Mi contattano da Napoli Monitor e mi chiedono di scrivere qualche riga su “le cose che state facendo con la trance a Napoli… la scena trance… la questione delle sostanze anche in merito alle vicende di questa estate, ecc.”. “Beh, stiamo facendo le feste”, è stata la prima risposta che mi è venuta, poi ho deciso di accettare e di scrivere qualche riga. Non so se sono riuscito a leggere i sorrisi che incontro e con i quali ballo a ogni festa, nel caso non abbia colto, mi scuso e invito altri a narrare la vista dalla sua finestra su questa storia.
È un complessino di insetti cyborg, alieni, che suonano un rock’n’roll composto tra Nibiru e Marte e il palchetto è un caleidoscopio di colori e geometrie adagiato sul mare davanti a Nisida, questa è la tribe psytrance che da qualche tempo ormai colora di note e di luci l’underground partenopeo, una sinestesia continua di rimpalli gioiosi tra musica, arte e filosofia.
Ma attenzione, questa tribù che sta pulsando nelle vene più nascoste di Partenope non è per nulla alienata o alienante, al massimo è aliena, porta messaggi e prassi da luoghi lontani, da mondi di dentro. Attenzione ancora, non è un fenomeno blandamente e semplicemente neo-hippie, non è vintagismo futuristico, ma una vera e propria energia (positiva) che alimenta un macchinario biotico, intelligente, vivo.
È innanzitutto un ponte, un link. Concetto fondamentale, quello del link, per capire di cosa si sta parlando. È un ponte intergenerazionale dove trovi ventenni che vengono dalla scena rave, vecchi hippie over cinquanta, e in mezzo ci trovi di tutto, ex clubber che hanno rigurgitato la sagra mainstream della techno campana, reggaeboy che nella trance hanno ritrovato lo stesso spirito della musica in levare, musicisti che dell’universo psichedelico attuale apprezzano la molteplicità di stimoli e di tecniche e tanti, tanti altri che in città si esprimono sui muri, sulle tele, con il legno, con le materie più disparate, che hanno trovato nella gioia della tribe napoletana l’esigenza di esprimersi e di contribuire a questo discorso sottinteso, quasi telepatico.
Sia chiaro, nessuno si è seduto a tavolino e ha deciso: “Sia la psichedelia!”. È stato frutto di un’esigenza strisciante e collettiva che ha fatto ritrovare insieme dj, writer, disegnatori, gente con la voglia di ballare e di divertirsi. Una forza tellurica e meticcia, dove si incontrano e si connettono le esperienze metropolitane più aliene e meccaniche con quelle dell’entroterra più biotiche e sciamaniche; come se il principe di Sansevero avesse comprato un campionatore e ne avesse tirato fuori un algoritmo musicale grazie ai suoi saperi, mettendoli in condivisione, rendendoli patrimonio di tutta la tribù; per dirla alla Primo Moroni, socializzare saperi senza creare poteri; suonando con i synth le note nascoste nei simboli enochiani scolpiti nel piperno della facciata del Gesù Nuovo e ritmandoli con l’aiuto di Fibonacci e della Sezione Aurea.
Questa alchimia la ritrovi nelle note e nelle vibrazioni delle prima vera autoproduzione napoletana, trance e psichedelica, l’EP di Psylosophia dove il produttore, Sbio, fa sentire tutto il background ritmico, dai tamburi saraceni e africani al suono dei grossi tamburi a cornice della tradizione campana che ci portano dritti nel magma di Vesevo. Certo, parliamo di un fenomeno che rientra nella sfera del ludus, parliamo sempre di feste, di nottate dove fate ed elfi danzano in cerchio, ma c’è di più, o almeno ci si prova, o almeno in questa tribù è sempre palese l’esigenza di creare contesti diversi rispetto all’alienazione dilagante del divertimentificio sistemico. Questa energia lascia dentro la gioia di un esperimento, che gioca alla costruzione di rapporti altri in città per rompere le gabbie nelle quali siamo rinchiusi, le catene delle galere inconsapevoli alla Cocoricò, quel tipo di approccio che non ci appartiene, che non ci apparterrà mai; ma anche di rompere la gabbia dalla retorica vuota del “consumo consapevole” delle sostanze, dove di consapevole ci può essere solo il fatto che le sostanze che vengono dal sistema sono e restano pur sempre sistemiche, al di là del nostro approccio. Qui McKenna ci aiuta, quando afferma che usciremo dalla schiavitù sistemica solo nel momento in cui saremo noi a dominare la materia, a conoscere e riconoscere cosa il pianeta terra da millenni ci offre, quella sì che sarà libertà di scegliere.
Ma al di là di tutto e fuori da ogni tentativo (che risulterebbe fallimentare a cominciare dalle righe che avete appena letto) di poter descrivere quello che è oggi la Napoli psichedelica, ciò che conta è saper attraversare questo ponte di cui si parlava all’inizio, che ci teletrasporta in un mondo dove saperi ed energie extraterrestri vanno a braccetto con le vibrazioni millenarie di questa città, dove tamburi marziani fanno da tappeto ai flauti dei satiri, dove le geometrie greche, aragonesi, angioine e borboniche della mappa aerea del centro storico sono una pista di atterraggio per vimana che vengono da pianeti lontani, attraversando buchi neri anni e anni luce lontani dal presente. (miase)
PUNTATE PRECEDENTI:
Disco devil. Un’inchiesta a puntate sul mondo delle dancefloor
Disco devil #1. Da Calvizzano a Berlino: c’era una volta la Love Parade
Disco devil #2. Chi ha paura della Tekno? I Nameless raccontano il mondo dei free party
Leave a Reply