Hanno scioperato questa mattina a Napoli, in piazza Dante, studenti, insegnanti e genitori contro la didattica a distanza, nel corso di una manifestazione indetta da Priorità alla scuola e dal sindacato Cobas per chiedere che i fondi del Recovery Fund servano a ridurre il numero degli alunni per classe, a migliorare l’edilizia scolastica e ad assumere i precari. Pubblichiamo a seguire l’intervento di una delle attiviste della rete Usciamo dagli schermi – Napoli.
La pandemia ha rivelato cosa significa autonomia differenziata delle regioni e delle istituzioni: se solo guardiamo a cosa è successo nel mondo della scuola in Campania, registriamo un record europeo: minor tempo di scuola in presenza. E questo a prescindere dai colori dell’emergenza, dalle indicazioni dei Dpcm, dalle analisi dei dati epidemiologici.
Se la chiusura delle scuole, delle università, dei teatri, dei luoghi pubblici non è una risposta emergenziale e calibrata sulla pandemia, allora cosa è?
È un laboratorio di controllo sociale, un esperimento per processi di ristrutturazione del capitale, dei colossi dei big-data che sono entrati come infrastruttura essenziale nella formazione e nella cultura. Come hanno fatto a non incontrare alcuna resistenza, anzi ad averci fatto consegnare mani e piedi, nostri e dei nostri alunni, come dei nostri figli? Hanno avuto il nostro consenso nel momento in cui abbiamo aderito a un paradigma: quello della sicurezza sopra ogni altro valore, della sicurezza sanitaria a ogni costo.
La Dad è stata di fatto l’unica risposta per la sicurezza dal virus, ma la Dad risponde a quei criteri di salute e cura, che il paradigma securitario sussume? No! La dad, che pure protegge dal virus, protegge dall’esclusione sociale, massima causa dell’insicurezza delle nostre città? No! La Dad, che pure ci connette a grandi distanze, è una soluzione all’isolamento e alla solitudine? No! Perché la Dad agisce come un’unica grande barriera architettonica, un’unica galera diffusa, un unico dispositivo d’invisibilità.
Nell’immaterialità, nel trasferimento di ogni dimensione relazionale nell’ingranaggio virtuale, siamo tutti uniformemente vittime… ma allora ne abbiamo guadagnato l’uguaglianza? No! Non si è uguali nella discriminazione: nella sofferenza si è soli, ciascuno a suo modo, ciascuno nel suo dispositivo. In quest’atomizzazione si produce l’assenza della politica, trasformata nel fantasma della polizia. Le prove di ciò sono lo smantellamento dei diritti: diritti alla libertà di movimento, di espressione, di cura, così come del diritto allo sciopero e l’imposizione di tempi e oneri lavorativi aggiuntivi senza aumenti salariali.
Le prospettive, a partire da qui, sono i tagli al personale, la mancata stabilizzazione dei precari, nessuna cura dei territori né dell’edilizia pubblica, l’esternalizzazione dei servizi essenziali a enti privati, un insolvibile debito pubblico e una crescita enorme di criminalità grande e piccola. Questa è l’offensiva securitaria oggi, un grande Risiko sociale fatto di restrizioni e limitazioni non troppo diverso dal fascismo di ieri.
Se un orizzonte diverso si può immaginare è solo a partire dalla nostra presenza, costante e libera, nelle piazze, nelle strade, nei parchi, nelle scuole. Se un altro senso alla vita, che non sia solo lo sfuggire alla morte, si può dare, è solo a partire dai nostri corpi, dalla gioia, intimamente politica, che lo stare assieme produce e diffonde. Se ai nostri migliori sogni di immortalità, preferiamo ancora veder crescere la vita, se oltre a zombies e macerie, vediamo ancora la bellezza nelle strade, allora la resistenza non è oggetto di culto, pezzo da museo, da toccare coi guanti: è materia viva, forza nelle gambe e fiato nei polmoni.
Domani, alle ore 10,30 saremo a piazza del Gesù per chi è in bici, e alle ore 11,30 a piazza Garibaldi. Riprendiamoci quel che è nostro: le piazze, i parchi, le scuole!
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