cassa integrazione per cessazione attività entro venerdì – era mercoledì sera –, altrimenti questi compratori svaniranno. Noi rispondiamo che dovevano darci i nomi entro ventiquattro ore, ma che non avremmo mai firmato. I nomi a oggi non li abbiamo, ammesso che ci siano mai stati. A quel punto probabilmente c’è la decisione di togliere Melrose di mezzo comprando direttamente lo stabilimento e dandoci un’altra controparte. Se poi questa decisione sia stata di chi era allora advisor, Borgomeo, oppure di un pezzo della politica che con Borgomeo l’ha concertata, non lo sappiamo, possiamo fare solo supposizioni. L’incontro in cui dovevano presentarci i nomi svanisce in una notte, era il 27 novembre. Borgomeo ci annuncia che è lui l’acquirente di Gkn e che il closing dovrebbe avvenire a metà dicembre. In quel momento la lotta viene messa in stand by, perché viene meno sia la controparte ma anche la minaccia dei licenziamenti. Per la prima volta pensiamo a una vittoria parziale, cosa che ancora a fine novembre era difficile ipotizzare».
L’acquisto di Gkn avviene con una trattativa privata ed è assurdo che una questione di tale rilevanza sociale venga gestita di fatto da un notaio. Nessuno sa neanche quanto l’ha pagata. Ma chi è Francesco Borgomeo?
«Io posso anche rispondere, ma nel momento in cui mi fate questa intervista stiamo cercando di spersonalizzare in tutti i modi il meccanismo che si è creato intorno a questa vertenza. Stiamo cercando di intavolare una discussione seria sul progetto industriale, vogliamo parlare il linguaggio tecnico e di approfondimento che un progetto industriale deve avere e invece la discussione, da tre mesi a questa parte, viene portata continuamente sulla domanda se abbiamo fiducia in Borgomeo, se pensiamo che sia buono o sia cattivo… Borgomeo ha delle imprese, non è un prestanome, è un industriale italiano, questo è quello che sappiamo; ci sembra che faccia dei legami con la politica uno dei suoi punti di forza, però quello che ci interessa oggi è che lui si è presentato prima come advisor – quindi come consigliere di Melrose –, poi come acquirente di Gkn, e nel momento in cui è diventato proprietario ci ha specificato che non sarebbe stato lui il reindustrializzatore, che Gkn sarebbe passata in altre mani; ora invece è possibilista sul fatto che rimanga lui il datore di lavoro. A dicembre avevamo proposto che fosse Invitalia a entrare nel capitale di Gkn, garantendo con capitale pubblico la trasparenza di tutti i passaggi. Questa cosa fu rifiutata da Borgomeo, mentre oggi lui stesso parla di possibili coinvolgimenti di Invitalia, Cassa Depositi e Prestiti… Noi non abbiamo nessun problema che sia lui a reindustrializzare, ma chiediamo che ciò avvenga nella trasparenza, e che sia lui che i politici si prendano le loro responsabilità».
Dopo la legge antidelocalizzazioni c’è stato un altro progetto, costruito insieme ai solidali e in particolare alle università. Il 5 dicembre avete presentato alla comunità larga che ha sostenuto la vostra lotta il Ppms, il Piano pubblico per la mobilità sostenibile. A metà marzo lo avete presentato ufficialmente, è stato preso in considerazione ai tavoli ministeriali?
«Il nostro piano individuava il partner che avrebbe dovuto lavorare su soggetti industriali e finanziamenti. Per noi il principale investitore doveva essere il pubblico e quindi Invitalia, Cassa Depositi e Prestiti, mentre le università locali dovevano essere i motori di ricerca e di sviluppo. Lo abbiamo presentato, non è mai stato preso in considerazione e non è mai nemmeno stato confutato, nel senso che non ha mai avuto nemmeno una risposta negativa. Il punto è che a oggi Gkn è una fabbrica di semiassi ferma. Quel che dovrebbe fare lo stato sarebbe una seria ricognizione sulle fabbriche dell’automotive in Italia, in dismissione o che rischiano di chiudere, per capire se queste fabbriche possano essere messe, così come sono, al servizio di un polo pubblico per la mobilità sostenibile o riconvertite per funzionare dentro quel polo. Ma questo non viene fatto e quindi Gkn forse si salverà come singolo stabilimento, ma poi bisognerà reinventarsi ogni volta delle soluzioni per ognuno delle decine di migliaia di posti di lavoro che sono a rischio nell’automotive, nel mondo ma in Italia in particolare».
Molti operai, anche specializzati, nel frattempo andranno a fare altro. La vostra paura è anche questa, un processo che può disgregare un gruppo coeso che aveva un metodo di lotta consolidato.
«Non è una paura ma un dato di fatto. Come chi deve fare una terapia invasiva sa che questa ha delle controindicazioni sul proprio organismo, noi sappiamo che l’ammortizzatore sociale, che purtroppo non possiamo evitare, è una terapia che ha sull’organismo della comunità operaia questo effetto: primo, chi non può permettersi di rimanere in cassa integrazione, perché monoreddito, deve cercarsi un altro lavoro, perché per quanto noi abbiamo strappato delle integrazioni importanti e prendiamo uno stipendio che è comunque più alto di quello di tanti lavoratori di questo paese, rimane comunque uno stipendio più basso, soprattutto per chi era operaio specializzato; poi c’è l’effetto assuefazione, perché chi rimane si trova a non lavorare per mesi e mesi, pian piano si abitua a questo stato, e soprattutto chi vede la pensione avvicinarsi, a un certo punto non desidera più lottare per tornare al lavoro, ma per avere l’ammortizzatore prorogato. Noi non possiamo fare altro che sviluppare delle strategie per alleviare le controindicazioni dell’ammortizzatore sociale».
