È stata chiesta circa una settimana fa, dalla procura di Ascoli Piceno, l’archiviazione per il decesso di Salvatore Piscitelli, morto nel penitenziario marchigiano dopo esservi stato trasferito in seguito alle rivolte avvenute nel carcere di Modena l’8 marzo 2020.
Nonostante l’indagine abbia dimostrato notevoli ritardi nei soccorsi prestati all’uomo, la procura ritiene non sia accertabile che un intervento più tempestivo avrebbe salvato la vita al detenuto quarantenne, e che pertanto gli indagati non possono essere considerati responsabili della sua morte. I due indagati, nello specifico, sono un ispettore della penitenziaria di Ascoli, che poco dopo le 8:30 del 9 marzo aveva ricevuto una richiesta di soccorso dal compagno di cella di Piscitelli, alla quale non aveva dato seguito; e un medico, che pur avendo constatato le condizioni critiche di Piscitelli, sotto overdose per il metadone probabilmente ingerito durante le rivolte a Modena, non ha ritenuto per oltre due ore opportuno chiamare l’unità del 118. Le persone offese (il Garante nazionale dei detenuti, l’associazione Antigone e la nipote di Piscitelli) potranno opporsi alla richiesta di archiviazione.
In questa stessa settimana il Comitato verità e giustizia per i morti del carcere di Sant’Anna di Modena ha pubblicato il secondo volume del dossier che ricostruisce minuziosamente i fatti avvenuti dai giorni di marzo 2020 a quelli dei recenti provvedimenti di archiviazione delle indagini; provvedimenti grazie ai quali, “per la più grande strage della storia carceraria repubblicana, non ci sarà mai un processo”.
A seguire pubblichiamo il contributo al dossier che ricostruisce la storia della morte di Salvatore Piscitelli, scritto da Lorenza Pleuteri.
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NDR e ABS
Alla voce “anamnesi personale”, nella copia sbiadita del diario clinico di Salvatore “Sasà” Piscitelli, sono annotate queste due sigle. Una sta per “niente da rilevare”. L’altra significa “apparente buona salute”, come spiegano i medici che in carcere lavorano. L’aggettivo BUONO si intravede anche nella casella “esame obiettivo”. Molti altri riquadri sono in bianco, vuoti.
LE VENTUNO PAGINE DELLA PRIMA RICOSTRUZIONE UFFICIALE
Un anno dopo le rivolte – e la morte di Sasà e altri dodici detenuti – vengono alla luce gli atti contenuti nel sottofascicolo aperto dalla procura di Modena, e i risultati degli accertamenti effettuati dalla pm Lucia De Santis prima di spogliarsi della competenza e di ripassare l’inchiesta alla procura di Ascoli, da dove le era arrivata. Sono solo ventuno pagine, le prime di fonte giudiziaria. Ma forniscono informazioni inedite, offrono spunti, alimentano dubbi. Sulle ultime ore di Sasà raccontano una storia diversa da quella ricostruita e denunciata da almeno sette compagni di viaggio e di detenzione. Sembra un altro uomo, un quarantenne sano e in forze, senza problematiche particolari, senza bisogni urgenti. È morto, qualche ora dopo l’incontro con un medico, la compilazione (parziale) del diario clinico, le sigle e gli aggettivi tranquillizzanti.
“DECESSO PRESSO IL CARCERE DI ASCOLI”: LAPSUS DELLA PM?
Il 23 marzo 2020, due settimane dopo la morte di Sasà Piscitelli, la pm modenese scrive alla direzione del carcere di Ascoli Piceno, dove nella notte tra l’8 e il 9 marzo il quarantenne era stato portato assieme a quarantuno compagni. Chiede di riferire le condizioni del detenuto all’arrivo in istituto, le circostanze del decesso, le attività di verifica dell’eventuale possesso di psicofarmaci, medicinali o stupefacenti, la documentazione medica sullo stato di salute nel tempo passato nella struttura. Nell’intestazione della richiesta la pm colloca la morte “presso la casa circondariale di Ascoli Piceno”. Non sa che Sasà è deceduto in ospedale, come sostengono nella città marchigiana? Il suo è un banale errore di compilazione oppure un lapsus?
LE COSE CHE LA DIRETTRICE NON PUÒ SAPERE
La direttrice, Eleonora Consoli, si prende qualche settimana per raccogliere e comunicare le informazioni richieste. Risponde alla pm il 14 maggio. Precisa che il detenuto Salvatore Piscitelli è morto alle 17.25 presso l’ospedale civile di Ascoli Piceno, non in carcere. Riferisce che era arrivato in istituto alle 00:25 del 9 marzo 2020 assieme ad altri quarantuno ristretti, “tutti provenienti dalla casa circondariale di Modena, in quanto avevano partecipato ai disordini/rivolta avvenuti all’interno dell’istituto l’8 marzo 2020″. Non chiarisce come facesse a sapere che i nuovi giunti fossero stati coinvolti nelle azioni di protesta e di devastazione, se non richiamando genericamente il provvedimento con cui il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria aveva disposto i trasferimenti e d’urgenza. Lo dà per scontato. Però nel verbale da lei allegato alla relazione, l’ultima pagina del suo rapporto, il compagno di cella di Sasà sostiene una cosa diversa. Il quarantenne, garantisce Mattia, non aveva aderito alla rivolta.
