La gentrificazione a Roma funziona in modo diverso che in altre grandi città. Spesso capirne le dinamiche è complicato per chi vive il quotidiano alternarsi di abbandono e grandi promesse. San Lorenzo, che ultimamente sembra stia tornando dal lato delle promesse, è un caso da manuale.
Riproponiamo l’estratto di un articolo scritto da Stefano Portelli e pubblicato la scorsa primavera nel numero 2 de Lo stato delle città. Il prossimo numero della rivista è in uscita a ottobre.
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Una nuvola di fumo nero sale da un cortile di via dei Volsci. Brucia la spazzatura della Saffi, la scuola elementare di San Lorenzo: le fiamme lambiscono il muro del palazzo accanto, salgono sopra il garage della Vetreria scientifica, come recita l’insegna, e il fumo annerisce le finestre del primo piano. I vicini affacciati fanno foto e video, e li condividono: il gesto combina dissenso e rassegnazione, si interviene ma non troppo. Arrivano i pompieri, che però non possono aprire il cancello del cortile: la chiave ce l’ha la scuola, che la sera è chiusa. Alcuni abitanti scesi in strada spiegano che bisogna farsi aprire da uno che da anni ha occupato un locale al piano terra. Lo chiamano “l’abusivo”, ma dov’è? E quel locale della scuola lo usa solo per tenerci roba vecchia, o ci abita pure? Non avrà appiccato lui il fuoco? Intanto i pompieri spengono l’incendio da dietro al cancello, lasciando la montagna di ceneri bagnata, e i cassonetti squagliati e fumanti.
La mattina dopo visitiamo il luogo dell’incidente con un gruppo di madri della scuola (tutte donne) e i responsabili delle istituzioni (tutti uomini). «L’assessore ha già disposto la rimozione dei resti. È una procedura complicata, ci vorranno giorni». Le madri protestano: «Questi cartoni stanno qui da mesi». «Impossibile – dice quello dell’Ama –, li rimuoviamo ogni settimana». «Cosa? Io abito qui davanti, vi faccio vedere le foto». Scende una vicina del palazzo di fronte: «Ma perché avete messo i secchioni qui?». «Erano davanti all’uscita della scuola, avevamo il permesso per spostarli», dice una madre. «Mi avete fatto anche tagliare un albero, per uno che ce n’era a San Lorenzo». «Noi? Sarà stato il servizio giardini. La scuola ha delle regole». «E poi questa spazzatura non è della scuola», dice un’altra madre, mentre fotografa un cartone di Nastro Azzurro tra i detriti. «Chi butta la sua roba qui? La chiave ce l’ha solo la vetreria». Esce la vetraia: «Non è vero! Ce l’ha quello che sta lì da quarant’anni». «L’abusivo!», mormorano tutti. Tirano fuori un video in cui si vede l’uomo portare via delle bombole di gas. «Se scoppiavano succedeva un disastro». «E poi, con le macchine parcheggiate davanti al cancello, come passa il camion?», insiste quello dell’Ama. La vetraia si discolpa: «Non sono nostre! E poi il passo carrabile è falso». Qualcuno fotografa il segnale arrugginito, lì da anni senza permesso. Interviene il preside: «Quello vero dovrebbe arrivare a breve». «Se non ci sono le linee gialle, ci parcheggiano uguale». «Tanto le multe non le fanno…». Mentre ascolto le conversazioni, tra la spazzatura annerita vedo la copertina mezzo bruciata di un vecchio numero di Cooperazione Educativa, con un articolo di Mario Lodi. Irrecuperabile. «È la scuola che butta queste cose?», chiedo. Il preside si scusa: «Avevamo tanti libri vecchi, non sapevamo che farci. Ma in cantina c’è ancora tanta roba». Nell’incertezza, la fotografo.
Il quartiere brucia
«Questo lato è cotto: ora girami e poi mangiami», avrebbe detto San Lorenzo ai suoi torturatori che lo arrostivano sulla graticola. Era un segno di sfida: fingendo di non soffrire accettava la violenza, addirittura collaborava con i suoi nemici, credendo che la sua testimonianza – martirio – sarebbe stata sufficiente a sconfiggerli. Ma quelli continuavano a straziargli le carni. La stessa cosa avviene nel quartiere di Roma che oggi porta il suo nome. Intrappolati tra la sporcizia, lo spaccio, la movida, i tagli ai servizi pubblici, gli abitanti raramente alzano gli occhi al livello della politica, per capire i processi di lunga durata, gli effetti di decenni di speculazione e accaparramento delle risorse. Se nel quartiere analogo a Milano, Isola, la trasformazione urbana neoliberale è arrivata in una forma classica, con demolizioni, grattacieli e centri commerciali finanziati da banche e corporazioni transnazionali, a Roma i profitti si estraggono in maniera molto più opaca, e locale. La graticola gira sui due lati: il territorio brucia sia quando il mercato trasforma le botteghe in locali per la movida e gli appartamenti in bed ‘n’ breakfast, che quando lo stato trascura i servizi e lascia in abbandono lo spazio pubblico. Monocoltura per la movida alcolica, e buffer zone fuori controllo per l’accumulo di residui: San Lorenzo brucia in entrambi i casi, e sulle sue piaghe si aprono le possibilità di guadagni, di nuove cubature: la moneta di scambio tra istituzioni e privati, lo strumento con cui si creano clientele e si controlla lo spazio urbano.