Il corteo di marzo viene costruito con l’Insorgiamo Tour, un giro tra le vertenze e le lotte del paese. Di questa iniziativa ce n’era stata anche una versione culturale in autunno.
«Sono stati tre gli Insorgiamo Tour. Il primo, prima della manifestazione del 18 settembre, che fu molto rapido e toccò quattro o cinque città. Poi lanciamo quello nei teatri e nei circoli Arci con l’assemblea cittadina al teatro Puccini di Firenze nel mese di ottobre, dove ci ritroviamo con tantissime realtà culturali del territorio. Infine, a febbraio e marzo è partito il tour nel paese. Alcune date le abbiamo proposte noi. Altri si sono proposti loro. Non erano nient’altro che tutte le realtà che avevamo conosciuto, da luglio a ottobre, nel percorso di convergenza. Oltre alla necessità di lanciare la manifestazione di marzo, era un modo per restituire tutta la solidarietà che ci era giunta da svariati soggetti, portando quegli elementi di credibilità, di fiducia e ottimismo che la nostra vertenza aveva trasmesso a quei territori».
Poi si arriva al 25 e 26 marzo, caratterizzate dalla convergenza tra giustizia climatica e sociale, e da una partecipazione giovanile imponente. C’è anche una questione generazionale in questa lotta?
«La cosa che più ci ha colpito, prima del 26 marzo, è il movimento studentesco che è scoppiato nell’autunno-inverno a Firenze e a Roma. Noi pensavamo che dopo Natale non ci fossero più ulteriori margini di sviluppo. Poi è avvenuta una tragedia, che purtroppo non siamo riusciti a impedire – perché sono tanti anni che ci battiamo contro l’alternanza scuola-lavoro –, ma che ha giocato da ulteriore detonatore rispetto alle mobilitazioni studentesche di febbraio-marzo. Dopo il 18 febbraio, ci iniziarono ad arrivare segnalazioni e tag sui social di cortei studenteschi ovunque, da Cosenza a Torino, dove una delle canzoni più cantate era Occupiamola. Quella è stata a oggi la cosa più importante di questa lotta. Non per la canzone in sé, ma per l’idea che tu puoi contendere – alla società, a una multinazionale, al padrone – anche una fabbrica. È una delle cose che lasciamo in eredità, indipendentemente dal fatto che la nostra vicenda finisca domattina o tra venti anni».
Ad aprile si sono tenuti due incontri, uno con il ministero e uno del comitato di proposta e verifica, dai quali non sono emerse le novità che ci si aspettava: un piano di reindustrializzazione e il nome degli investitori. L’accordo è già stato violato?
«Per noi sì, ma è stato violato in maniera molto furba. Perché quell’accordo è stato costruito in base allo schema che lo stesso Borgomeo ci aveva prospettato, cioè che gli acquirenti si sarebbero palesati a febbraio, che entro il 31 marzo avrebbero fatto le proposte vincolanti, e poi avremmo analizzato, tra aprile e maggio, i loro piani industriali. Il 31 marzo Borgomeo ci viene a dire che se non ci sono proposte vincolanti è perché le ha già scartate lui e ha deciso che sarà lui il futuro proprietario. È come se lui avesse fatto una proposta vincolante a sé stesso e si fosse dato anche l’ok. Dal punto di vista giuridico-sindacale, il fatto che non ci sia una cessione a un soggetto terzo ci tutela di più, perché noi Gkn rimaniamo, QF è un cambio di nome, ma il numero di matricola Inps e la ragione sociale dell’azienda sono sempre le stesse. Questo vuol dire che Tfr, ferie, diritti, contratti, anzianità, sono automaticamente preservati. Il problema è che così i partner industriali rimangono nell’ombra, il loro impegno dentro QF è tutto da verificare. Domattina potrebbe venire Borgomeo, il Mise o chiunque altro a dirci che, per qualsiasi motivo, uno dei partner è saltato. Qualsiasi scusa potrebbe essere buona per far saltare il processo, perché di ufficiale non c’è nulla. È vero però che fin dall’inizio l’accordo quadro si è basato su un concetto, che se non si palesava nessuno, noi non avremmo aspettato Godot, ma il buon Borgomeo avrebbe chiesto l’intervento di Invitalia e il piano industriale, se non c’era, lo avremmo costruito noi. Quindi la reindustrializzazione avverrà, con le buone o con le cattive, con i partner industriali o con l’intervento dello stato, con il nostro piano industriale o con quello di chiunque altro».
Quando fu firmato l’accordo quadro a gennaio, lo avete definito un accordo avanzato in un contesto arretrato, che andava difeso con la lotta. La mobilitazione va avanti?
«Non si è mai fermata. La mobilitazione però ha anche consapevolezza di sé. Non si illude di poter andare avanti sempre con gli stessi strumenti, con gli stessi metodi. Questi dieci mesi che abbiamo sulle spalle pesano, siamo sempre più stanchi, acciaccati, logori. Negare l’evidenza non ci sembra un modo per essere più forti, ma il contrario. Sappiamo anche che la forza di Gkn è stata fino a oggi l’Insorgiamo, ma sappiamo che la forza di Insorgiamo non può essere per sempre la Gkn, quindi ci aspettiamo che questa mobilitazione sedimenti consapevolezza e protagonismo in altri soggetti che sono stati al nostro fianco, perché la vertenza possa anche prendersi dei periodi in cui rifiata, ma che non si fermi quel processo di cambiamento dei rapporti di forza, da cui la vertenza dipende». (valentina baronti / luca rossomando)
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