IL COMPAGNO: «SASÀ NON HA PRESO PARTE ALLA RIVOLTA»
Mattia Palloni è uno dei cinque ragazzi che a novembre sottoscriveranno un esposto-shock, per denunciare pestaggi, abusi, torture. Sulla morte di Piscitelli viene sentito la prima volta, con la formula delle dichiarazioni spontanee, non a ridosso del decesso del compagno, ma a quasi due mesi di distanza. Il 2 maggio, messo di fronte a due assistenti e a un sovrintendente della polizia penitenziaria, non è molto loquace. Pare intimidito. Sostiene che lui e Sasà non presero parte alla sommossa di Modena. All’inizio avevano deciso di rimanere nella loro cella, condivisa. Poi furono costretti a uscire, perché la sezione era stata invasa dal fumo, provocato dall’incendio di suppellettili e arredi. Rassicurato il personale sanitario e un agente rimasti chiusi dentro un ambulatorio, sempre stando alle dichiarazioni spontanee di allora, entrambi raggiunsero il piazzale e altri reclusi. Qui un altro carcerato, sconosciuto, passò a Sasà una bottiglia di metadone (prelevato dall’armadio blindato dell’infermeria, aperto con la chiave e non forzato, o forse presa dal tavolo usato da due infermiere per preparare le dosi da distribuire). Mattia cercò di non farlo bere. Non ci riuscì. E il compagno, inghiottito il liquido, restituì la bottiglia al fornitore.
UN MEDICO PER QUARANTADUE DETENUTI
La direttrice, tornando all’arrivo al carcere di Ascoli, conferma l’avvenuta perquisizione e l’immatricolazione di Sasà. Scrive alla pm che alle 2:30 l’uomo viene sottoposto alla visita di primo ingresso dal medico di turno del Servizio integrativo assistenza sanitaria, Simone C. In quella notte non ordinaria è presente un solo dottore, posto di fronte a una impresa titanica: sottoporre ad accertamenti sanitari di base quarantadue detenuti; non detenuti qualunque, bensì i ragazzi e gli uomini in arrivo da un carcere devastato da una sommossa, dopo una razzia di litri di metadone e di una gran quantità di psicofarmaci. “A molti di noi – renderanno poi noto gli autori dell’esposto di novembre – non fu neanche chiesto di togliersi gli indumenti per constatare se avessimo lesioni corporee”.
Per verificare le condizioni di Sasà, con trascorsi di tossicodipendenza e un fisico provato, il medico impiega quindici minuti: dalle 2:30 alle 2:45, almeno stando all’appunto sul diario clinico. Alle 3:00 il detenuto in “apparente buona salute” viene collocato nella cella 52 del secondo piano, lato sinistro, reparto marino.
PER DIECI ORE NESSUNA NOTIZIA DEL DETENUTO IN AGONIA
Per più di dieci ore su Sasà non ci sono annotazioni della direttrice. È come se sparisse, da notte fonda al primo pomeriggio. La colazione non gli è stata portata? E le sue medicine, le benzodiazepine richiamate nel diario clinico alla voce “terapia in corso”? Gli agenti del turno 8/14 e il personale sanitario non hanno mai guardato dentro la cella 52? La relazione della direttrice riprende il filo, dopo questo vuoto totale, alle 13.20. A quell’ora, scrive alla pm, “il ristretto non risponde agli stimoli del personale di polizia penitenziaria addetto alla vigilanza”. Viene chiamato il medico di guardia Sias, Cristiano M.D.V, in servizio dalla prima mattinata.
LA CHIAMATA AL 118 E L’ARRIVO DELL’AMBULANZA
Il dottore capisce che la situazione è gravissima e gli inietta una fiala di Narcan (indicato poi con Naloxone) per “sospetta overdose di metadone”. Solo dopo molto tempo viene sollecitato l’arrivo di un’ambulanza. Arriva l’equipe esterna, con il dottor Ihaab A. L’ambulanza con a bordo Sasà, diretta d’urgenza all’ospedale civile di Ascoli, lascia il carcere alle 15.15. Una seconda lettiga carica un altro recluso “modenese” che ha bisogno di assistenza specializzata. Alle 17.25 il dottor Guido G. constatata e certifica la morte del detenuto Piscitelli, giunto e trattenuto al pronto soccorso in “stato di coma avanzato da verosimile intossicazione da farmaci”.