Gli studiosi statunitensi usano le espressioni benign neglect e planned shrinkage per descrivere quando i servizi pubblici vengono trascurati intenzionalmente. Deborah e Rodrick Wallace spiegano che negli anni Sessanta bastò che un think tank consigliasse al distretto del Bronx di ridurre i servizi di prevenzione incendi, per innescare un meccanismo diabolico: i fuochi devastavano interi isolati, gli abitanti scappavano e quei palazzi diventavano crack house e rifugi di malviventi. I prezzi di case e terreni crollarono, gli investitori comprarono a poco e iniziarono a demolire e ricostruire indisturbati, perché gli abitanti non ne potevano più. Oggi il Bronx è una delle zone di New York dove si realizzano maggiori profitti; molti di quelli che avevano resistito agli anni peggiori si sono dovuti spostare ancora più in periferia. Che ci sia qualcosa del genere anche a San Lorenzo? Non è difficile immaginarlo a Roma, dove, per esempio, il Comune promuove strumentalmente il fallimento dell’Ama. È possibile che l’abbandono del quartiere sia “benigno”, dal punto di vista del mercato, e la riduzione dei servizi, in qualche modo, programmata?
Nonostante lo spopolamento del centro di Roma, oggi nel piccolo quartiere – mezzo km quadrato subito fuori dalle mura aureliane – vivono quasi diecimila abitanti: una densità più paragonabile alla periferia che al centro. Ma San Lorenzo è sempre stato una periferia, nonostante la posizione geografica: è una graticola di strade dai nomi di antichi popoli italici, stretta tra la stazione, il cimitero e l’antica dogana ferroviaria di via dello Scalo, con al centro il mercato e la chiesa dell’Immacolata. Costruito a fine Ottocento per alloggiare al massimo risparmio gli edili che trasformavano la città in capitale, già a inizio Novecento era un quartiere anarchico e socialista. Sulla stessa via dei Volsci dove dagli anni Settanta c’è Radio Onda Rossa, la storica emittente dell’Autonomia romana, negli anni Dieci si riuniva l’associazione anticlericale Giordano Bruno, che boicottava le processioni dell’Immacolata. Gli abitanti sostennero gli Arditi del Popolo e cacciarono i fascisti, e per tutto il secolo le forze dell’ordine entravano nella zona a fatica, tenendosi alla larga da alcune strade. Nel ’43 gli americani scaricarono sul piccolo quartiere la metà delle bombe gettate su Roma: oltre millecinquecento morti, innumerevoli edifici distrutti. La ricostruzione fu difficile: alcuni palazzi sono ancora mutilati, e su un muro tagliato in diagonale c’è stata per anni la scritta “Eredità del fascismo”. Pare che i proprietari degli appartamenti demoliti settant’anni fa ancora si riuniscano ogni anno, in assemblee di condominio fantasma.
L’università vicina ha alimentato l’antagonismo del quartiere, ma dagli anni Novanta è diventata il suo principale nemico. Molti sanlorenzini hanno iniziato ad affittare o subaffittare agli studenti piuttosto che alle famiglie, e a riconvertire le botteghe artigiane in locali per la movida. Oggi ci sono interi palazzi su Airbnb e le notti il quartiere diventa una zona franca, dove la musica assordante, i cori da stadio e le risse fino all’alba non attirano mai la forza pubblica. Appena mi trasferii a via dei Volsci, il mio vicino Marcello, sessantacinque anni, nato nel quartiere, mi diede un consiglio: «Quando je devi butta’ na secchiata d’acqua, sali su ‘n terrazza, così ‘nte vedono!». Alcuni tappezzano il quartiere di cartelli “vogliamo dormire”, altri lanciano i gavettoni dalle finestre, altri dormono altrove ogni venerdì e sabato. Tutti gli abitanti, o quasi, evitano la piazza centrale, il cuore della movida; ma anche su via degli Ausoni un bar riempie la strada di studenti vocianti per tutta la notte, mentre su via dello Scalo l’ex dogana convertita a discoteca e sala concerti attrae migliaia di persone e di macchine ogni fine settimana, e la sua musica fa tremare i muri degli isolati intorno. Una ventina di spacciatori, quasi tutti marocchini, offrono hashish, eroina e cocaina a ogni angolo; lungo le mura aureliane si trovano sempre siringhe, ogni tanto tossici con l’ago in vena.
San Lorenzo non è un quartiere per famiglie: la scuola Saffi, costruita per mille ragazzi, ne ospita duecento, e vari regolamenti impediscono di riutilizzare i suoi grandi spazi vuoti. Nel parco principale, l’area bambini, recintata, è più piccola dell’area cani, aperta; i giochi sono sempre vandalizzati, a volte addirittura transennati per “sicurezza”. Il parco di Villa Mercede, più piccolo, è poco accessibile, nonostante ci sia la biblioteca del quartiere (che di recente ha eliminato la sezione ragazzi); l’inverno scorso il muro di contenzione è crollato su una strada importante, via dei Marrucini, rimasta chiusa per mesi. Il tentativo di autogestire un altro parco su via dei Galli, adiacente al cimitero, è stato boicottato dal Comune, che ha regalato terreno e strada pubblici al ristorante di fronte. Associazioni e collettivi riempiono il quartiere di attività culturali, ricreative e politiche, rendendolo il più attivo di tutta Roma: di giorno San Lorenzo sembra ancora una zona popolare, con gli anziani che parlano in romanesco agli angoli dei marciapiedi o nei bar, e le bandiere della Roma che sventolano sui palazzi. Ma tra i due mondi c’è distanza: il sostrato popolare raramente incontra la quotidianità dei nuovi centri sociali, come Esc, Communia a via dello Scalo o il Nuovo Cinema Palazzo a piazza dei Sanniti. Fa eccezione la zona di via dei Volsci tra la piazza e le mura, dove, oltre alla storica emittente antagonista romana Radio Onda Rossa e al locale autogestito al n. 32, c’erano fino a tempi recenti almeno quattro sedi di movimento, che tutti consideravano parte della storia della strada. Tutti i vicini ricordano quando la polizia tirava i lacrimogeni dalla Tiburtina, quando scoppiò una bomba sionista nei locali della radio, o quando prese fuoco un furgone pieno di erba che inebriò tutto il quartiere. «Eravamo tutti comunisti», mi fa Marcello, che non vede una contraddizione tra questo e la sua frequentazione della chiesa, né tra la presenza degli autonomi e dello spaccio organizzato sulla stessa via. Il quartiere aveva un equilibrio, fatto di antifascismo ma anche di religione e di malaffare: gli antagonisti vi si erano riusciti a inserire, e per questo erano sostenuti dal vicinato. Ma la gentrification ha rotto questo rapporto tra movimenti politici e vita quotidiana locale.
I pochi sanlorenzini rimasti, infatti, sono in gran parte quelli che hanno tratto profitto dalla gentrificazione. «Quelli der quartiere se ne so’ approfittati dei giovani – dice Marcello –. Hanno affittato le case, ma in nero. Perché qua se vòi fa’ le cose regolari, nun le fai». Lo dice a voce bassa: non vuole inimicarsi i suoi vicini storici, già rimasti in pochi. Come in molti casi di iper-gentrificazione – un termine coniato dalla geografa Loretta Lees – per estrarre ancora maggiori profitti vengono cacciati via dal quartiere non tanto gli abitanti storici, quanto i primi gentrificatori, che diventano vittime del processo da cui essi stessi hanno tratto beneficio. Oggi in difesa del quartiere, dei suoi spazi e della sua vivibilità, si muovono soprattutto quelli arrivati con la prima ondata di studenti e studentesse, rimasti in zona per godersi la vita bohème di San Lorenzo, magari per crescerci i figli, nonostante la stessa movida che li aveva attirati, e grazie al forte tessuto associativo. Questo porta nuove contraddizioni: gli abitanti non mobilitati politicamente fanno fatica a capire, tra i tanti gruppi, associazioni e centri sociali attivi nel quartiere, quali contribuiscono solo alla movida e quali anche al loro benessere; quali sfruttano e quali difendono San Lorenzo. Privi di referenti politici chiari, e di criteri con cui giudicare chi “si muove”, i sanlorenzini storici sono preda facile dei partiti e dei gruppi di potere che cercano appoggi e clientele nel quartiere.
Intanto la speculazione va avanti. Nella zona centrale – quella della movida, dei centri sociali, delle associazioni culturali – non si demolisce e non si costruisce, non tanto per i vincoli quanto per la vigilanza dei gruppi organizzati, soprattutto la Libera Repubblica di San Lorenzo, un collettivo di una ventina di persone che da anni si riunisce ogni settimana all’ex Cinema Palazzo, occupato dal 2011. Quando la giunta Marino nel 2014 autorizzò l’abbattimento di un’antica fonderia su via dei Sabelli, a poca distanza dal cinema (e che per alcuni mesi era stata anche occupata), la “Libera” fece ricorso al Tar, e tre anni dopo sia la demolizione che gli appartamenti da costruirci sopra furono dichiarati illegali. Rimane un grande buco, che dimostra che in quella zona i profitti si fanno solo sul già costruito. Ma ai due lati del quartiere c’è meno controllo: oltre la Tiburtina, ai “parioli” di San Lorenzo, dove il quartiere incontra l’università e la città borghese, crescono nuove palazzine, perfino un hotel di superlusso; nella parte bassa, dove il quartiere degrada verso via dello Scalo e le case costano meno, perché piccole e all’ombra della sopraelevata, è sorto un grande polo universitario, nuove palazzine residenziali e un agghiacciante complesso di miniappartamenti in un cortile interno. Ma soprattutto, lì ci sono i veri nodi del problema: le baracchette di via dei Lucani e il complesso dell’ex dogana su via dello Scalo. (continua…)
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