LA TESTIMONIANZA DEL MEDICO DEL CARCERE
“Mi sono attivato subito – dice adesso il dottor M.D.V., al telefono – appena gli agenti mi hanno chiamato in sezione. No, Piscitelli non avevo avuto modo di vederlo prima. Erano arrivati in più di quaranta, da Modena. Quando sono entrato in cella – riferisce – sembrava che dormisse. Ho provato a svegliarlo, ma non ha riaperto gli occhi. L’overdose di metadone non è così semplice da diagnosticare e su di lui non avevo informazioni. Gli ho fatto una iniezione di Narcan, poi l’ho affidato al personale del 118. Non è morto in carcere. Il detenuto – ripete – è uscito dall’istituto ancora vivo. So che è deceduto in ospedale, dopo. Sono stato convocato dal magistrato, come testimone. Ho raccontato tutto questo, documentato. Non c’è un’altra verità”.
I NULLA OSTA AI TRASFERIMENTI
La direttrice Consoli mette nero su bianco un’altra informazione. Piscitelli e i quarantuno compagni sono stati trasferiti d’urgenza nel suo istituto, “senza essere accompagnati da nessun fascicolo e/o altro documento”. Perché? Lei, ecco il punto, non può avere contezza diretta del motivo. Però, senza dichiarare la fonte, scrive che “è andato tutto distrutto” nella rivolta. È vero per le carte redatte a Modena prima della sommossa. Non vale per gli atti successivi. All’arrivo ad Ascoli mancano altri documenti, quelli che per legge i medici avrebbero dovuto compilare dopo le violente azioni di protesta e prima delle traduzioni: i certificati delle visite effettuate a Modena e i nulla osta sanitari con l’ok al viaggio dall’Emilia alle Marche. Queste attestazioni non sono mai state scritte. I medici tenuti a redarle si sono giustificati dicendo che è mancato loro il tempo di provvedere, vista la situazione drammatica e l’alto numero di persone da assistere.
Non si fa riferimento ai nulla osta sanitari mancati nemmeno nel provvedimento con cui il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria ha disposto lo sfollamento dei quarantadue detenuti “modenesi” destinati ad Ascoli. A firmare l’ordine di trasferimento – il pomeriggio o la sera dell’8 marzo, in un orario non indicato – è Silvia Della Branca.
Il carcere emiliano è in gran parte distrutto, inagibile. Decine di reclusi devono avere una sistemazione alternativa e in fretta, visto che sta facendo notte. La funzionaria motiva la disposizione con esigenze di ordine e sicurezza. Il poliziotto penitenziario a capo della scorta, quello che dovrebbe avere con sé i nulla osta sanitari al viaggio, per iscritto viene invitato a sorvegliare in modo adeguato i detenuti per impedire tentativi di evasione, anche con appoggi esterni, e “altri inconvenienti di qualsiasi natura che possano compromettere il regolare svolgimento della traduzione”. Dalla casa di reclusione di Modena sono usciti parecchi detenuti in overdose e a tarda sera si sono contati tre morti, i primi di nove. Però in queste disposizioni non c’è alcun riferimento alle possibili condizioni di salute dei trasportati, all’opportunità di avere medici al seguito e neppure alla necessità di dotarsi almeno di farmaci antagonisti salvavita.
COME STAVA DAVVERO SASÀ
Sasà durante il viaggio cade in uno “stato di torpore”, come dirà il 2 maggio il compagno di cella, Mattia. Il dottor Simone C., il medico che lo visita nel carcere di Ascoli o che attesta di averlo visitato, non lo rileva o non lo annota. Nel diario clinico sono più le parti in bianco di quelle compilate. NDR, ABS e BUONO certificano condizioni di salute non preoccupanti. Le carte non spiegano se sia o no al corrente del furto di metadone e di psicofarmaci e delle overdosi in serie, nel carcere di provenienza. Quello che si vede è che non ha riempito lo spazio per registrare eventuali “lesioni all’ingresso” né le caselle riservate a “sintomi fisici e psichici di intossicazione in atto da sostanze stupefacenti” e “sindrome di astinenza in atto”. Le ha barrate con una riga, senza compilare altri campi né registrare parametri di base (per esempio pressione, frequenza cardiaca, temperatura, auscultazione dei polmoni). In compenso, dopo la visita lampo, per Sasà ha valutato come “alto” il rischio di suicidio.
LE ULTIME ORE DI VITA
Il vuoto dalle 3.00 alle 13.20 nella relazione inviata dalla direttrice alla pm di Modena verrà colmato dalle lettere denuncia spedite in estate da due detenuti e dall’esposto di fine novembre 2020 firmato da Mattia Palloni e altri quattro compagni, ascoltati dalla procura emiliana a dicembre. “Sasà – concordano – è stato picchiato prima, durante e dopo il viaggio. Stava malissimo ed era debole, non riusciva a reggersi in piedi. Ad Ascoli è stato trascinato fino alla sua cella e buttato dentro come un sacco di patate. La mattina del 9 marzo il compagno di stanza ha chiesto inutilmente aiuto e più volte. Nessuno è accorso ad aiutare Sasà. Si è sentito un agente dire: ‘Fatelo morire'”. Sempre secondo i reclusi testimoni, il quarantenne sarebbe “morto in cella, portato via con un lenzuolo quando era già freddo”. I medici con cui Piscitelli è stato a contatto, come detto, raccontano e certificano altro: il decesso in ospedale.
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